EMPIRE OF LIGHT

di Sam Mendes

Il primo film diretto e scritto in solitaria da Sam Mendes è un melodramma d’amore che riunisce diversi premi Oscar: oltre allo stesso regista (miglior film per American Beauty, 1999) in Empire of Light ci sono infatti Olivia Colman (miglior attrice per La favorita di Lanthimos nel 2019) e Colin Firth (miglior attore protagonista nel 2011 per Il discorso del re di Tom Hooper). La sceneggiatura dà vita però a una storia un po’ confusa, che affronta diverse tematiche corpose non riuscendo ad amalgamarle in maniera realmente credibile e appassionante.
L’amore è (davvero) cieco
Hilary (Olivia Colman) è responsabile nel cinema Empire, situato nella costa meridionale inglese e gestito dal signor Ellis (Colin Firth). Le sue mansioni riguardano pulire la sala dopo gli spettacoli, vendere i biglietti, controllare gli ingressi degli spettatori, cui vendere occasionalmente anche bibite e pop corn: tutti compiti che svolge diligentemente a fronte di un’esistenza del tutto solitaria. Gli unici legami profondi che ha sono con gli altri dipendenti che lavorano con lei nel cinema, il proiezionista Norman (Toby Jones) e i colleghi Neil (Tom Brooke) e Janine (Hannah Onslow). La vita di Hilary viene però sconvolta quando un giorno viene assunto Stephen (Michael Ward), con cui riesce stringere un legame fortissimo. Non tardano però ad arrivare le complicazioni relazionali mentre, sullo sfondo, crescono le tensioni razziali, che inevitabilmente coinvolgeranno entrambi…
Dopo Revolutionary Road (2008), Sam Mendes ci racconta un’altra storia d’amore in costume, con esiti meno pessimistici e più agrodolci. Ad essere complicata in Empire of Light è però la possibilità di credere in questo legame tra i due protagonisti, che non riesce mai a risultare realmente vero, come del resto anche lo shock di Hilary nel realizzare l’esistenza del problema che vede come vittima Stephen, ragazzo di colore nell’Inghilterra thatcheriana di inizio anni Ottanta. Cosa spinge un belloccio come Stephen a legarsi profondamente a lei? Certo, si parla fondamentalmente di due emarginati, seppur per motivi diversi, ma è forse insufficiente per appassionarsi al loro legame e all’evolversi di quest’ultimo. Non aiuta nemmeno il ritmo con cui vengono raccontati gli eventi che li vedono coinvolti, tutti condensati nella seconda parte della pellicola che accelera improvvisamente.
Tanti ingredienti…

Mendes si occupa nuovamente della sceneggiatura, scrivendola stavolta totalmente di proprio pugno, e non è un caso: se infatti il precedente 1917 (2019), scritto in coppia con Krysty Wilson-Cairns, era un omaggio ai ricordi di guerra del nonno, con questa pellicola il regista affronta, tra le varie tematiche toccate, la malattia mentale, di cui la stessa madre ha sofferto. Empire of Light racconta infatti il dramma personale di Hilary, con la sua schizofrenia, la sua solitudine e il suo ambiguo sfruttamento sessuale. E ovviamente c’è il razzismo. Nel trattamento di nessuno di questi temi proposti c’è però molta intuizione o vivacità: Mendes è più attento alla partecipazione emotiva dei personaggi che non alla parte politica, per esempio, senza dunque riuscire ad affrontare le diverse problematiche in profondità, se non lanciando qua e là allo spettatore elementi o situazioni piuttosto stereotipate. Non stiamo quindi parlando di un film di Ken Loach, o anche solo di Stephen Frears con il suo My Beautiful Laundrette (1985), in cui i diversi aspetti erano affrontati con acume e con occhi più o meno sconsolati o provocatori.
…e poco arrosto

Tutto comunque converge verso l’Empire con le sue sale cinematografiche, vecchie o nuove che siano non importa; di fatto è l’unico luogo in cui tenere fuori i problemi o instaurare i legami più profondi, e in cui si può davvero essere liberi di dire la verità. Tramite la proiezione di Nessuno ci può fermare (1981, Sydney Poitier) con Gene Pryor e Richar Wilder, è possibile vedere un bianco e un nero relazionarsi come se fosse la scena più normale del mondo. Basta del resto vedere il contrasto tra le luci e i colori accesi del cinema e il grigiore della realtà esterna, molto ben evidenziato dalla bella fotografia di Roger Deakins, pluripremiato agli Oscar nonché fidato collaboratore di Mendes. L’amore per la sala cinematografica è praticamente costante per tutti i 115 minuti di durata della pellicola, tramite le locandine dei film in cartellone (siamo nei giorni a cavallo tra il 1980 e il 1981, quindi è normale intravedere The Blues Brothers o The Elephant Man) e attraverso la figura di Norman: la sala del proiettore è la sua stanza segreta in cui trovare conforto e non venire meno alle proprie responsabilità. Quantomeno in questo luogo. Empire of Light si va così ad aggiungere all’elenco delle pellicole recentemente uscite che vogliono essere, anche e/o soprattutto, una lettera d’amore al cinema (l’ancor più autobiografico The Fabelmans, Babylon o, senza andare troppo indietro nel tempo, Hugo Cabret, per citarne alcuni). A volte, però, come sincera dichiarazione d’amore alla Settima Arte, basterebbe semplicemente realizzare una pellicola ben fatta: altrimenti se ne scrive solo l’epitaffio, in particolare dopo un periodo come quello del Covid che non ha certo giovato al settore.

Scheda
Titolo originale: Empire of Light
Regia: Sam Mendes
Paese/anno: Regno Unito, Stati Uniti / 2022
Durata: 115’
Genere: Drammatico, Sentimentale
Cast: Olivia Colman, Toby Jones, Colin Firth, Justin Edwards, Crystal Clarke, Ron Cook, Spike Leighton, Brian Fletcher, Dougie Boyall, Dylan Blore, Hannah Onslow, Jacob Avery, Jamie Whitelaw, Micheal Ward, Monica Dolan, Roman Hayeck-Green, Sara Stewart, Tanya Moodie, Tom Brooke, William Chubb
Sceneggiatura: Sam Mendes
Fotografia: Roger Deakins
Montaggio: Lee Smith
Musiche: Trent Reznor, Atticus Ross
Produttore: Lola Oliyide, Sam Mendes, Pippa Harris, Celia Duval
Casa di Produzione: Searchlight Pictures, Neal Street Productions
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures
Data di uscita: 02/03/2023