MIDSOMMAR – IL VILLAGGIO DEI DANNATI

MIDSOMMAR – IL VILLAGGIO DEI DANNATI

Più lineare del precedente film di Ari Aster, ma al contempo pregno di suggestioni, quasi ubriacante nella sua costruzione visiva, Midsommar - Il villaggio dei dannati ribadisce la saldatura tra l’elemento familiare dell’orrore e quello antropologico, confermandoci di essere di fronte a un nuovo autore.

La lucentezza del male

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Quello di Hereditary – Le radici del male, film che mescolava i motivi dell’orrore quotidiano a uno sguardo “antropologico” insolito per il genere, è stato senz’altro uno dei più sorprendenti esordi – non solo nell’ambito del cinema horror – degli ultimi anni. Dopo una gavetta relativamente breve nel campo dei corti, il regista Ari Aster aveva mostrato nel suo lungometraggio d’esordio una personalità e una cifra stilistica assolutamente originali, che avevano fatto sorgere una giustificata curiosità per la sua opera seconda. Con la visione di questo Midsommar – Il villaggio dei dannati (il sottotitolo italiano può a ragione essere definito come tra i più inutili degli ultimi anni) un primo verdetto crediamo di poterlo dare con sufficiente certezza: sì, quello di Aster è un approccio genuinamente autoriale al genere, e sì, il suo modo di fare cinema, le sue tematiche e i suoi motivi ricorrenti iniziano a configurarsi come una vera e propria poetica. Può sembrare azzardata, un’affermazione del genere, dopo appena due lungometraggi: ma la visione di questo secondo film mostra una coerenza, e un filo conduttore così chiaramente individuabile che lo lega all’esordio, da far pensare – auspicare, forse – di essere davvero di fronte a un nuovo autore.

Non punta a shockare, Midsommar – Il villaggio dei dannati, almeno non col meccanismo del plot twist, o con eventi che devino da un canovaccio i cui sviluppi sono facilmente individuabili già dai primi minuti. Rispetto a un Jordan Peele – per citare un altro dei nomi più in vista nel genere nel corso degli ultimi anni – l’approccio di Aster è più classico e debitore delle radici del genere, e al contempo più universale e meno strettamente legato alla contemporaneità. Se nel film precedente era l’istituzione familiare a essere incubatrice e vettore iniziale dell’orrore, qui si risale in qualche modo ancor più alla radice del discorso, mostrando un rapporto di coppia squilibrato e disfunzionale, che si fa primo, reale trigger orrorifico. Tutto lo shock e l’inatteso, in questo nuovo film di Aster, è concentrato nei minuti iniziali, quelli che precedono i titoli di testa e mostrano le impressionanti – e straordinariamente realistiche – immagini del suicidio della famiglia della giovane Dani. Poi, l’odissea che coinvolge la coppia protagonista e gli amici di lui, con la partenza verso la comune hippie svedese, il primo destabilizzante contatto con le usanze locali, l’inquietudine, le sparizioni e la scoperta di un vero e proprio culto malefico, è una semplice conseguenza di quel primo squilibrio: Dani è fin dall’inizio portatrice “sana” (benché inconsapevole) di un orrore che troverà il suo naturale sbocco nei rituali della comunità. Gli eventi di cui la ragazza sarà testimone, per quanto violenti, si riveleranno tutt’altro che imprevedibili.

In questo senso, Midsommar – Il villaggio dei dannati deluderà forse chi cerchi nel genere uno spiazzamento che sia più “epidermico”, più legato ai meccanismi di base del racconto – qui tutt’altro che esempio di complessa elaborazione narrativa, e anzi non esente da forzature – e meno teorico e legato alla materia dell’orrore. Le carte, in questo film, il regista le scopre quasi subito, invitando lo spettatore a seguirlo in un crescendo di violenze sempre più grafiche nella loro rappresentazione, e in un susseguirsi di bad trip di cui sconvolge la radicalità della messa in scena, più che l’imprevedibilità della progressione. Nulla ci viene risparmiato, in fatto di elaborazione esplicita di un orrore che vuole mostrarsi, fin da subito, per quello che è: il risultato di un’utopia comunitaria e preindustriale che trova in una diversa gestione dei gruppi primari – e in una sempre più chiara predominanza dell’elemento matriarcale – la sua principale ragion d’essere. La malia esercitata dalla comune hippie sulla protagonista è evidente fin dal primo “shock” di cui la ragazza è testimone, da un volto – ripreso in primo piano – su cui da subito leggiamo, insieme all’orrore, la confusa ed embrionale adesione. In questo senso, colpisce anche il capovolgimento di un luogo comune dell’horror “rurale”, che rappresenta il viaggio dal contesto urbanizzato ai territori selvaggi come una discesa dalla luce verso l’oscurità: qui il percorso è rovesciato, visto che le sequenze ambientate in città sono interamente riprese al buio, mentre la comune hippie svedese è immersa in un giorno perenne.

Qualcuno azzarderà letture psicanalitiche, per un film come Midsommar – Il villaggio dei dannati, leggendone la trama come un incubo di matrice maschile (se non misogina) e una rappresentazione del rapporto di coppia come pregno di paure ancestrali per la figura – e la malìa – dell’elemento femminile col suo potere condizionante. Forzature che non tengono conto del più generale discorso sulla famiglia borghese, sul permanere al suo interno di una ritualità figlia di un passato preindustriale, e sulla tensione verso una fuga che significa anche annullamento di tutte le sovrastrutture della modernità, che Aster porta avanti con grande lucidità fin dal film precedente. Il regista reitera la saldatura tra l’elemento antropologico, figlio di uno studio appassionato lì delle tradizioni della stregoneria, qui di certo neopaganesimo nordico, e la più generale rappresentazione dei rapporti umani – in primis di quelli di coppia – all’interno della società moderna. Il risultato è un film narrativamente lineare quanto incredibilmente denso di immagine e contenuto, visivamente quasi ubriacante nella cura maniacale della sua messa in scena, violento tanto nella sostanza degli eventi che mostra, quanto nella lucentezza brutale che utilizza per porli sullo schermo. Un’opera capace di annunciare un colpo e poi renderlo ugualmente (se non ancor più) doloroso. Cinema radicale, quindi, nel senso più alto e onnicomprensivo del termine.

Scheda

Titolo originale: Mindsommar
Regia: Ari Aster
Paese/anno: Stati Uniti, Svezia / 2019
Durata: 147’
Genere: Horror, Drammatico
Cast: Florence Pugh, Will Poulter, William Jackson Harper, Archie Madekwe, Ellora Torchia, Jack Reynor, Anna Åström, Gunnel Fred, Isabelle Grill, Mats Blomgren, Tomas Engström, Vilhelm Blomgran
Sceneggiatura: Ari Aster
Fotografia: Pawel Pogorzelski
Montaggio: Lucian Johnston
Musiche: The Haxan Cloak
Produttore: Patrik Andersson, Lars Knudsen
Casa di Produzione: B-Reel Films, Parts and Labor
Distribuzione: Eagle Pictures

Data di uscita: 25/07/2019

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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