RAPINIAMO IL DUCE

RAPINIAMO IL DUCE

Renato De Maria approda in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione Grand Public, con una produzione Netflix che lo porta a giocare con la Storia. Rapiniamo il Duce è un grande divertissement che mantiene su livelli dignitosi il cinema di genere tricolore (affatto scontato), non indimenticabile ma comunque piacevole da guardare. In uscita il 26 ottobre.

Il colpo del secolo

Pubblicità

Nessun uomo è un’isola, completo in sé stesso […]”. Il senso dell’incipit dell’omonima poesia di John Donne lo sa bene in cuor suo Pietro Lamberti (Pietro Castellitto), chiamato appunto Isola. Nonostante le apparenze, sa infatti di non poter sbarcare il lunario da solo con la guerra ormai agli sgoccioli (siamo a Milano nel 1945), soprattutto se il piano da realizzare è a dir poco ambizioso: rapinare il tesoro di Mussolini contenuto nella temutissima e blindatissima Black Zone fascista. Per farlo, cosa c’è allora di meglio del mettere in piedi su una super squadra? Ecco quindi che al fidato cecchino Marcello (Tommaso Ragno) e al timido genialoide Amedeo (Luigi Fedele), si aggiungono l’ex campione delle 1000 Miglia Denis Fabri (Maccio Capatonda), l’esperto di esplosivi Molotov (Alberto Astorri) e la silenziosa e scaltra ladra (Coco Rebecca Adamhe).

Parola d’ordine: divertirsi

Rapiniamo il Duce, Pietro Castellitto in una scena del film
Rapiniamo il Duce, Pietro Castellitto in una scena del film di Renato De Maria

De Maria (Lo spietato, 2019, e fra gli altri film anche Paz!, 2002, e Amatemi, 2005) è autore della sceneggiatura insieme a Federico Gnesini e Valentina Strada, con i quali costruisce un divertissement cinematografico fatto di (auto) citazioni e mescolamenti sia visivi (come gli inserti cartoon) che musicali. Sceglie Pietro Castellitto come protagonista principale dopo aver lavorato già con il padre in Hotel Paura (1996) al quale sembra rendere omaggio facendolo giocosamente intravedere sulla fototessera di uno dei documenti falsificati usati per portare avanti il piano. Che anche la colonna sonora contribuisca al gioco appare chiaro fin da subito: il film si apre infatti con Se bruciasse la città di Massimo Ranieri, e Matile De Angelis (nella parte di Yvonne, la donna amata da Isola) dà un tocco struggente a una nuova versione di Amandoti. Lasciamo dunque allo spettatore il piacere di scovare i vari riferimenti sparsi lungo i sette giorni che precedono il colpo raccontato dalla pellicola. Rapiniamo il Duce si rivela un’operazione “alla Tarantino” insomma, ripulita però di tutti i suoi eccessi verbali e visivi.

Un mondo bidimensionale

Rapiniamo il Duce, Filippo Timi in una scena del film
Rapiniamo il Duce, Filippo Timi in una scena del film di Renato De Maria

Rapiniamo il Duce è anche la storia di un riscatto sociale all’interno di un mondo sostanzialmente diviso in due: da un lato i buoni, perlopiù perdenti o reietti, e dall’altro i cattivi. Decisamente poco incisive appaiono però la caratterizzazione e l’interpretazione dei personaggi, in particolare di quelli positivi. Anche la presenza di Maccio Capatonda (che fa appunto… il Maccio) appare a tratti fuori contesto rispetto soprattutto rispetto al resto del cast, rendendo peraltro lampante quanto la sua presenza sia piuttosto compressa. Sicuramente migliore è la resa dei “cattivi” che riescono ad avere maggiore spessore: Filippo Timi è molto credibile nel ruolo del sadico gerarca Borsalino (già in Vincere di Bellocchio aveva recitato tra le file fasciste), oppure Isabella Ferrari con la sua Nora, diva del cinema ormai decaduta, un po’ Gloria Swanson in Viale del tramonto e un po’ Marlene Dietrich.

Nessuno è più furbo della storia”

Rapiniamo il Duce, Isabella Ferrari in una scena del film
Rapiniamo il Duce, Isabella Ferrari in una scena del film di Renato De Maria

Se si potesse bucare lo schermo e rispondere a uno dei personaggi che esplica questo concetto, gli si potrebbe rispondere che invece è possibile esserlo. È sufficiente infatti mettere la Storia al servizio di un impianto narrativo molto semplice, corredato da una regia dinamica che riesce a non annoiare grazie anche a un uso mai eccessivo degli effetti speciali. L’importante è non chiedersi quanta verosimiglianza con la realtà ci sia o meno, perché in fondo, come si urla a un certo punto della pellicola, “Fanculo la storia!”, l’importante è divertirsi. Rapiniamo il Duce, alla fine dell’ora e quaranta con la quale intrattiene lo spettatore, è dunque anche un’occasione per riflettere sulle direzioni e sulle possibilità che il cinema italiano di genere sta imboccando da qualche anno a questa parte.

Rapiniamo il Duce, la locandina del film
Pubblicità

Scheda

Titolo originale: Robbing Mussolini
Regia: Renato De Maria
Paese/anno: Italia / 2022
Durata: 90’
Genere: Commedia, Azione
Cast: Tommaso Ragno, Filippo Timi, Isabella Ferrari, Maurizio Lombardi, Matilda De Angelis, Pietro Castellitto, Luigi Fedele, Alberto Astorri, Antonio Scarpa, Eugenio di Fraia, Maccio Capatonda, Enrico Bergamasco, Giorgio Antonini, Giovanni James Bertoia, Lorenzo de Moor, Luca Lo Destro, Rebecca Coco Edogamhe
Sceneggiatura: Valentina Strada, Federico Gnesini, Renato De Maria
Fotografia: Gian Filippo Corticelli
Montaggio: Clelio Benevento
Musiche: David Holmes
Produttore: Angelo Barbagallo
Casa di Produzione: Rapiniamo il Duce
Distribuzione: Netflix

Data di uscita: 26/10/2022

Trailer

Dagli stessi registi o sceneggiatori

Pubblicità
Laureato in archeologia ma sempre con pericolose deviazioni cinematografiche, tali da farmi frequentare dei corsi di regia e sceneggiatura presso il Centro Sperimentale di Cinematografia. Ho partecipato per alcuni anni allo staff organizzativo dell’Irish Film Festival presso la Casa del Cinema. Da qua, il passo per dedicarmi a dei cortometraggi, alcuni dei quali per il concorso “Mamma Roma e i suoi quartieri”, è stato breve, condito anche dalla curatela di un incontro intitolato “La donna nel cinema giapponese”, focalizzato sul cinema di Mizoguchi, presso il cineclub Alphaville. Pur amando ovviamente il cinema nelle sue diverse sfaccettature, sono un appassionato di pellicole orientali, in particolare coreane, che credo occuperanno un posto rilevante nei futuri manuali di storia del cinema.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.