BUSSANO ALLA PORTA

BUSSANO ALLA PORTA

Thriller all’insegna dell’essenzialità, ma caratterizzato dall’afflato messianico di molto del cinema del regista, Bussano alla porta conferma la capacità di M. Night Shyamalan di generare tensione con pochi e ben piazzati elementi; l’apparato concettuale è forte, c’è qualche digressione superflua ma il film, complessivamente, intrattiene con intelligenza e stile.

Apocalypse Maybe

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La carriera di M. Night Shyamalan, negli ultimi anni, si è caratterizzata per l’utilizzo di idee sempre più scarnificate ed essenziali, per quanto concettualmente forti. Una scelta che per una certa fase (quella di The Visit e Split, caratterizzata dalla collaborazione con la Blumhouse Pictures) è stata contrassegnata anche dall’utilizzo di budget medio-bassi, almeno finché il ritrovato successo non ha permesso al regista di origine indiana di stringere un nuovo accordo distributivo con la Universal Pictures. Il primo frutto di questo accordo è stato, nel 2021, Old: un film che (per quanto, a parere di chi scrive, non del tutto riuscito) ancora una volta mostrava una singola idea forte alla sua base, ragionando sul tempo e sulla sua capacità di plasmare e riplasmare la vita degli individui. Ora, questo Bussano alla porta prosegue in qualche modo il discorso iniziato dal film precedente, allargando tuttavia il suo sguardo: lo fa mettendo in scena l’odissea di una famiglia, di un’apocalisse annunciata, di quattro improvvisati profeti e di una scelta impossibile. Il tempo – quello della scelta, e quello limitato concesso ai tre protagonisti, e forse all’umanità tutta – è ancora una volta al centro del racconto, ma l’afflato è idealmente più universale, pur nella concentrazione dell’azione in un’unica location.

Quattro sconosciuti e una scelta impossibile

Bussano alla porta, Kristen Cui, Jonathan Groff e Ben Aldridge in una scena
Bussano alla porta, Kristen Cui, Jonathan Groff e Ben Aldridge in una scena del film

È d’uopo rivelare il meno possibile, sulla trama di Bussano alla porta, la cui sceneggiatura è ispirata (con alcune libertà) al romanzo di Paul Tremblay La casa alla fine del mondo. Una filiazione che il regista, fedele alla sua usuale scelta di lasciare un alone di mistero sui plot dei suoi film, ha rivelato solo poco prima dell’uscita, lasciando trapelare unicamente le atmosfere, genericamente improntate al thriller/horror. Al centro della trama, in ogni caso, c’è la coppia formata da Andrew ed Eric (interpretati rispettivamente da Ben Aldridge e Jonathan Groff) che stanno trascorrendo una vacanza in una baita nei boschi insieme alla figlia adottiva Wen; la quiete della famiglia, tuttavia, viene interrotta quando nella proprietà fanno irruzione quattro persone, guidate dal corpulento Leonard (Dave Bautista); queste prendono prigionieri i tre, chiedendo loro di prendere un’impensabile decisione per evitare quella che sostengono essere un’apocalisse imminente. Tra incredulità e voglia di sopravvivere, Andrew ed Eric dovranno lottare per la loro vita e per quella della bambina, anche se progressivamente il dubbio che nel racconto dei quattro ci sia del vero inizia a farsi breccia in loro.

Un anello di congiunzione

Bussano alla porta, Kristen Cui, Ben Aldridge e Jonathan Groff in una scena
Bussano alla porta, Kristen Cui, Ben Aldridge e Jonathan Groff in una scena del film

Accolto oltreoceano in modo piuttosto tiepido (anche se perlopiù non negativo), Bussano alla porta è uno Shyamalan che sembra congiungere la prima parte della carriera del regista – quella di Unbreakable e Signs, contraddistinta da eroi quotidiani chiamati a prendere decisioni impossibili, con un afflato fortemente messianico – e le sue evoluzioni successive; l’incontro con l’ignoto e la contrazione spazio-temporale di Lady in the Water, l’apocalisse realizzata di E venne il giorno, persino l’immediatezza ruspante dei già citati The Visit e Split. E, ovviamente, la riflessione sul tempo – divenuto collettivo – già oggetto del citato Old, qui tuttavia messa a fuoco meglio e a nostro avviso con più lucidità. Nonostante la filiazione letteraria sia quella di un autore di un’altra generazione (decisamente successiva), chi scrive continua a vedere molto della narrativa di Stephen King nel cinema di Shyamalan: l’irruzione del perturbante nel quotidiano, la chiamata a un atto di fede che comporta un inevitabile salto nel buio, una spiritualità tanto forte quanto laica, uomini comuni (come ne La zona morta) chiamati a un atto destinato a cambiare la storia e (forse) a salvare il mondo. Temi che vengono tradotti in una messa in scena tanto essenziale quanto accattivante, caratterizzata da un look volutamente old school (a partire dai titoli di testa: un applauso al regista per la scelta, sempre più rara, di utilizzarli integralmente) realizzato anche grazie all’uso dichiarato di lenti anni ‘90.

Tensione, digressioni e un risultato soddisfacente

Bussano alla porta, Jonathan Groff con Kristen Cui in una scena
Bussano alla porta, Jonathan Groff con Kristen Cui in una scena del film

Come in Signs, la tensione di Bussano alla porta deriva tanto da ciò che vediamo sullo schermo, quanto da ciò che resta fuori campo, magari meramente evocato o suggerito (da un diverso riflesso della luce, o dal cambio nello sguardo di un personaggio). Quando poi il film sceglie di mostrare – spesso utilizzando l’immagine televisiva come tramite – il colpo è duro e va a segno: un risultato raggiunto anche grazie a una sapiente costruzione della suspense, ottenuta con pochi elementi e col solito, magistrale controllo della messa in scena. Al di là delle accennate riflessioni su molti temi contemporanei (l’omofobia, il complottismo, la difficoltà nel discernere la qualità dell’informazione), il film di Shyamalan funziona innanzitutto come pura macchina da tensione: in questo, il regista indiano resta probabilmente tra i più dotati cineasti in circolazione, capace tuttavia di giustificare – quasi sempre – l’impianto thriller con un apparato concettuale forte. Bussano alla porta regala brividi e spunti di riflessione sull’idea alla sua base (quella di persone comuni – aggressori e aggrediti – messe di fronte a una scelta crudele e impensabile) nonostante a tratti l’idea stessa venga diluita con digressioni non sempre funzionali. I flashback di cui la storia è disseminata, di fatto, appaiono qualche volta come elementi narrativi utili a contestualizzare meglio i personaggi, altre volte come meri riempitivi. L’essenzialità ricercata dal regista, arma vincente del film, poteva portare a un’asciuttezza ancora maggiore. Poco importa, comunque: perché Bussano alla porta arriva ai nervi e al cervello (in quest’ordine) in modo diretto e a tratti dirompente. Si può essere soddisfatti.

Bussano alla porta, la locandina italiana
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Scheda

Titolo originale: Knock at the Cabin
Regia: M. Night Shyamalan
Paese/anno: Stati Uniti, Cina / 2023
Durata: 100’
Genere: Horror, Thriller
Cast: Dave Bautista, Nikki Amuka-Bird, Jonathan Groff, M. Night Shyamalan, Abby Quinn, Ben Aldridge, Rupert Grint, Billy Vargus, Clare Louise Frost, Denise Nakano, Hanna Gaffney, Ian Merrill Peakes, Kat Murphy, Kevin Leung, Kittson O'Neill, Kristen Cui, Lee Avant, Lya Yanne, McKenna Kerrigan, Monica Fleurette, Odera Adimorah, Rose Luardo, Saria Chen, Satomi Hofmann
Sceneggiatura: Steve Desmond, Michael Sherman, M. Night Shyamalan
Fotografia: Jarin Blaschke, Lowell A. Meyer
Montaggio: Noemi Katharina Preiswerk
Musiche: Herdís Stefánsdóttir
Produttore: Marc Bienstock, M. Night Shyamalan, Ashwin Rajan
Casa di Produzione: Universal Pictures, Blinding Edge Pictures, Wishmore, Perfect World Pictures, FilmNation Entertainment
Distribuzione: Universal Pictures

Data di uscita: 02/02/2023

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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