BLOCKADE

BLOCKADE

Al Trieste Film Festival è la volta di Blockade, documentario di Hakob Melkonyan sulla vita di una famiglia in un villaggio di confine nel Nagorno Karabakh, enclave caucasica sconvolta dal conflitto perenne tra armeni e azeri. Resoconto empatico dal discreto impatto visivo di una normalità ibrida. Frammenti di una vita quotidiana che raccoglie al suo interno l’ordinario e lo straordinario, la speranza di un domani e la minaccia di una brusca interruzione del discorso. Da vedere.

Lungo il confine

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“Mamma, perché non lasciamo il villaggio?

Da circa trent’anni Armenia e Azerbaigian combattono per il controllo del Nagorno Karabakh, 8223 km² di ruvido Caucaso meridionale senza sbocco sul mare. Una recrudescenza delle ostilità in questa guerra senza fine è occorsa nel settembre del 2020, mobilitando l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale fino al raggiungimento di un cessate il fuoco quanto mai fragile, operativo dal novembre successivo. Blockade (Blocus), documentario presentato in anteprima internazionale al Trieste Film Festival 2021, punta i riflettori su una parentesi poco approfondita di questa turbolenta storia contemporanea.

Il villaggio di Chinari, lungo il confine dell’enclave armena, rappresenta qualcosa di più di una mera curiosità documentaria per il regista Hakob Melkanyan. È da questo sperduto avamposto di frontiera che muove i primi passi la vicenda della sua famiglia. E precisamente qui la macchina da presa del giovane autore armeno indugia, la quotidianità stravolta dalla minaccia permanente del conflitto, per raccontarci la vita affannata ma non scevra di speranze della famiglia Petrosyan. Blockade, dal rigoglio della primavera ai rigori dell’inverno, è la storia di una casa e di una famiglia. I più vicini al confine nella città più vicina al confine.

I Petrosyan sono cinque, madre padre e tre ragazzi (due femmine e un maschio). Ciascuno ha il suo ruolo, e a ciascuno è riservata una porzione di tempo e di attenzione. Un posto speciale tuttavia Blockade lo riserva al giovane Alik, 14 anni circa. Alter ego del regista che nel ragazzo rintraccia una sintonia di speranze, impazienza e vitalità con l’adolescente che è stato a suo tempo. Suo è l’interrogativo scelto in apertura, e merito va alla madre di Alik per aver scelto di non nascondere le sue ragioni dietro una cortina di mezze parole. A domanda segue risposta. E la risposta è che non si abbandona la propria casa.

Perché casa è il riflesso di una vita sul filo del rasoio. L’incarnazione di una precarietà totalizzante, in cui il domani è un perenne punto interrogativo che smorza qualsiasi velleità di lungo termine. Eppure. Non c’è altro posto che sappia accogliere meglio gli affetti, replicare le tradizioni e coltivare speranze, sfiancate dall’attesa ma dure a morire.

Blockade è cronaca di un tempo sospeso, l’incastro di opposti che partoriscono una strana normalità, una vita che trova la sua ragion d’essere nella volontà di venire a patti con la confusione nonostante tutto. Il racconto di una giornata dopo l’altra. La banalità di una conversazione interrotta dalla corsa al rifugio, una visita in chiesa sotto il tiro dei cecchini. Il lancio della granata, curiosa ginnastica. Il turno di notte a sparare sulla frontiera. Lo splendore del sole primaverile e il fango, la luce di una candela. Un elogio della leggerezza in un mondo pesante, che il film restituisce con dignità, e sincera empatia.

Blockade (2020) poster locandina

Scheda

Titolo originale: Blocus
Regia: Hakob Melkonyan
Paese/anno: Francia, Armenia / 2020
Durata: 85’
Genere: Documentario
Sceneggiatura: Hakob Melkonyan
Fotografia: Hakob Melkonyan, Arsen Khechoyan, Avetik Grigoryan
Montaggio: Justine Hiriart
Musiche: Avid Adir
Casa di Produzione: Leitmotiv Production, Lyon Capitale TV, Hayk Film Studio

Trailer

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Nato a Roma a un certo punto degli anni '80 del secolo scorso. Laurea in Scienze Politiche. Amo il cinema, la musica, la letteratura. Aspirante maratoneta.

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