EVERYTHING EVERYWHERE ALL AT ONCE, I DANIELS CI PARLANO DEL LORO FILM

Il resoconto del nostro interessante incontro via Zoom con Daniel Kwan e Daniel Scheinert (in arte Daniels), registi dell’irresistibile Everything Everywhere All at Once, da domani nelle sale italiane.
L’uscita italiana in sala (finalmente!) di Everything Everywhere All at Once, instant cult targato A24 da tempo chiacchieratissimo sui social network, ci ha fornito l’occasione per una chiacchierata via Zoom coi suoi fantasiosi registi, Daniel Kwan e Daniel Scheinert (noti in tandem col nome d’arte di Daniels). Un incontro breve ma ricco di spunti, che si è configurato innanzitutto come uno stimolante confronto con due persone che, prima ancora di essere cineasti, sono spettatori e fans devoti dell’esperienza cinematografica – da vivere rigorosamente in una sala piena di gente. Quella stessa esperienza che – in relazione a un film anarchico e per larghi tratti irresistibile, autenticamente cinefilo senza facili scappatoie citazioniste – fortunatamente da domani sarà consentito vivere anche agli spettatori italiani; con un’opera in cui, cosa sempre più rara negli ultimi anni, l’intrattenimento popolare e l’affetto per certo immaginario nerd vanno di pari passo con l’approccio autoriale e l’originalità di sguardo.
Quando c’è voluto per girare il film? Quali sono state le sue principali sfide?
Daniel Scheinert: Abbiamo iniziato a svilupparlo nel 2016, mettendo insieme altri progetti, ma in realtà ogni sua parte è stata una sfida. Sapevamo che era ambizioso, così abbiamo fatto varie stesure della sceneggiatura; poi abbiamo girato gran parte del film in 8 settimane. Il nostro cast si è sorpreso per come siamo riusciti a fare tutto velocemente.
Daniel Kwan: Il Covid poi ha allungato molto la post-produzione: il risultato è stato che per il montaggio abbiamo impiegato due o tre volte il tempo che pensavamo.
Daniel Scheinert: Ma in realtà questo è stato positivo, perché abbiamo potuto rallentare e prenderci il tempo per essere sicuri che avremmo avuto quello che volevamo. Alla fine la post-produzione ci ha impegnato per circa un anno.

Cosa potete dirci sul vostro eccezionale cast, che comprende Michelle Yeoh, Jamie Lee Curtis e Ke Huy Quan? Come lo avete scelto?
Daniel Kwan: Abbiamo capito presto che volevamo Michelle Yeoh nel ruolo principale, dopo che per un periodo avevamo pensato a un personaggio maschile col volto di Jackie Chan. Per questo film c’era bisogno di un’attrice che sapesse essere drammatica e comica, che sapesse fare le scene d’azione e che parlasse in cantonese e in mandarino. Non erano molte le attrici che potessero soddisfare questi requisiti, e avere al contempo appeal per il pubblico. Così alla fine abbiamo capito che doveva essere proprio Michelle; d’altronde avevamo scritto la sceneggiatura con lei in mente, e per un po’ il nome del personaggio era stato proprio Michelle. Se avesse rifiutato, non avremmo avuto seconde scelte.
Daniel Scheinert: Ke invece era molto contento di tornare a lavorare, si è sintonizzato subito con noi: quando è arrivato al provino era come se avessimo scritto il copione proprio per lui, anche se in realtà non avevamo un attore preciso in mente. È stato molto contento di tornare a recitare in questo ruolo. Per quanto riguarda Jamie Lee Curtis, è stata una fortuna che fosse una grande fan di Michelle Yeoh; infatti ci ha detto subito: “Sì, voglio lavorare con Michelle Yeoh, per favore”.
Daniel Kwan: Sì sì, ha detto letteralmente: “Il copione non lo capisco per niente, però voglio lavorare con lei, ci sto”. È stato un vero regalo.
Quali sono state, se ci sono state, le principali fonti di ispirazione per questo film?
Daniel Kwan: Il seme iniziale è stato piantato quando siamo andati al New Beverly di Quentin Tarantino, in cui davano una double feature con Matrix e Fight Club. Quando l’ho guardata ho pensato a quanto mi mancavano i film degli anni ‘90. Sono stati tanti i film con cui siamo cresciuti che abbiamo deciso di usare come riferimenti: Matrix e Fight Club su tutti, ma anche Magnolia di Paul Thomas Anderson, un film che amiamo e che ci ha ispirato moltissimo.
Daniel Scheinert: E poi abbiamo pensato a molto cinema asiatico, specialmente quando abbiamo realizzato che al centro della storia ci sarebbe stata una famiglia di origini asiatiche. Abbiamo capito che c’era parecchio da prendere, per esempio, da Miyazaki, in termini di struttura cinematografica inventiva, ma anche dai film di kung fu come Legend of the Drunken Master, e poi da Stephen Chow, che fa film apparentemente così sciocchi eppure così emozionanti. E poi abbiamo preso spunto anche da molta letteratura e arte: per esempio, un nostro riferimento è il romanzo Guida galattica per gli autostoppisti, in termini di sci-fi giocosa.
Daniel Kwan: Abbiamo preso un po’ dappertutto, in realtà! Potremmo andare avanti, la lista è lunghissima.

Qual è stata la prima reazione dei produttori, quando avete proposto loro questo film?
Daniel Scheinert: Beh, il nostro primo film era su un cadavere che scoreggiava! Quando abbiamo detto che avremmo voluto fare un film incentrato sulla famiglia, sulla fantascienza e sul kung fu, i produttori stavolta erano sollevati, ci hanno detto “Sembra vendibile!” Poi ci abbiamo infilato dentro un sacco di cose strambe, certo; però avevamo anche lo scopo di avere un punto di partenza accessibile, e questo lo abbiamo trovato nella generazione dei nostri genitori. Volevamo che fosse un film che ai nostri genitori sarebbe piaciuto. Siamo stati anche molto fortunati ad avere produttori che hanno creduto in noi. Abbiamo lavorato per dodici anni col nostro amico Jonathan Wang, per dire, e alla fine è stato lui quello che ci ha reso possibile fare il film.
Sembra che uno dei temi del film sia l’iperconnessione della società moderna, e il suo potere, specie sulle persone più giovani, di distruggere la personalità. È così?
Daniel Kwan: Sì, ci abbiamo pensato. Quella sensazione non è mai stata rappresentata sullo schermo, l’ultraesposizione ai media e il flusso continuo di informazioni, con l’overload sensoriale che porta, non solo ai ragazzi ma a tutti, adulti compresi. Tutti sperimentiamo questa sensazione di essere connessi con tante storie contemporaneamente, senza sapere a quale interessarsi davvero, quale seguire, quale davvero sia importante. Era davvero importante per noi capire quale soluzione potevamo dare a questo problema, come affrontarlo; così abbiamo deciso di usare i nostri film come una sorta di terapia. Siamo contenti che il nostro cinema trovi risonanza presso il pubblico, è bello vedere quante persone si sentono come ci sentiamo noi: se il nostro cinema potesse servire a iniziare una discussione sul tipo di esistenza che viviamo e su come renderla migliore, sarebbe qualcosa di cui noi andremmo molto fieri.
Daniel Scheinert: Mi viene da pensare al titolo del film, che abbiamo deciso molto presto, già dal 2016: sapevamo subito che avrebbe trattato proprio di questo, di questa sensazione di essere “tutto, dappertutto e tutto insieme”. Non sapevamo se sarebbe stato questo il titolo finale, però ci sembrava quello giusto mentre scrivevamo, ci ha dato un obiettivo; era quella sensazione di troppo portata dalla rete.

Potete dirci qualcosa di più sul concetto di multiverso?
Daniel Kwan: Abbiamo sempre voluto fare film che attraversassero i generi, che li racchiudessero tutti, perché alla fine la nostra vita è così: tutte le nostre vite sono sempre trascinate tra un genere e l’altro. Tutti sperimentiamo cose drammatiche, cose comiche e cose terrificanti, spesso allo stesso tempo. Abbiamo usato il multiverso proprio come un modo per giocare coi generi. Inizialmente volevamo rifarci semplicemente ai vari filoni, in modo generico, ma poi abbiamo pensato che sarebbe stato bello ripercorre i passi dei cineasti che davvero amavamo, come per esempio Wong Kar-Wai, e la loro visione di questi generi. Per noi è stato un po’ come tornare alla scuola di cinema. Ci siamo divertiti, perché era come se ogni settimana girassimo un film diverso.
Il film sembra davvero un blockbuster, nonostante sappiamo che il budget non fosse così alto. Come avete fatto a mascherare questa limitazione?
Daniel Scheinert: Siamo nati girando video musicali, e penso che già da allora uno dei trucchi fosse quello di prendere il più possibile i mezzi che avevamo e usarli, per esempio girando nelle location che avevamo senza andarne a cercare altre di particolarmente costose. Abbiamo scritto questo film sapendo bene qual era la nostra crew, quali fossero le loro capacità, dove avremmo girato, cosa c’era lì vicino e cosa era disponibile. Abbiamo cercato di sfruttare al massimo le potenzialità della California del Sud, usando le risorse che c’erano a Los Angeles; avremmo riscritto la sceneggiatura se ci fossimo accorti che c’erano cose che ci avrebbero fatto sforare il budget. Abbiamo fatto una sorta di budget plan già mentre scrivevamo.
Daniel Kwan: Molto del merito va anche al nostro direttore della fotografia, anche lui viene dai videoclip, e sa perfettamente come usare la camera e le luci: sarebbe capace di far apparire meravigliosa una cosa che costa dieci dollari. Nonostante lui abbia un talento straordinario, dico sempre che le cose che fa con noi in realtà sono le più brutte, perché dobbiamo sempre fare dei compromessi: ma per lui va bene così, perché per lui la cosa più importante è la storia. Credo che il motivo per cui il film ha questo aspetto è che lui si è interessato molto a come l’immagine appariva, ai suoi vari look, alla grana, ai colori, ecc. È grazie a lui che il film si è elevato dal look da semplice indie movie, arrivando a sembrare un blockbuster.
Daniel Scheinert: È un film d’azione, ma abbiamo preso ispirazione anche dal cinema di Hong Kong, che riesce a rendere attraente e meraviglioso un semplice combattimento tra due persone. Abbiamo evitato scene massive in cui cento persone con la pistola fanno saltare in aria tre edifici, perché non sono necessariamente quelli i film che ci piacciono, oltre che per il fatto che non potevamo permetterci scene del genere. Ed è gratificante vedere il modo in cui il pubblico risponde, considerato che è tutto molto alla nostra portata: basta avere attori che conoscano le arti marziali, un grande coreografo, e puoi creare scene d’azione che siano davvero divertenti, tanto quanto quelle di un blockbuster, ma con un costo molto minore.

Com’è cambiato, secondo voi, il cinema d’intrattenimento e d’azione, dagli anni ‘80 e ‘90 a oggi?
Daniel Kwan: Oggi c’è la versione Marvel dell’intrattenimento, basata su effetti speciali su larga scala, sul digitale e sulla larga presenza di stuntman, e poi c’è quella di film come John Wick, in cui la crew fa in modo che ogni attore faccia i suoi stunt; in questi film, tutto si gioca sul realismo. Quindi ci sono i film che cercano il grande spettacolo, con gli effetti speciali su grande scala e la moltiplicazione degli stunt, e poi ci sono quelli che si chiedono: “Quanto possiamo far sembrare una scena reale, sanguinosa, brutale? Facciamo lunghe sequenze, in modo che ogni colpo si senta davvero”. A noi manca un po’ questa dimensione, la concezione della sequenza d’azione come una danza, strana e poetica. È con quel tipo d’azione che siamo cresciuti, resa possibile anche da coreografi come Yuen Woo-Ping, che ha lavorato ad alcuni dei migliori film d’azione di Hong Kong degli anni ‘70 e ‘80; non a caso poi, anche nel cinema americano, molti hanno portato sui set coreografi di arti marziali. Eravamo molto emozionati nel riportare al pubblico quel tipo d’azione, di ricordargli quanto potesse essere divertente.
Daniel Scheinert: Vale la pena dire che i nostri coreografi li abbiamo trovati su YouTube: erano amici che vivevano in California del Sud, che avevano davvero mandato a memoria i film d’azione di Hong Kong, e che parlavano letteralmente col linguaggio del cinema; erano eccitatissimi di incontrare Michelle Yeoh. È così che abbiamo reso omaggio a quel cinema, ingaggiando qualcuno che lo conoscesse bene e che lo amasse persino più di noi.
Il film arriva in Italia dopo aver incassato oltre cento milioni di dollari in tutto il mondo. Vi aspettavate un successo del genere?
Daniel Kwan: No, assolutamente! Specialmente dopo la pandemia, ci siamo chiesti se sarebbe mai uscito al cinema, e se sì come sarebbe andato, visto che sembrava che nessuno volesse più andare a vedere un film piccolo, che non fosse legato a un grande franchise. Pensavamo che saremmo stati fortunati a incassare venti milioni. Certo, ci speravamo.
Daniel Scheinert: Abbiamo fatto il film anche come una celebrazione e un tributo ai film che amavamo vedere al cinema; non solo film d’azione, ma anche film capaci di sfidare lo spettatore. È bello vedere film che stimolino un’esperienza emotiva condivisa, insieme a perfetti estranei in una grande sala; con gente che magari urli verso i personaggi sullo schermo. Sognavamo che il pubblico avesse quella reazione, verso il nostro film: se quella reazione c’è, è segno che il film funziona. Questo è un film che in un cinema funziona diversamente che a casa.

Quindi i produttori vi hanno già chiesto di scrivere un sequel?
Daniel Scheinert: Nessuno ce l’ha chiesto molto insistentemente, in realtà, a parte i fans e qualche giornalista. Ma questo è un film singolo, e a noi va bene così.
Quant’è stato divertente per voi scrivere questo film? Come avete fatto a scegliere ogni volta le tante cose strane e divertenti che si vedono nel film?
Daniel Scheinert: È qualcosa che deriva dall’inizio della concezione del film: ci siamo chiesti come sarebbe stato fare in modo che un’azione super improbabile facesse ottenere dei superpoteri. Così ogni volta ci muovevamo tra varie idee sciocche; e abbiamo sempre saputo che, una volta che lo script avesse funzionato, potevamo divertirci di nuovo. Credo che il divertimento sia stato all’inizio della scrittura e alla fine, mentre in mezzo c’era il tentativo di risolvere il puzzle rappresentato da questi personaggi. Alla fine c’era un traguardo, che erano le scene d’azione e gli scherzi, e il fare in modo che gli attori li portassero in vita: è stato davvero divertente, dopo aver speso così tanto tempo a sbattere la testa contro questo puzzle che eravamo costretti a risolvere. Però sì, è stato facile per noi trovare idee davvero weird, e ce ne sono tante che non abbiamo neanche messo nel film.