LA QUATTORDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

LA QUATTORDICESIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Dopo l’excursus storico di Dante, Pupi Avati torna al registro più malinconico e familiare con La quattordicesima domenica del tempo ordinario, caricandone i contenuti di autobiografia; ma è un’autobiografia atipica, la sua, che assume a tratti i colori del sogno, a tratti quelli dell’ipotesi e della viva inquietudine.

(Stra)ordinaria nostalgia

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A meno di un anno dall’uscita di Dante, Pupi Avati ci consegna un nuovo lavoro, stavolta dal segno diverso seppur, in un certo senso, affine. D’altronde, il regista bolognese si è finora caratterizzato, nella sua lunga carriera, per una notevole varietà di generi affrontati, mantenendo tuttavia sempre fermi quei temi (la memoria, l’amore, e non ultima la morte) che ne hanno via via sostanziato il modo di narrare. E con questo La quattordicesima domenica del tempo ordinario – titolo insolitamente lungo, e per alcuni criptico – quell’insieme di temi confluisce in un contenitore dal forte carattere autobiografico, stavolta in modo esplicito. Il regista, che nella presentazione alla stampa ha esplicitamente definito il film il suo “più sincero e autobiografico”, prende come spunto una data reale, quella che vide lui stesso convolare a nozze con la sua attuale consorte: il 24 giugno del 1964, il giorno che nella finzione vede il suo alter ego Marzio (interpretato da Lodo Guenzi, leader del gruppo musicale Lo stato sociale) sposare “la ragazza più bella di Bologna” a lungo inseguita, ovvero Sandra (l’esordiente Camilla Ciraolo). La domenica delle nozze è proprio quella del titolo, la data che per il calendario liturgico sta nel periodo tra la Quaresima e l’Avvento, quello in cui normalmente si celebrano i matrimoni; a suonare l’organo, in chiesa, c’è l’amico Samuele (Nick Russo), che con Marzio forma una coppia musicale ancora fermamente decisa a sfondare. Solo che anni dopo, di quel doppio sogno – l’amore e il successo, o forse, piuttosto, la pienezza della realizzazione personale – restano solo i cocci. Sepolti sotto i tradimenti incrociati e le incomprensioni, e il peso delle scelte divergenti.

Falliti, ma vivi

La quattordicesima domenica del tempo ordinario, Gabriele Lavia ed Edwige Fenech in una sequenza
La quattordicesima domenica del tempo ordinario, Gabriele Lavia ed Edwige Fenech in una sequenza del film

In questo suo quarantesimo film, quello in cui gioca dichiaratamente la carta autobiografica, Avati si conferma versatile quanto a registri narrativi e malleabilità nel maneggiarli, quanto coerente nei temi che mette in scena. Il suo racconto personale è per metà autobiografia, per l’altra metà una particolare forma di autoanalisi, quasi nella veste del sogno e dell’ipotesi; la storia di Marzio e di Sandra – che nella versione del presente hanno rispettivamente i volti di due protagonisti del cinema che fu, ovvero Gabriele Lavia ed Edwige Fenech – è infatti finita (?) male, a differenza di quella personale del regista, infranta contro il peso degli anni, delle recriminazioni e dei sogni non realizzati. “Is a dream a lie if it don’t come true, or is it something worse?”, si chiedeva Bruce Springsteen in The River – tra i suoi pezzi più malinconici e pervasi di amarezza – e il regista sembra farsi la stessa domanda, riflettendo forse sul suo sogno e sulla misura in cui si è davvero realizzato, mettendo a confronto i suoi conseguimenti con quelli dell’ammaccato personaggio interpretato da Lavia. Mettendone a confronto forse, soprattutto, i fallimenti: perché, come ha detto lo stesso Avati durante la conferenza stampa, “in realtà siamo tutti dei falliti”, in quanto le aspettative non corrispondono mai ai conseguimenti, e tuttavia è proprio questo scarto, quella carica utopica del tendere a, che ci sprona a vivere. È una vecchiaia, quella del protagonista e quella dello stesso regista, inquieta e tutt’altro che pacificata, curiosamente amara nell’autoriflessione ma priva di resa, capace di indagare sul sé come sull’ultimo grande mistero (non) affrontato; prima di quello di una morte che si è vista e toccata con mano – in primis quella del padre perso da bambino – ma che ancora dovrà aspettare. Abbiamo ancora da fare.

Riannodare i fili

La quattordicesima domenica del tempo ordinario, Lodo Guenzi e Nick Russo in una scena
La quattordicesima domenica del tempo ordinario, Lodo Guenzi e Nick Russo in una scena del film

In fondo, un atipico film storico/biografico come Dante ha più di un punto in comune con un ipotetico auto-biopic come La quattordicesima domenica del tempo ordinario, proprio nella dimensione dell’indagine sul sé e sul proprio passato, oltre che nella descrizione della rincorsa ostinata di un amore che sfugge sempre, in un modo o nell’altro. Anche quando lo si è fisicamente raggiunto. Resta la necessità di riannodare i fili, magari male e in modo precario, col rischio che facendo un nodo da una parte, il tessuto consunto si spezzi dall’altra; ma la necessità di comprendere è un (nuovo) imperativo, da perseguire con la stessa ostinazione di quelli precedenti, i cui obiettivi sono sfumati. E allora, la ricerca del vecchio amico (qui col volto di un insolito Massimo Lopez) che – come nella più classica delle parabole borghesi – ha abbandonato i sogni per il posto in banca, può essere un pezzo del puzzle da (tentare di) rimettere al suo posto; e, laddove il risultato di questo tentativo si rivela (drammaticamente) diverso da quello atteso, può venire in aiuto l’incontro fortuito con l’ex ragazza più bella di Bologna. Sfiorita e amareggiata a sua volta, ma parimenti tutt’altro che arresa; in fondo entrambi, pur per un breve periodo, sono stati dei protagonisti, non solo delle proprie vite. E allora, quella canzone-tormentone che dà il titolo al film, quella celebrazione di un’ordinarietà che in realtà si voleva solo esorcizzare (perché temuta) può parimenti rappresentare una catarsi, anche se cantata di fronte a un pubblico distratto o ostile. Persino ricreare fuori tempo massimo una rissa provocata dalla gelosia (in una scena insieme grottesca e vera) può aiutare a comprendere, testando nel contempo la resistenza di quei fili invisibili. Forse più forti di quello che si pensava.

Fantasmi e futuro

La quattordicesima domenica del tempo ordinario, Gabriele Lavia in una scena
La quattordicesima domenica del tempo ordinario, Gabriele Lavia in una scena del film

Privo del gratuito nostalgismo (passateci il termine) di tanto cinema senile contemporaneo, La quattordicesima domenica del tempo ordinario è un film vivo nonostante il suo vivere di fantasmi, quelli della memoria – addirittura in bianco e nero, nell’evocativa sequenza del chiosco di gelati che apre il film – e quelli – forse visti, forse sognati – incarnati nella figura di un padre che in realtà non si è mai conosciuto; quel padre che però viene a portare, tardi ma forse non troppo tardi, quell’abbraccio di cui entrambi avrebbero avuto bisogno. Fantasmi che sono anche quelli di una musica – elemento che in quegli anni ‘60 stava modificando, insieme a tanti altri prodotti culturali, vita e abitudini delle persone – che qui assume i suoni e le parole di un’unica canzone che nonostante tutto non vuole smettere di suonare; ma anche, sottotraccia, quelli di un cinema che non c’è più, quello di quattro-cinque decenni fa, a cui la messa in scena minimale di Avati esplicitamente guarda. Non è un caso che si siano scelti due interpreti come Lavia e Fenech a incarnare i due protagonisti nelle loro peregrinazioni nel presente: il primo, nel 1975, aveva già vestito i panni di un musicista talentuoso ma schiacciato dai propri demoni personali (e familiari) in Profondo rosso di Dario Argento (prima che lo stesso Avati ne sfruttasse il volto carico di ombre nel successivo Zeder); mentre la seconda rappresenta forse al meglio l’anima popolare di un cinema bulimico – di incassi ma anche di visioni – di cui l’alto artigianato di Avati in fondo non era che l’altra faccia. Opera autobiografica, quindi, sguardo al passato ma tutt’altro che conclusivo, La quattordicesima domenica del tempo ordinario è paradossalmente un film con cui il regista volta pagina per l’ennesima volta, nella sua carriera; preparando forse quel (nuovo) ritorno all’horror di cui lui stesso ha recentemente parlato, che non può che muovere in noi attesa e curiosità.

La quattordicesima domenica del tempo ordinario, la locandina del film
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Scheda

Titolo originale: La quattordicesima domenica del tempo ordinario
Regia: Pupi Avati
Paese/anno: Italia / 2023
Durata: 98’
Genere: Drammatico
Cast: Lodo Guenzi, Luca Della Bianca, Cesare Bocci, Cesare Cremonini, Gabriele Lavia, Jacopo Rampini, Luigi Monfredini, Sydne Rome, Vincenzo Failla, Andrea Santonastaso, Anna Safroncik, Camilla Ciraolo, Edwige Fenech, Fabrizio Buompastore, Joyce Pitti, Massimo Lopez, Nick Russo, Patrizia Pellegrino, Pilar Abella, Rossella Di Liddo, Tony Cercola
Sceneggiatura: Pupi Avati
Fotografia: Cesare Bastelli
Montaggio: Ivan Zuccon
Musiche: Lucio Gregoretti, Sergio Cammariere
Produttore: Antonio Avati, Gianluca Curti
Casa di Produzione: Sky, Vision Distribution, Minerva Pictures, Duea Film
Distribuzione: Vision Distribution

Data di uscita: 04/05/2023

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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