LA DEA FORTUNA

LA DEA FORTUNA

Con La dea fortuna, Ferzan Ozpetek torna a raccontare l'ambiente borghese che gli è congeniale, mettendo in scena la crisi di una coppia e tentando di riflettere sui ruoli di caso e intento nelle vicende umane; ma il film è stanco, e trova qualche sussulto solo nella sua parte finale.

La fortuna (s)velata

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Dopo l’esperimento “di genere” (pur declinato – molto – alla sua maniera) di Napoli velata, Ferzan Ozpetek torna con questo La dea fortuna a raccontare il suo mondo, quello borghese, attraverso la crisi di una coppia composta da due uomini, e la destabilizzazione del suo status quo con l’ingresso di due bambini. La coppia in questione è quella formata da Arturo e Alessandro, il primo scrittore e professore universitario mancato, costretto a sbarcare il lunario con le traduzioni, il secondo idraulico; i due, che sono insieme da quindici anni, hanno ormai visto sfumare la passione che contraddistingueva i primi anni di convivenza, e il loro rapporto entrare in crisi a causa della mancanza di comunicazione. L’inaspettata svolta arriva quando Annamaria, madre single e migliore amica di Alessandro, è costretta a ricoverarsi in ospedale per accertamenti, chiedendo ai due di badare ai due figli Martina e Alessandro. L’ingresso dei due bambini nel rapporto, unito all’incertezza sulle condizioni di salute di Annamaria, costringerà i due uomini a una revisione sincera di una situazione ormai sclerotizzatasi, guardando in faccia la crisi e le sue motivazioni.

Il prologo de La dea fortuna, con un lungo piano sequenza negli interni di un’antica residenza nobiliare, il cui senso e collocazione narrativa saranno chiari solo alla fine del film, si pone da qualche parte tra l’esplorazione del passato (e dei suoi terreni fantasmi) tipica del cinema di Pedro Almodóvar (autore a cui il regista turco continua a guardare) e il senso di – pur involuto – mistero che aveva caratterizzato il suo film precedente. Proprio il tema esplicitato dal titolo, nonché la presenza nella storia della location del Santuario della Fortuna Primigenia, sito nella città di Palestrina, farebbe pensare a un fil rouge a legare le due ultime regie di Ozpetek; un filo conduttore insito nella presenza di luoghi caricati di mistero, e nell’intervento di una qualche volontà sovrannaturale – nelle vesti di un fantasmatico amante, o di una divinità che governa il caso – a condizionare le terrene vicende dei protagonisti. Una parentela, tuttavia, che resta più teorica che effettiva, che Ozpetek tenta di sviluppare solo nell’ultima parte del suo film: l’unica, invero, in cui il regista sembra prendersi qualche rischio sul piano dell’accelerazione in senso melò della storia, e di una tensione narrativa che per tutto il resto dell’opera resta come bloccata.

Di fatto, per circa tre quarti della durata de La dea fortuna ci si chiede quale sia il senso (al di là di un rapido cenno fatto dal personaggio della piccola Martina) del titolo stesso; ciò in quanto le vicende dei due protagonisti – coi volti, abbastanza ben assortiti, di Stefano Accorsi ed Edoardo Leo – mostrano molto di terreno e, nelle loro evoluzioni, ben poco di demandato al caso. Quella a cui assistiamo, dopo la prima, un po’ didascalica sequenza a sottolineare l’humus socio-culturale in cui la coppia si muove – con la multietnica e programmaticamente colorata realtà del loro vicinato – pare una classica crisi di coppia di mezza età; crisi traslata tal quale nel contesto di un rapporto tra due uomini, appena aggiornata nella composizione del “contorno” ma descritta in modo ugualmente risaputo, con molti (troppi) dialoghi, schermaglie e descrizioni a evitare le eventuali – e potenzialmente più interessanti – verità del non detto. La carnalità che in passato aveva contraddistinto (nel bene e nel male) il cinema del regista, sembra tagliata fuori in favore di un dramma verboso, che ha la necessità di illustrare ogni fase della crisi di coppia, lasciando in secondo piano il resto della tessitura narrativa: i due bambini, a questo proposito, restano sacrificati per non dire trascurati, o utilizzati in modo discutibile quando non strumentale (si veda il montaggio che mostra, parallelamente, un litigio tra i due personaggi adulti e quello tra i due bambini).

Soffre di un’inutile dilatazione dei tempi, La dea fortuna, indugiando su eventi narrativamente superflui (la breve fuga dei due ragazzini al supermercato), mostrando incastri di trama pretestuosi e meccanici (la scoperta del tradimento da parte di uno dei due personaggi) e impiegando un tempo decisamente troppo lungo prima di tirare i fili della vicenda: è proprio quando l’ambientazione della storia si sposta, e il senso del prologo – intuibile solo nei suoi contorni di base – diviene chiaro, che Ozpetek incolla a ciò che aveva finora mostrato una specie di altro film: un film che finalmente fuoriesce dall’asfittico contesto borghese abitato dai due protagonisti per mostrarne un altro, altrettanto asfittico ma capace di dare un diverso respiro alla trama. Due segmenti, a cui dovrebbe fare da trait d’union il personaggio – altrettanto irrisolto – interpretato da Jasmine Trinca, che il regista non riesce ad amalgamare al meglio, a dare vita a uno stacco decisamente troppo netto in termini di ritmo e messa in scena. L’evoluzione della vicenda, specie di quella sentimentale, resta decisamente poco credibile nei suoi sviluppi, mentre lo svolgimento del tema racchiuso nel titolo, ridotto alla sua versione più banale – nella didascalica illustrazione del “trucco magico” evocato dalla storia della Dea – delude decisamente le aspettative.

Se da un lato, quindi, La dea fortuna rappresenta una sorta di ritorno alle origini per il cinema di Ozpetek, dopo il tentativo di digressione di genere di Napoli velata, dall’altro il film mostra tutti i limiti (nonché la rapida usura) della formula del regista turco, stretto nella descrizione di bozzetti sociali sempre più autoreferenziali; una formula ridotta a un corollario di situazioni, facce e topoi (anche qui ritroviamo la macchina da pressa che ruota intorno ai personaggi, durante un dialogo) che hanno ormai perso qualsiasi potenziale di novità. La sua regia, che anche in quest’ultimo film inanella alcune buone sequenze, oltre a un’innegabile eleganza generale, non riesce a coprire una sempre più evidente crisi di idee.

La dea fortuna poster locandina

Scheda

Titolo originale: La dea fortuna
Regia: Ferzan Ozpetek
Paese/anno: Italia / 2019
Durata: 114’
Genere: Drammatico
Cast: Edoardo Leo, Sara Ciocca, Barbara Chichiarelli, Dora Romano, Edoardo Purgatori, Filippo Nigro, Jasmine Trinca, Stefano Accorsi, Matteo Martari, Serra Yilmaz, Barbara Alberti, Edoardo Hendrik, Loredana Cannata, Pia Lanciotti, Cristina Bugatty, Edoardo Brandi, Osasere Imafidon
Sceneggiatura: Ferzan Ozpetek, Gianni Romoli, Silvia Ranfagni
Fotografia: Gian Filippo Corticelli
Montaggio: Pietro Morana
Musiche: Pasquale Catalano
Produttore: Gianni Romoli, Tilde Corsi
Casa di Produzione: Warner Bros., R&C Produzioni, Faros Film
Distribuzione: Warner Bros. Entertainment Italia

Data di uscita: 19/12/2019

Trailer

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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