MACBETH

MACBETH

Justin Kurzel riporta sullo schermo il Macbeth all'insegna di una lettura filologica e fedele dell'opera shakespeariana, nello spirito dei dialoghi come nell'ambientazione: ma, al di là del sontuoso cotè visivo, dell'anima e del sangue del dramma resta un'interpretazione debole e ingessata.

La superficie di una tragedia

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Macbeth, barone di Glamis agli ordini del re di Scozia, ha appena sconfitto gli eserciti congiunti di Norvegia e Irlanda, in una campagna militare condotta al fianco del generale Banquo. Dopo la battaglia, i due vengono avvicinati da tre streghe, che profetizzano per Macbeth la nomina a barone di Cawdor e la successiva conquista della corona, e per Banquo la generazione di una stirpe di eredi al trono. La prima profezia si realizza non appena Macbeth, vittorioso, viene accolto da un messaggero del re, che gli annuncia la conquista del titolo. A questo punto, il nobile inizia a nutrire l’ambizione di diventare re; ma per farlo dovrebbe assassinare Duncan, sovrano al quale finora è stato fedele.

Dopo le tante letture più o meno libere, le varianti e le reinterpretazioni in chiave contemporanea (tra queste, si segnala il recente Macbeth – La tragedia dell’ambizione di Geoffrey Wright) il regista australiano Justin Kurzel decide con il “suo” Macbeth di tornare alla fonte: la sua nuova opera, infatti, è versione filologica e storicamente fedele, nello svolgimento e nell’ambientazione, dell’iconico dramma shakespeariano. Una scelta che incanala tutti lo sforzo produttivo nella sontuosa ricostruzione scenografica della Scozia del basso Medioevo, in una cupa fotografia che cerca di rendere il mood funereo della tragedia, nella scelta del cast guidato da due nomi di peso come Michael Fassbender e Marion Cotillard.

Un’impostazione, quella del film di Kurzel, all’insegna di un’esibita fedeltà, che parte dai dialoghi – che replicano nello spirito (se non nelle esatte scelte grammaticali) il linguaggio del Bardo – e che cerca di rendere la cupezza e il pessimismo dell’opera originale calcando la mano su un cotè visivo dal chiaro carattere gotico. Via libera, così, alle sequenze di massa e ai ralenty, alle apparizioni (di uomini e fantasmi) che fuoriescono dai nebbiosi paesaggi della brughiera scozzese, alle visioni esibite che accompagnano la lenta follia del protagonista. Il tutto, allo scopo di recuperare la forza primigenia di una vicenda che si è fatta archetipo, ormai sovrapposta, nel sentire comune, all’idea stessa dell’ambizione autodistruttiva.

Le opere shakespeariane, e il Macbeth in particolare, non cessano, attraverso i secoli e le generazioni, di esercitare la propria attrattiva su un pubblico sempre trasversale. Il ritorno all’origine operato da Kurzel farà quindi felici, nelle scelte linguistiche e di impianto visivo, gli spettatori più legati alla tradizione: la Scozia medievale rivive attraverso uno sfarzo scenografico di innegabile magnetismo, così come l’archetipica parabola di un uomo divorato dall’ambizione, plagiato da un sentimento succube. La cupezza dell’atmosfera scelta dal regista, esplicitata soprattutto nell’iconografia del film, rende bene (almeno nelle intenzioni) il mood allucinato, lugubre e disilluso rispetto alla natura umana, proprio dell’opera del Bardo.

Questo Macbeth, tuttavia, è sostanzialmente un’interpretazione scolastica e risaputa del dramma di Shakespeare, pur rivestita di una sontuosa confezione. Ingessata in una riproposizione pedissequa di personaggi e situazioni, immobilizzata in una narrazione letterale da cui non emerge alcuna lettura personale della vicenda, la sceneggiatura vive di luce riflessa, pallida e incapace di rendere l’anima originale del dramma. Fassbender e la Cotillard si limitano a declamare i versi del Bardo, poco convinti, e mai davvero capaci di entrare nel cuore di personaggi che restano sempre in superficie: il primo che riduce la montante ossessione del protagonista all’apparizione occasionale di un sorriso sardonico e di maniera, la seconda che cerca di gestire la gelida follia di Lady Macbeth all’insegna di un poco convinto understatement.

Resta, in questa debole interpretazione di Justin Kurzel del Macbeth, l’insistenza sulla resa visiva – e tutta esteriore – di battaglie e scene di massa, l’evidenza ripetuta (e un po’ stucchevole) delle figure umane che si stagliano nella nebbia, l’uso a volte gratuito e spesso ingiustificato dei ralenty. Segni di un formalismo che cerca di coprire una lettura poco convinta di un racconto immortale, viziata da un’evidente assenza di pathos e adesione emotiva.

Scheda

Titolo originale: Macbeth
Regia: Justin Kurzel
Paese/anno: Francia, Regno Unito / 2015
Durata: 113’
Genere: Drammatico, Guerra
Cast: Elizabeth Debicki, Michael Fassbender, David Thewlis, Marion Cotillard, Sean Harris, David Hayman, Jack Reynor, Paddy Considine, Ross Anderson, Hilton McRae, Lochlann Harris, Maurice Roëves
Sceneggiatura: Jacob Koskoff, Todd Louiso, Michael Lesslie
Fotografia: Adam Arkapaw
Montaggio: Chris Dickens
Musiche: Jed Kurzel
Produttore: Laura Hastings-Smith, Iain Canning, Emile Sherman
Casa di Produzione: Creative Scotland, Anton Capital Entertainment, StudioCanal, DMC Film, Film 4, See-Saw Films
Distribuzione: Videa

Data di uscita: 05/01/2016

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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