PRAYERS FOR THE STOLEN

PRAYERS FOR THE STOLEN

Liberamente adattato dall’omonimo romanzo di Jennifer Clement del 2014, Prayers for the Stolen è l’esordio nel cinema di fiction della regista messicana Tatiana Huezo, già insignito da una menzione speciale al concorso Un Certain Regard della 74a edizione del Festival di Cannes. Ambientato in un villaggio incastonato tra le montagne messicane, il film si apre con Ana, la bambina protagonista, che insieme alla madre costruisce una fossa dove potersi nascondere, nel giardino di casa propria, nel caso arrivino loro...

Una preghiera di libertà attraverso gli occhi dell’empatia

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“La violenza è ciò che non parla“.
(Gilles Deleuze)

Simili a cowboy, ma su tecnologici SUV, i narcos giungono alle porte, violentano le madri, e portano via con sé le bimbe più belle, di cui non si saprà più niente. I narcotrafficanti “creano” lavoro imponendolo, “offrono protezione” nascondendovi dietro i propri interessi, generano dipendenza tenendo gli abitanti attaccati ai fili che dirigono dall’alto. Simili a dei, ogni tanto dai cieli lanciano non saette, ma veleni, più attenti al rosso dei papaveri che alla pelle delle persone. Le atrocità legate al mondo del narcotraffico, come la trasformazione delle bambine in prostitute, in Prayers for the Stolen sono solo alluse da dettagli visivi che bastano a farsi sineddoche di una tragedia disumana, spazzatura ignorata, prodotto di un sistema marcio. Alcune donne accetteranno questo potere quasi soddisfatte, altre inerti, altre ancora terrorizzate. Sono le figlie che, percependo più che comprendendo, semineranno germi di rivolta, ma gli atti imprudenti, o i semplici gesti spontanei, non potranno germogliare se non come fiori su tombe…

Le pietre non sono esseri viventi perché non hanno occhi, orecchie o sangue”, dice una bambina a scuola, unico ambiente che pare offrire un barlume di speranza la quale, però, non dura mai abbastanza. Gli esseri umani, in questo entroterra infernale della contemporaneità, sembreranno infatti dividersi tra “viventi” e “pietre”. Non a caso spesso oggetti e temi legati alla scuola sono posti in contrasto, visuale e/o sonoro, con altri.

Tra cultura e natura

Prayers for the Stolen, una scena
Prayers for the Stolen, una scena del film diretto da Tatiana Huezo

Più che un generico contrasto tra natura e cultura qui gli elementi si completeranno in un forte trinomio cultura/natura/vita tessuto in costante dissonanza con quello violenza/urbanizzazione/morte. I risvolti saranno tanto struggenti quanto, talvolta, tragicomici, sia a livello scenografico che contenutistico: gente raccolta su una cupola d’erba, simile a una terrazza illuminata, ma sospesa nel nulla, in cerca di linea telefonica. O soldati spaventati – solo più palesemente di altri – dall’“esercito” dei narcos, da cui starebbero tutelando il villaggio. Insomma, solo il mondo animale, vegetale, naturale, sembrerà restituire un genuino senso di protezione, più che i narcos o i militari, talvolta corrotti anch’essi.

Il concetto di “civilizzazione”, in Prayers for the Stolen, si biforca in due direzioni contraddittorie: una è mirante alla conoscenza, all’emancipazione e alla salvezza, rappresentate dalla scuola. L’altra proviene dai centri urbanizzati che però, più che luoghi di evoluzione, lo sono di involuzione. Questa strada è seminata di soprusi, sfruttamento e terrore, imprigiona la natura del villaggio nella propria rete metallica e ne inghiottisce la purezza negli angoli più degenerati della globalizzazione. In un’atmosfera odorante di tensione continua Ana bambina, quando non aiuta la madre nei lavori di casa, passa il tempo con le sue amiche. Ma giochi come il truccarsi da donne, normali in altre società, non lo sono in quella.

Colpa e bellezza: la sventura di nascere femmine

Prayers for the Stolen, una foto
Prayers for the Stolen, una foto del film diretto da Tatiana Huezo

Le madri, per tenerle al sicuro, le sgridano se giocano a farsi belle, e tentano di camuffarne la femminilità rendendole più simili a maschietti. Ma questo non succede a tutte le bambine: alcune indossano gonne, addirittura, oltre a portare i capelli lunghi… Chi nasce con qualche non conformità fisica, in questa società, risulta fortunata. Ma solo finché non realizzerà il desiderio e la libertà di sentirsi attraente come le altre. Il divieto di divertirsi in modo più frivolo o con moderni giocattoli, d’altro canto, fa sì che il trio di amiche, senza “nient’altro” che fantasia, affetto e compagnia della natura, arrivi a inventare passatempi alternativi, anche più divertenti, pur finanche spirituali.

Palestra di empatia

Prayers for the Stolen, un momento del film MUBI
Prayers for the Stolen, un momento del film distribuito da MUBI

Ma il motore dei loro giochi è un timore: “[…]cosa pensate che succede quando una di noi se ne va all’improvviso?”. E se, come imparano a scuola, “gli esseri viventi possono camminare, respirare, e comunicare tra loro”, la paura di perdersi diventerà la spinta per trovarsi profondamente, per allenare l’ascolto reciproco fino a sorpassare il corpo, diventare un’unica anima che “vede” e “sente” oltre le parole, fusa alla sua quarta amica natura: tre bambine incarneranno l’empatia pura. Anche l’espressione “femminismo” risulta impropria, in questo contesto, a meno che non la si intenda ad un livello più arcaico, ancestrale, subculturale, cogliendo un nucleo umano che trascende stereotipi. Il gioco qui è una palestra d’umanità che va anche al di là del genere, un esercizio che nasce spontaneamente come a compensarne la mancanza, la concretizzazione del senso dell’espressione “essere umani”. In questi momenti rumori e voci diventano musica, le vibrazioni si traducono in suoni, i respiri vanno all’unisono, la concentrazione permette di entrare l’una nel cuore e (solo dopo) nella testa dell’altra.

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La voce del coraggio

Prayers for the Stolen, una foto del film MUBI
Prayers for the Stolen, una foto del film distribuito da MUBI

Eppure la trama del film si tesse in costante equilibrio su una continua suspense, dissonante con l’armonia della natura in cui è immersa, ma al contempo naturale anch’essa, infondendo il film di un perpetuo senso di uncanny, perturbante, inquietante, non-familiare… finché i nodi sotterranei non verranno fuori. A portarli alla luce spesso è proprio la voce dei bambini. Ana è coraggiosa. Non ha bisogno di “protezione”. Non vuole rimanere, come uno scorpione, soffocata in una botola di vetro senza altra via d’uscita che l’accettazione di questa ingiustizia. La voce di una bambina, qui, non è solo la voce di una o più bambine, ma di una coscienza generale silente che il linguaggio del film, di rado verbalmente esplicito, pare ricalcare, e lei rompere: “Ti piacerebbe se qualcuno lo facesse a te?”. Ana non avrà le sue risposte a parole, bensì attraverso gli effetti sulla realtà a lei più cara.

Prayers for the Stolen, un'immagine del film MUBI
Prayers for the Stolen, un’immagine del film distribuito da MUBI

Prayers for the Stolen è una preghiera dissacrante, il quadro dell’empatia che sfida il terrore, lo sguardo genuino e severo di una bambina la quale (si) pone le domande che il film suscita nel pubblico, la conferma delle contraddizioni che la sceneggiatura mette in risalto, ma sembrano invisibili agli abitanti del villaggio. Gli occhi e la voce di Ana sono lo scalpello che martella anime indurite e immobilizzate, facendo riaffiorare tutto ciò che faticano a vedere, a pensare, ad ammettere, come quando strappa di bocca alla madre: “Ho sopportato molte cose con tuo padre. Quello è stato il mio errore”, parole che (anche se – o proprio perché – emergenti da una realtà estrema) assumono valore simbolico e universale, tracciando aspetti di una condizione femminile che va oltre quella del film, rendendolo spunto di riflessione su un’intera cultura, contemporanea e patriarcale, in cui gli strascichi del maschilismo appaiono forse meno palesi e tremendi, ma restano non meno insidiosi e radicati.

Potremmo dire che la forza di Prayers for the Stolen stia proprio nel “non detto” che ne caratterizza la struttura: sarà infatti in frammenti verbali o visuali apparentemente svincolati dagli altri che si annideranno i germi delle conseguenze subìte dai personaggi, associando passato e presente non necessariamente attraverso raccordi diretti e logici ma anche distaccati nel tempo e nello spazio (interessante, a tal proposito, è anche l’evoluzione/involuzione di alcune figure maschili, all’interno della stessa realtà, ma differente da quella delle femminili). Alla fine del film, ad esempio, nessuno può sapere cosa stia precisamente succedendo fuori dal villaggio. Ma Ana, proprio grazie a – o forse a causa di – quell’empatia, forse lo sa. D’altra parte, il finale lascia pur sempre posto a un’altra strada: quella che, dopo aver ingabbiato i personaggi in un fondo così in basso, può solo risalire, forse…

Prayers for the Stolen, la locandina

Scheda

Titolo originale: Noche de fuego
Regia: Tatiana Huezo
Paese/anno: Stati Uniti, Messico, Brasile, Germania, Argentina, Svizzera / 2021
Durata: 110’
Genere: Drammatico
Cast: David Illescas, Alejandra Camacho, Ana Cristina Ordóñez González, Blanca Itzel Pérez, Camila Gaal, Eileen Yañez, Gabriela Núñez, Giselle Barrera Sánchez, Guillermo Villegas, Julián Guzmán Girón, Marya Membreño, Mayra Batalla, Norma Pablo, Olivia Lagunas, Teresa Sánchez
Sceneggiatura: Tatiana Huezo
Fotografia: Dariela Ludlow
Montaggio: Miguel Schverdfinger
Musiche: Leonardo Heiblum, Jacobo Lieberman
Produttore: Michael Weber, Dan Wechsler, Burkhard Althoff, Viola Fügen, Marcela Arenas, Nicolás Celis, Jamal Zeinal Zade, Helmut Dosantos, Rachel Daisy Ellis, Joslyn Barnes, Danny Glover, Doris Hepp, Jim Stark, Susan Rockefeller
Casa di Produzione: Bord Cadre Films, Louverture Films, Pimienta Films, Desvia Produções, Match Factory Productions, Cactus Film & Video, Jaque Content
Distribuzione: MUBI

Data di uscita: 29/04/2022

Trailer

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Laureata in Scienze del Patrimonio Audiovisivo e dell'Educazione ai Media all'Università di Udine (Sede Gorizia) con percorso internazionale IMACS (International Master in Audiovisual and Cinema Studies, svolto presso l’Université Paris Nanterre e l'Université Sorbonne Nouvelle), votazione 110 e lode/110, e tesi interdisciplinare: Autismo e immagini in movimento - Rileggere la neurodiversità tra gesti divergenti e animismo cinematografico. Precedentemente si laurea in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo (Cinema, TV e Nuovi Media) a Roma Tre. Negli anni addietro si forma in varie arti performative e come Operatrice di Teatro Sociale (OTS), ma anche come Figurinista di Moda e Sceneggiatrice (cinema e serie), oltre che in svariati altri ambiti pedagogici. Di recente ha collaborato con la rivista Ibridamenti (articolo: Autistico, ma non come Rain Man), e condotto il seminario Sguardi Divergenti - dall'esterno all'interno per il progetto La Scuola allo Schermo dell'Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa (Indire). Attualmente si occupa di Comunicazione Aumentativa Alternativa.

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