INLAND/MESETA

INLAND/MESETA

Juan Palacios porta in scena in Inland/Meseta le sue radici e quelle di un’intera porzione del suo Paese, in bilico tra passato arcaico e modernità alle porte. Meritatamente insignito del Premio Miccichè alla 55a Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro.

Micromondi (in)finiti

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Il film che ha, meritatamente, trionfato nel Concorso della 55a edizione della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro è Inland/Meseta dello spagnolo Juan Palacios, giovane cineasta operante nel campo del video sperimentale, tra documentario di osservazione e saggio-diario visivo. Dopo il pluripremiato documentario d’esordio Pedalò, con l’opera seconda Palacios arriva al prodotto ibrido, al “cinema del reale” contaminato con il dispositivo/cornice finzionale che funge da collante programmatico, da profonda motivazione artistica.

In un luogo imprecisato della Spagna centrale, incontriamo una miriade di personaggi, veri abitanti di quelle terre: un pastore che sogna di andare a vedere il lago Titicaca, un duo musicale in pensione che ricorda l’epoca d’oro, un anziano che, per addormentarsi, conta tutte le case vuote del paese e tanti altri, ognuno portatore di una testimonianza (anagrafica, sociale o culturale) dei cambiamenti intercorsi negli ultimi anni anche in luoghi che, all’apparenza, appaiono immoti e immutabili. La macchina da presa, fin da subito, grazie a un piano sequenza che segue il movimento di un gregge di pecore, s’immerge nei luoghi raccontati, restituendo una sensazione di vicinanza e prossimità con la materia trattata che aumenterà sempre di più con il passare dei minuti, grazie anche a un drastico cambio stilistico tra la prima e la seconda parte. Mentre nelle prime scene davanti all’obiettivo si cerca di ricostruire dialoghi tra persone/personaggi, da un certo punto in poi questi ultimi si rivolgono direttamente alla macchina da presa sfondando la quarta parete, includendo il regista/operatore nel discorso, accogliendolo, di fatto, nella comunità come membro a tutti gli effetti.

Nonostante il carattere inevitabilmente diseguale dell’opera, con momenti riusciti e altri meno, rimane sempre chiaro l’orizzonte tematico e il quadro d’insieme: elogio dell’arcaica natura selvaggia e inevitabile resa alla civiltà, totale mancanza di attrattiva per le giovani generazioni e nostalgia (sempre almeno a un passo dallo scadere nel nostalgismo fine a se stesso) per tempi andati più semplici (ma anche molto più cupi, se pensiamo alla dittatura franchista, mai nominata ma che aleggia come un oscuro demone in più di un momento), più immediatamente decrittabili, più inclini alla netta presa di posizione.

Estrapoliamo due sequenze, tra le tante, che contribuiscono a esplicitare le intenzioni registiche. Due ragazzine, uniche persone “non adulte” mostrateci, giocano a Pokémon Go e non trovano nulla, vagando tra alberi e arbusti inutilmente; il contatto con il resto del Paese è garantito, invece, da una mastodontica antenna radiofonica, e l’intervento di un ascoltatore, invero abbastanza didascalico, riassume in pochi minuti la situazione attuale di quello e mille altri posti simili sparsi per il continente europeo. Disancorati dall’ancestrale e fruttifero rapporto con la Madre Terra, i paesani emigrati vivono sentimenti bipolari, di nostalgia verso i paesi natii e di repulsione verso la soffocante chiusura all’estraneo e al diverso di microsocietà radicalmente conchiuse in se stesse.

Ci siamo concentrati, finora, sugli aspetti tematici, ma la vera forza di Inland/Meseta risiede nell’impatto visivo e sonoro, nei campi lunghi dove l’unica quinta possibile è l’orizzonte, nella sapiente (ri)scoperta di angoli nascosti, abitudini desuete, sempre riprese dalla giusta distanza, una presenza/assenza che alterna regia “invisibile” ad angolazioni o posizioni di camera fortemente accentuate e deformanti. Il regista ha girato tanto materiale in quei luoghi (i luoghi delle sue vacanze estive dell’infanzia) nel corso di quattro consecutive estati, la stagione del lavoro agricolo più duro e pesante, oggi compiuto da macchine che alleviano la fatica, trattori, trebbiatrici, meccanismi per la pressatura dell’uva. Ma vediamo anche un anziano che pesta i chicchi con i piedi, alla vecchia maniera, e, all’opposto, un ragazzo che videogioca, nel suo salotto, con un simulatore di macchina agricola (!!!). Estremi che s’incontrano, magari si sfiorano, per poi proseguire lungo strade sempre più parallele, destinate (forse)a non incontrarsi più.

Inland/Meseta è un film prezioso, dunque, che diverte e commuove, che inizia e termina a piombo, nel cielo, e ci fa osservare il micromondo (anche) dall’alto: per ribadirne la fragilità, la finitezza, la chiusura e l’incipiente status di fragile anfora di coccio a un passo dall’andare in pezzi.

Scheda

Titolo originale: Inland/Meseta
Regia: Juan Palacios
Paese/anno: Spagna / 2019
Durata: 90’
Genere: Drammatico
Cast: Clemente Perez, Juan Manuel Soto, Lara Manias, Prudencio Diez
Sceneggiatura: Juan Palacios
Fotografia: Juan Palacios
Montaggio: Juan Palacios

Trailer

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