PARASITE

PARASITE

Dalla confezione rutilante e sopra le righe, eppure straordinariamente coerente, Parasite porta il più ambito riconoscimento – quello della Palma d’Oro – al cinema di Bong Joon-ho: premio per un lavoro che attraversa i generi, per proporre un affresco personalissimo sulla società sudcoreana e le sue deviazioni.

Spazi contaminati

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Dopo l’esordio in lingua inglese con Snowpiercer (2013) e l’esperimento fantasy, sempre in co-produzione, di Okja (2017) – distribuito da Netflix e già in concorso sulla Croisette – Bong Joon-ho torna con questo Parasite a una produzione di marca interamente locale. Non è un caso, probabilmente, che proprio questa sorta di “ritorno alle radici”, per il regista sudcoreano, gli abbia procurato quello che è finora il più alto riconoscimento della sua carriera: una Palma d’Oro storica, la prima mai vinta da una produzione della Corea del Sud, accompagnata da un riconoscimento di critica praticamente unanime. Un risultato che, dopo la tiepida accoglienza ricevuta da Okja – condizionata anche, in parte, dalla poca simpatia per la piattaforma distributiva scelta (e non intendiamo, qui, tornare sulla querelle) – impone definitivamente il cinema di Bong all’attenzione del pubblico internazionale.

Nella ricognizione sui generi, colta e straordinariamente eclettica, portata avanti da Bong in circa un quindicennio di cinema, l’operazione di Parasite è forse quella più personale, e a suo modo radicale. Il film, profondamente calato nella realtà attuale della Corea del Sud, capace di trasmettere le inquietudini e le contraddizioni di una società che sempre più scimmiotta modelli e stili di vita – i più deleteri – dell’Occidente, può essere definito in modo molto generico una dark comedy. Definizione che non esaurisce la complessità del film, rappresentando semmai solo un punto di partenza per la sua analisi: in 132 minuti densi e compatti, ricchi di eventi e tematiche, il film attraversa quasi tutto lo spettro possibile dei generi, muovendo dalla commedia sociale fino a una singolare forma di thriller grottesco, passando per divagazioni quasi horror ed emergendo in un dramma familiare amaro e realistico. Un insieme eterogeneo eppure caratterizzato da rara coerenza.

La rapacità come norma sociale

Parasite recensione

La trama è incentrata su una famiglia proletaria che vive di lavoretti e del sussidio di disoccupazione, che con uno stratagemma riesce a trovare un impiego nella dimora di una coppia dell’alta borghesia. Inizia quasi per caso, l’introduzione di Ki-taek e Sook, padre e madre, e dei figli Ki-woo e Ki-jeong, nella quotidianità della ricca famiglia, quando il ragazzo viene suggerito da un amico come tutor per la figlia adolescente della coppia; da allora, l’abilità nel mentire e l’improvvisazione portano i quattro membri a essere impiegati uno per uno nella lussuosa dimora, con identità e referenze fittizie. Ma la messa in scena, prevedibilmente, non sarà destinata a durare, mentre la falsa accoglienza e amabilità dell’ambiente borghese mostrerà presto il suo vero volto.

Mette tanta carne al fuoco in questo suo ultimo lavoro, Bong, e lo fa con una precisa idea della direzione da prendere e del mix di ingredienti da consegnare allo spettatore. Parasite è innanzitutto una riflessione al vetriolo su un capitalismo sempre più rapace, spogliato di qualsiasi coloritura umanistica, tanto più crudele quanto più sciocco e autoreferenziale – a suo modo quasi naif – nell’atteggiamento di chi ne beneficia; un ironico e amaro affresco sul solco sempre più profondo che separa la borghesia dal proletariato urbano, l’opulenza ignara della sua stessa tracotanza, dalla miseria di uno scantinato in cui la gioia più grande può essere quella di scroccare una connessione wi-fi dai vicini. Lo stesso titolo dà la misura dell’atteggiamento ironico e iconoclasta del regista, con lo slittamento di senso di un concetto come quello del parassita, qui introdottosi e moltiplicatosi in un corpo (familiare) già irrimediabilmente malato.

Il contagio infinito

Parasite recensione

Schiva tuttavia qualsiasi manicheismo, Parasite, mostrandosi consapevole di come modelli e valori della classe dominante abbiano contaminato – come un germe, questo sì, velenoso e pervasivo – il corpo della società tutta, nutrendo e incoraggiando una guerra (letterale) tra poveri. C’è poco spazio, nella costruzione narrativa del film, per la rivendicazione di possibili modelli altri, finanche per la mera presa in considerazione di un diverso stile di vita (irriso esplicitamente nella parodia del regime nordcoreano): lo scopo ultimo è la sostituzione, l’imitazione, l’emersione del sotto (quello che può tentare di comunicare col resto del mondo, inascoltato, solo coi segnali luminosi del codice Morse) che, una volta arrivato in superficie, non potrà che imporsi su qualcun altro. La rivolta, quando arriva, ha i tratti del nichilismo (auto)distruttivo. Temi, questi ultimi, che, da The Host al già citato Snowpiercer, sono stati sempre presenti, pur nella forma del cinema di genere, nell’orizzonte ideale di Bong.

Grottesco e improntato al parossismo, esplicitamente sopra le righe nella presentazione dei personaggi – caricaturizzati, eppure emblemi così credibili di un’umanità ben poco rassicurante – Parasite è elegante nella messa in scena, più controllato nella gestione della narrazione di quanto la sua confezione rutilante – specie nei primi minuti – potrebbe lasciar presumere, con una dialettica plastica e visibile tra luoghi deputati e icone degli ambienti sociali. Bong si ferma a osservarli, quasi accarezzandoli coi suoi morbidi piani sequenza, per poi demolirli entrambi: da una parte con un’inondazione che trasforma i bassifondi urbani in un paesaggio apocalittico memore dell’iconografia de L’elemento del crimine di Lars Von Trier, dall’altra con un balletto macabro che porta i mostri in superficie e deturpa, nel sangue, la facciata borghese della villa. La conseguenza sarà nel reiterarsi della dialettica tra sopra e sotto, nel sogno di una ricomposizione su cui viene data qualche speranza, ma – ancora una volta – nessuna certezza.

Scheda

Titolo originale: Gisaengchung
Regia: Bong Joon-ho
Paese/anno: Corea del Sud / 2019
Durata: 132’
Genere: Commedia, Drammatico, Thriller
Cast: Song Kang-ho, Jang Hye-jin, Park Seo-joon, Cho Yeo-jeong, Choi Woo-shik, Jung Hyeon-jun, Jung Ziso, Lee Jung-eun, Lee Sun-kyun, Park So-dam
Sceneggiatura: Bong Joon-ho
Fotografia: Hong Kyung-pyo
Montaggio: Yang Jin-mo
Musiche: Jung Jae-il
Produttore: Kwak Sin-ae, Jang Yeong-hwan, Yang-kwon Moon
Casa di Produzione: Barunsun E&A Corp
Distribuzione: Academy Two

Data di uscita: 07/11/2019

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Trailer

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

Un pensiero su “PARASITE

  1. A giudicare dal solo “trailer” la fotografia in ambienti molto illuminati non è eccelsa, come per gli interni e i notturni. Ma i movimenti di macchina fanno presentire un giusto sciogliersi della trama.

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