LA BÊTE
Esempio di sci-fi distopica che mescola disinvoltamente suggestioni letterarie, scientifiche e di attualità, La Bête è un’opera che conferma la vitalità e il carattere profondamente personale e originale del cinema di Bertrand Bonello. Sicuramente tra le visioni più stimolanti del concorso di Venezia 80.
Umano non umano
In un concorso veneziano che ha visto, finora, inclusioni discutibili (The Killer di David Fincher, solo per fare un esempio) e altrettanto incomprensibili estromissioni (e qui preferiamo restare sul vago, viste le rigide norme di embargo che inibiscono qualsiasi riferimento qualitativo a film non ancora mostrati al pubblico) questo nuovo lavoro di Bertrand Bonello si è rivelato senz’altro, in assoluto, una delle visioni più stimolanti. Fin dai suoi primi film, Bonello è un autore abituato a dividere, con un cinema bulimico di suggestioni e magari non sempre centratissimo, ma nondimeno vivo e capace di trovare un suo originale e interessante percorso tra quelle stesse suggestioni. Una regola a cui non fa eccezione questo La Bête, opera in cui il regista francese si muove avanti e indietro nel tempo e nelle vite dei suoi personaggi, ridefinendoli e riplasmandoli, giocando di rimandi indiretti tra il loro vissuto e la Storia che si muove attorno a loro. Il filone di partenza è la sci-fi (con un occhio sia alla serie Black Mirror che al lungometraggio di un decennio fa Under the Skin di Jonathan Glazer), l’approdo è una riflessione sulla contemporaneità e sul concetto di umano (nelle sue diverse declinazioni) e di creatività nel senso più ampio del termine. Inclusa quella cinematografica.
Gli eterni (non) amanti
Protagonista del plot di La Bête è Gabrielle (Léa Seydoux), donna che vive in un futuro prossimo in cui l’intelligenza artificiale ha ormai soppiantato quasi completamente il lavoro umano; l’unico modo per costruirsi una qualche carriera professionale, in un mondo ormai automatizzato, è liberarsi delle emozioni, “purificare” il proprio DNA attraverso un percorso terapeutico specifico che consiste nel ripercorrere le proprie vite passate. Vite che, nel caso di Gabrielle, hanno come comune denominatore la presenza di Louis (George MacKay), suo grande amore per un motivo o per l’altro mai afferrato: non nel 1914, in cui la donna è intrappolata in un matrimonio subìto e in una fabbrica di bambole, con le quali rischia sempre più di confondersi; non nel 2014, in cui l’uomo assume l’identità di un giovane incel, frustrato dalla sua incapacità relazionale e portato a odiare l’intero genere femminile; e infine non nel 2044, anno in cui l’amore stesso, così come gli altri sentimenti, è un ostacolo alla realizzazione personale. Su tutto c’è un presagio di morte, l’incombenza di una bestia senza nome e volto, di cui neanche la simulazione priva di forme di un set con green screen – che vediamo messo in scena nel prologo – può cancellare la concretezza.
Algido algoritmo
Bulimico nelle tematiche trattate, come si diceva in apertura, e generoso nella durata (circa due ore e mezza) La Bête mescola con disinvoltura la fantascienza distopica con le suggestioni dell’attualità, la letteratura classica (il subplot parigino è ispirato al racconto di Henry James La bestia nella giungla) con la psicologia così com’è stata ridefinita in questi ultimi anni – e in questo la pandemia e l’ulteriore atomizzazione dei rapporti conseguente ha senz’altro fatto il suo. C’è un filo evidente, di fatto, che lega questo nuovo lavoro di Bonello al precedente e ancor più sperimentale Coma, in cui la proliferazione di storie era quella delle finestre sul desktop della protagonista, di una prigionia imposta dal Covid che impediva il contatto fisico ma moltiplicava gli stimoli cognitivi. Stimoli che qui si fanno carne e storie, ma che vorrebbero l’assenza della componente emotiva per funzionare al meglio, per attenersi alle regole di un “algoritmo” (narrativo ed esistentivo) che fin dall’inizio denuncia il suo intento utopico (o meglio distopico). In tutte le vite di Gabrielle e Louis, infatti, l’emozione (sia pure la basilare commozione per un pezzo country eseguito in un karaoke televisivo, o la voglia di distruggere ciò con cui non si riesce a relazionarsi) è componente ineludibile del percorso dei due. Eliminarla significa eliminare, letteralmente, l’individuo e la sua stessa storia, con tutto ciò che ne consegue.
Terrore dal futuro profondo
Bonello porta avanti questo discorso in La Bête attraverso una narrazione non cronologica e volutamente asimmetrica, rapsodica nella gestione delle tre storie; una narrazione tenuta insieme da rimandi interni a volte diretti, altre basati sulla suggestione, sul link nascosto (come nei videogiochi di qualche decennio fa) piuttosto che sul collegamento esplicito. In un’epoca in cui il concetto di multiverso sembra aver ormai invaso la narrazione audiovisiva, il regista francese ne adatta a suo modo la logica alla più archetipica delle love story: quella, cioè, di due amanti impossibilitati a trovarsi attraverso le epoche – e i mondi – bloccati qui non da una qualche divinità, ma dalle stesse logiche generate (inconsapevolmente?) dall’evoluzione tecnologica. Un’evoluzione forse nascosta dietro un glitch, evocata ai margini del campo visivo come un mostro informe, insidiosamente celata ma capace di azzerare del tutto l’umano. Capace, anche, di rovesciare un plasticoso happy ending in un inquietante suggello distopico, con qualche collegamento (ma forse è solo una nostra suggestione) col finale dell’indimenticato classico della sci-fi orrorifica Terrore dallo spazio profondo (1978). Una scelta confermata anche dai (non) titoli di coda con QR Code da scansionare, “gioco” metatestuale ardito quanto coerente con l’impostazione del film.
Locandina
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Scheda
Titolo originale: La Bête
Regia: Bertrand Bonello
Paese/anno: Francia, Canada / 2023
Durata: 145’
Genere: Drammatico, Fantascienza, Thriller, Sentimentale
Cast: Léa Seydoux, Julia Faure, George MacKay, Kester Lovelace, Dasha Nekrasova, Guslagie Malanda, Jiselle Henderkott, Joa Jappont, Lottie Andersen, Lukas Ionesco, Martin Scali, Parker Henry, Thomas Hayward, Tiffany Hofstetter, Tom Neal, Veronica Szawarska
Sceneggiatura: Guillaume Bréaud, Bertrand Bonello, Benjamin Charbit
Montaggio: Anita Roth
Produttore: Xavier Dolan, Justin Taurand, Alexandre Mattiussi
Casa di Produzione: Les Films du Bélier, Sons Of Manual, Arte France Cinéma, My New Picture