GIUSEPPE BONITO: “PARLO DEI BAMBINI, E DEL LORO SGUARDO SUL MONDO”

GIUSEPPE BONITO: “PARLO DEI BAMBINI, E DEL LORO SGUARDO SUL MONDO”

Nella cornice del Teatro Cinema Manzoni di Cassino, nel sud del Lazio, cogliamo l’opportunità di parlare col regista Giuseppe Bonito del suo nuovo film L’Arminuta, toccando temi di grande attualità in ambito cinematografico, ma anche nella società.

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Giuseppe Bonito, regista al suo terzo lungometraggio (dopo Pulce non c’è e Figli) con L’Arminuta (trasposizione dell’omonimo romanzo di Donatella di Pietrantonio) ha partecipato alla selezione ufficiale della sedicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, vincendo il premio BNL Gruppo BNP Paribas.
L’Arminuta, in sala dal 21 Ottobre, ha ricevuto un’ottima accoglienza da parte del pubblico e della critica, per la profondità di sguardo del regista oltre che per l’interpretazione straordinaria da parte di tutto il cast.
In occasione dell’anteprima del 20 Ottobre presso il Teatro Cinema Manzoni di Cassino (Fr) abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Bonito sul suo ultimo lavoro.

Ne L’Arminuta un crudo realismo sembra coesistere accanto a un messaggio di speranza, rivelando uno sguardo originale all’interno del cinema italiano, spesso fermo a una narrazione drammatica che in alcuni casi sembra fine a sé stessa. Realismo e speranza possono convivere? In che modo?
Penso che sia importantissimo essere profondamente connessi alla realtà che si vuole raccontare; non c’è però un riferimento a ‘un’etichetta’ o a una tradizione specifica del cinema italiano. A questa profonda connessione si unisce uno sguardo che cerca di trascendere la situazione. Ecco, il concetto di ‘trascendere la situazione’ è fondamentale, affinchè il racconto cinematografico – che ha una vita propria – non sia fine a sé stesso. Nel caso de L’Arminuta, il fatto che nel romanzo di Donatella di Pietrantonio ogni figura fosse già tratteggiata in maniera incredibilmente nitida e chiara, con un simbolismo preciso per ogni personaggio, ha reso questo lavoro più semplice. Credo che il regista debba lasciare allo spettatore il compito di intravedere qualcosa al di là del puro racconto e quindi di interpretare l’opera, come quando si scava per cercare qualcosa.

Durante la visione del film, infatti, mi sono ritrovata a chiedermi se il messaggio di speranza percepito potesse essere più marcato oppure se fosse colto da tutti allo stesso modo.
Penso che ogni spettatore interpreti il film in maniera diversa: alcuni vi avranno trovato un messaggio di speranza, altri forse non l’avranno percepito affatto. Va bene così. Per me è come mettere un messaggio in una bottiglia e lasciarlo al mare, sperando che qualcuno possa trovarlo e leggerlo. Penso che qualsiasi messaggio vada intravisto e non marcato con insistenza: negli anni, ho visto spesso film ideati pensando a un messaggio (contenuto) da veicolare non render bene e non funzionare affatto. In un’opera cinematografica dovrebbe esserci una “stratificazione di senso” – come amava dire Stanley Kubrick: il film va letto su diversi piani e sono diverse le interpretazioni possibili e legittime.

Per certi versi il mondo dei bambini sembra essere contrapposto a quello degli adulti. Oltre al conflitto sociale è presente anche un conflitto generazionale?
In realtà è il tema dei bambini e degli adolescenti a essermi particolarmente caro, non tanto l’idea di un conflitto generazionale. Anche ne L’Arminuta, Adriana e la protagonista mostrano maggiore buon senso degli adulti in numerose circostanze. Se ci pensiamo bene, sono i bambini e le donne a dimostrare maggiori capacità di adattamento, creatività e resilienza all’interno di situazioni molto complesse, nelle quali gli adulti appaiono impacciati e non hanno la minima idea di cosa fare. Trovo che questa capacità sia emersa tantissimo durante il periodo della pandemia, durante il quale i bambini si sono adattati più facilmente degli adulti, con un approccio più “naturale”. Se parliamo de L’Arminuta poi, abbiamo due bambine, l’Arminuta e Adriana, costrette a essere adulte dalla situazione in cui si trovano.

Le due madri, apparentemente così dissimili tra loro per storia e condizione sociale, sono in realtà più simili di quanto non appaia all’inizio?
Sia Adalgisa che la madre biologica dell’Arminuta vivono situazioni di sofferenza e di subalternità. Purtroppo sono situazioni ancora molto attuali, anche se alle volte si pensa di no e che riguardino solo il passato: ci sono davvero tante donne che si trovano in situazioni di subalternità in maniera del tutto trasversale, a prescindere dalla loro condizione sociale.

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Appassionata di filosofia con un’attenzione particolare rivolta alla storia delle religioni, all’antropologia e alla diverse forme d’arte, si è specializzata in pratiche filosofiche nel 2018, presso la SUCF di Roma. Come giornalista si occupa di cultura, cinema, politica e attualità.

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