ARRIVAL

ARRIVAL

Traendo spunto da un racconto breve dello scrittore Ted Chiang, ricollegandosi a un filone che attraverso la sci-fi vuole interrogarsi su questioni di portata universale, Denis Villeneuve dirige con Arrival quello che è finora il suo miglior film: un lucido, intenso e coerente apologo sul potere del linguaggio.

Il linguaggio generatore

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Contemporaneamente, in dodici diversi punti del globo, dodici astronavi aliene, soprannominate gusci, atterrano sul suolo terrestre. I visitatori sembrano comunicare solo attraverso un complesso, al momento indecifrabile linguaggio visivo; i governi, incapaci di comprendere le loro intenzioni, si interrogano sul da farsi. Il governo statunitense, che deve gestire l’atterraggio di un guscio nel Montana, chiede la consulenza della linguista Louise Banks, per cercare di venire a capo del mistero celato dietro alla lingua degli alieni. L’accademica si troverà a lavorare fianco a fianco con il fisico teorico Ian Donnelly e con un colonnello dell’esercito di nome Weber. Louise inizia a decifrare parte dei messaggi degli alieni; ma quando, interrogati sulle ragioni della loro venuta, gli extraterrestri replicano con un termine che sembra suggerire intenzioni bellicose, la paura prende il sopravvento.

Tra i più noti registi canadesi contemporanei, fautore di un cinema dal forte portato personale e autoriale, Denis Villeneuve è stato da qualche anno “cooptato” dall’industria hollywoodiana, riuscendo tuttavia a mantenere (fin dal thriller Prisoners) un ottimo equilibrio tra il suo sguardo umanista e le sempiterne esigenze del botteghino. Nel suo soggiorno a Hollywood, e nella sua obliqua esplorazione dei generi, il regista non aveva ancora toccato la science fiction, filone fondativo (non solo per il cinema statunitense) nonché declinabile nei più svariati modi. Andando a collocarsi in un solco (ri)aperto tre anni fa dal discusso Interstellar di Christopher Nolan, Arrival colora la fantascienza di suggestioni filosofiche, di riflessioni sul tempo, la vita e la morte, di una carica umanista capace di impattare tanto temi atemporali come quello degli affetti, quanto istanze strettamente legate alla contemporaneità.

Mettendo in scena la dialettica tra la visione strettamente scientifica, appannaggio del fisico interpretato da Jeremy Renner, e quella legata al linguaggio e alla sua intrinseca malleabilità, incarnata dal personaggio di Amy Adams, Villeneuve confeziona un’opera in cui lo sguardo dello spettatore si identifica progressivamente con quello, a sua volta in lenta trasformazione, dei due protagonisti. La visione, la decodifica e la comprensione di ciò che vediamo sullo schermo sono chiamate a fare i conti con la ridefinizione costante delle basi del racconto, influenzata fin dall’inizio dall’ambigua azione delle creature. In tutto ciò, la riflessione sul potere del linguaggio, e sul suo potenziale alternativamente salvifico o distruttivo, l’importanza di una comunicazione capace di influenzare in modo decisivo il modo di pensare, e finanche le basi stesse della realtà, si legano a doppio filo a un acuto sguardo sulla contemporaneità e sulle sue tare. Il punto di approdo è un’ipotesi che, pur nel suo potenziale “rivoluzionario”, mantiene per le sue implicazioni un alto grado di problematicità.

Memore della visione dei classici degli anni ‘50 (Ultimatum alla terra su tutti) filtrata dalla reinterpretazione spielberghiana, ma più che mai calata in una contemporaneità ostica e contraddittoria, Villeneuve si cimenta con la sci-fi dirigendo quello che è forse il suo miglior film. Arrival, oltre a essere un’opera di fantascienza che aderisce con fedeltà ai canoni del genere (e che di questo riprende le migliori suggestioni) è un saggio filmico di filosofia del linguaggio, portato allo spettatore nella sua forma più popolare e leggibile. È difficile non restare ammirati dalla capacità del regista di coniugare intrattenimento – maneggiato nella sua forma migliore – e spinte autoriali, tensione di genere e riflessioni dalla portata universale. La limpidezza della visione del regista si esplicita anche nella resa scenografica dell’interno del guscio alieno, un non luogo asettico eppure palpitante, che replica una visione dell’universo altra e complementare rispetto a quella umana.

Produttrice di una malia che non diviene mai vuoto cotè new age, sempre attenta a far ricadere le sue suggestioni nella concretezza dell’esistenza umana, la regia di Villeneuve è lucida e avvolgente, capace di tradurre al meglio in immagini, e atmosfere, le suggestioni di un’ottima sceneggiatura (figlia, quest’ultima, di un racconto breve dello scrittore Ted Chiang). Film prezioso, costellato di ottime prove d’attori (Amy Adams su tutti), Arrival resta teso e potente per tutti i suoi 116 minuti di durata, schivando sapientemente, anche in un finale emotivamente molto forte, qualsiasi trappola declamatoria. Un’opera, quella di Villeneuve, che punta sì a intrattenere, ma il cui potenziale cinematografico, e la cui attitudine da cinema popolare, non restano mai disgiunti da una ricerca tematica e formale che raggiunge qui vette di grande lucidità.

Scheda

Titolo originale: Arrival
Regia: Denis Villeneuve
Paese/anno: Stati Uniti / 2016
Durata: 116’
Genere: Drammatico, Fantascienza
Cast: Jeremy Renner, Amy Adams, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Frank Schorpion, Mark O’Brien, Tzi Ma, Abigail Pniowsky, Jadyn Malone, Julia Scarlett Dan
Sceneggiatura: Eric Heisserer
Fotografia: Bradford Young
Montaggio: Joe Walker
Musiche: Jóhann Jóhannsson
Produttore: Shawn Levy, Dan Levine, David Linde, Karen Lunder, Aaron Ryder
Casa di Produzione: FilmNation Entertainment, 21 Laps Entertainment, Lava Bear Films
Distribuzione: Warner Bros.

Data di uscita: 19/01/2017

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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