BLACK BOX

di Asli Özge

Tramite l’isolamento di un fatiscente condominio di Berlino e dei suoi residenti, la regista Asli Özge ci offre uno specchio della società contemporanea, uscita dalla pandemia evidentemente non migliorata in termini di solidarietà. L’eccessiva pluralità di personaggi e una narrazione sfocata vanificano il potenziale di partenza, rendendo Black Box un dramma corale in cui la tensione e l’interesse, a lungo andare, svaniscono. Presentato in anteprima al Festival del cinema di Monaco e ora in concorso Progressive alla 18a Edizione della Festa del Cinema di Roma.
Interno berlinese
Asli Özge, nata a Istanbul ma formatasi a Berlino, è una dei diversi cineasti di origine turca ma sostanzialmente tedesca nella formazione; il caso forse più conosciuto in Italia è quello di Fatih Akin, autore, tra gli altri, del recentissimo Rheingold e di La sposa turca (2004). Black Box è il primo film scritto e diretto da questa regista piuttosto giovane (classe 1975) ad arrivare qui in Italia. Ed è proprio in un condominio berlinese che la vicenda si svolge nell’arco di poco più di 24 ore, a partire dall’allestimento della scatola nera del titolo all’interno del cortile. Questa viene usata dal signor Horn (Felix Kramer) come ufficio, ma è soprattutto una sorta di collante tra i residenti. Tra questi vi sono ad esempio i coniugi Henrike (Luise Heyer) e Daniel (Sascha Alexander Geršak) che vorrebbero acquistare il loro appartamento ma sono titubanti a causa dei soldi a disposizione, anche se per la donna si prospetta un imminente colloquio di lavoro; l’insegnante Erik (Christian Berkel), inquilino del piano terra, è invece infastidito dal fatto che i contenitori della spazzatura vengano messi davanti alle sue finestre e avvia una raccolta di firme con il suo vicino Karsten (André Szymanski). Improvvisamente, però, il complesso residenziale viene messo in stato d’emergenza dalla polizia e nessuno può entrare o uscire. Il condominio diventa così una sorta di microcosmo in cui cominciano ad accadere strani eventi che influiranno sul senso di comunità.
Paura e diffidenza a Berlino

Del resto, tutti i personaggi che compongono questo piccolo mondo descritto in Black Box sono piuttosto ambivalenti. L’insegnante Erik aizza gli inquilini gli uni contro gli altri rimanendo però lui stesso vittima di questo gioco. Anche per coloro che sembrano riuscire a rimanere al di sopra delle dinamiche che si vengono a creare, come Henrike e suo marito (di fatto gli inquilini che seguiamo meglio) diventa sempre più dura mantenere la posizione di partenza. Paura, diffidenza e risentimento verso il prossimo sono gli ingredienti scatenati dunque da un evento esterno. Molti sono infatti sospettati di essere responsabili della situazione di emergenza che coinvolge l’intero condominio e noi spettatori, che guardiamo con occhio ancora più grande, sappiamo che in realtà c’è qualcosa di non realmente specificato a determinare la situazione. A farne le spese sono inevitabilmente anche gli stranieri come i vicini Ismail (Timur Magomedgadzhiev) proveniente dal Daghestan e la ragazza libanese soprannominata “Madonna” (Manal Issa). La mancanza di solidarietà verso di loro è ancora più accentuata: il loro arresto per terrorismo, senza una prova concreta, viene vissuto con tranquillità da una comunità condominiale dalla spiccata multiculturalità.
Quelli di fronte

E come in ogni condominio che si rispetti, non mancano gli sguardi curiosi di chi spia dalla propria finestra. L’idea è che qualsiasi cosa si faccia potrebbe essere facilmente osservata, sia stando dentro la propria abitazione che nel cortile. Questo offre diverse prospettive sulle problematiche già esistenti e che vengono acuite dallo stato di tensione che si viene a creare all’indomani dell’intervento della polizia. I problemi riguardano inizialmente la disposizione dei bidoni della spazzatura o le voci inerenti alla vendita degli appartamenti, per poi spostarsi sulle proprie certezze e i propri affetti e legami. Tutto dovrebbe convergere dunque verso un senso di claustrofobia in cui hanno un peso specifico le dinamiche di potere. Dell’improvvisa operazione di polizia non vengono mai spiegati i motivi, o meglio: l’unico scambio di informazioni che la polizia fornisce avviene solo con il signor Horn, il gestore dello stabile che, pur comportandosi apparentemente con gentilezza e pazienza, ostacola di fatto l’unità e la solidarietà tra gli abitanti dello stabile. Una figura pienamente “politica”, insomma.
(Non) andrà tutto bene

L’uso della camera a mano e dei primi piani, in Black Box, segue con piglio quasi documentaristico i personaggi e il loro stato emotivo. Solo in pochissime occasioni la camera alza lo sguardo verso lo spicchio di cielo che si vede dal cortile, quasi a voler dimostrare la reale chiusura mentale dello stabile. La regista tenta infatti di giocare con lo spettatore facendogli balenare nella mente sospetti e accuse che oscillano ora da una parte ora dall’altra con il procedere del film. Alla lunga però questo meccanismo d’incertezza mostra il fianco nel suo dilungarsi, e alla fine non c’è più tempo per avvicinarsi realmente a nessuno dei personaggi raccontanti e ai loro conflitti, che sono tanti. Troppi per una narrazione che non riesce a gestire tutto in maniera equilibrata. Nel complesso, comunque, quella di Black Box è un’umanità che non esce poi così tanto bene da una situazione analoga alla recente pandemia che abbiamo vissuto, di cui l’operazione di polizia e la limitazione alla libertà che ne deriva sembra essere una metafora. Peccato solo però che il film tiri lo spettatore dentro questo condominio in lockdown, precludendogli quesiti scomodi che è meglio andare a cercare altrove, magari (ri)prendendo in mano Il condominio di J.G. Ballard.
Locandina

Scheda
Titolo originale: Black Box
Regia: Asli Özge
Paese/anno: Belgio, Germania / 2023
Durata: 120’
Genere: Drammatico
Cast: Christian Berkel, Marc Zinga, Anne Ratte-Polle, Felix Kramer, Hanns Zischler, Manal Issa, Noémi Besedes, Ali Bulgan, André Szymanski, Anna Brüggemann, Christian Harting, Deniz Orta, Gitta Witzel, Inka Friedrich, Jonathan Berlin, Luise Heyer, Noureddine Chamari, Sascha Alexander Gersak, Timur Magomedgadzhiev
Sceneggiatura: Asli Özge
Fotografia: Emre Erkmen
Montaggio: Patricia Rommel
Produttore: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne, Till Derenbach, Daniel Mann, Michael Souvignier, Jan Krüger, Delphine Tomson
Casa di Produzione: Les Films du Fleuve, Gilles Mann Filmproduktion, Zeitsprung Pictures, Port au Prince Film & Kultur Produktion