FUNNY FACE

FUNNY FACE

Presentato nella sezione Le stanze di Rol del Torino Film Festival 2020, Funny Face è un’ironica destrutturazione – da parte di un regista esperto come Tim Sutton – del noir urbano e del road movie di stampo crime, con protagonista una coppia improbabile quanto efficace, in una New York che si sta rapidamente trasformando.

Vivere e vendicarsi a New York

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Ambientato in una New York in costante mutamento, ospitale e respingente al tempo stesso, Funny Face è una riflessione sociologica sulla metropoli – e sulle sue trappole – sotto la forma del film di genere. Un materiale, quello del noir urbano, che il regista Tim Sutton (Dark Night, Donnybrook) conosce e maneggia da sempre al meglio. Al centro della storia ci sono qui Saul e Zama: il primo è un giovane senza un lavoro fisso, che vive con i nonni in una casa che sta per essere demolita a seguito di una speculazione edilizia; la seconda, una ragazza musulmana che abita a casa degli zii dopo la morte di suo padre, ed è insofferente alle regole da loro imposte. Il loro incontro, casuale, farà scattare una sorta di scintilla a bassa intensità: i due trovano progressivamente conforto l’uno nell’altra, in una città meravigliosa e pericolosa, che sta subendo una rapida mutazione sotto i loro occhi. Ma Saul, che indossa per gran parte del tempo una maschera che raffigura un ghigno, si è convinto di essere una specie di vendicatore, ed è deciso a farla pagare all’uomo che sta per cacciarlo dalla sua casa.

Guarda ironicamente al road movie dalle tinte crime, Funny Face, a classici come Gangster Story e La rabbia giovane, solo per rovesciarne le premesse e cambiarne gli assunti: il viaggio di Saul e Zama è tutto interno al dedalo delle vie della metropoli, trappola e grembo materno al tempo stesso. Quello dei due ragazzi è un vagare privo di meta, che può concludersi con l’omicidio, e la conseguente perdita dell’innocenza, o il ritorno al punto di partenza: un viaggio che ha fin dall’inizio i crismi dell’amarezza e della sconfitta. Saul fa il verso a James Dean, modello e ossessione al tempo stesso – al punto di diventare materiale per un incubo; ma il suo essere rebel without a cause è quello di un puntino minuscolo in un macrocosmo indifferente, incapace persino di guidare un’automobile, che si appassiona alle sorti della squadra di basket locale (anche) perché è composta da perdenti come lui. Zama è altresì un corpo estraneo nel contesto metropolitano, che cambia il suo Niqab (il velo integrale che lascia scoperti solo gli occhi) con un più agile Hijab, e che per la prima volta prova a esplorare la città coi suoi occhi. Occhi vivi e curiosi, che trovano nel giovane un complemento improbabile quanto efficace.

È episodica, la sceneggiatura di Funny Face, semplicemente perché episodico è il peregrinare dei due protagonisti, con solo un vago obiettivo in testa (la vendetta di Saul), e nessuna idea concreta su come realizzarlo; obiettivo che viene frustrato e ridicolizzato persino da un manifestante che lancia uova, obbligando il giovane a una frettolosa ritirata. Dall’altra parte, vediamo scorci di una borghesia che ha subito a sua volta una trasformazione antropologica, da classe di ricchi benestanti che fanno crescere una città, a mandria di predatori e speculatori, guidati da un leader che viene snobbato persino dalle escort che gli vengono mandate in casa – in una scena tanto esplicita quanto volutamente intrisa di squallore. Eppure, quella stessa borghesia decadente sembra destinata ad avere la meglio, a prescindere dal successo o meno dello sgangherato piano di Saul. L’amarezza del film di Tim Sutton, il senso di sconfitta che grava su tutta la narrazione, è mitigato dallo svilupparsi del rapporto tra i due giovani, come coppia tanto apparentemente mal assortita quanto in realtà funzionante, capace di rappresentare una minuscola isola di salvezza in un mondo che sta rapidamente crollando loro intorno.

Funny Face destruttura il noir urbano e riflette ironicamente sui suoi topoi, alternando il giorno e la notte senza soluzione di continuità, facendo del paesaggio metropolitano – compreso quello marittimo di una Coney Island spopolata – un organismo vivo più che un mero sfondo per le vicende dei due protagonisti. Questi ultimi, da par loro, si immergono in questa città che è mamma e puttana al tempo stesso, ne penetrano gli anfratti e ne osservano silenziosi i cambiamenti, traendo un alito di sollievo dalla semplice vicinanza reciproca. Così, il film di Tim Sutton diventa da un lato ironica meta-riflessione sui generi classici del cinema hollywoodiano (il crime movie on the road, il noir), dall’altra impietoso ritratto di un tessuto urbano sempre più genericamente multietnico, ma anche sempre più incapace di farsi davvero spazio partecipato per i suoi abitanti. Un’operazione teorica e carnale al tempo stesso, sotto la forma di un cinema che non rinnega mai la sua natura di genere e il suo prioritario rapporto con lo spettatore, terminale ultimo di un intrattenimento intelligente e di spessore.

Funny Face poster locandina

Scheda

Titolo originale: Funny Face
Regia: Tim Sutton
Paese/anno: Stati Uniti / 2010
Durata: 95’
Genere: Drammatico, Thriller
Cast: Victor Garber, Jeremy Bobb, Jonny Lee Miller, Rhea Perlman, Cosmo Jarvis, Dan Hedaya, Danny Garcia, Barzin Akhavan, Dela Meskienyar, Lawrence Oliver Cherry
Sceneggiatura: Tim Sutton
Fotografia: Lucas Gath
Montaggio: Kate Abernathy
Musiche: Phil Mossman
Produttore: Alexandra Byer, Madeleine Askwith, Andrew Morrison
Casa di Produzione: Yellow Bear Films, Rathaus Films

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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