ALIEN: ROMULUS
di Fede Alvarez
“Midquel” che poteva risultare facile da sottovalutare – visti i non entusiasmanti epigoni della saga usciti negli ultimi anni – Alien: Romulus è in realtà un buon thriller sci-fi, che sconta solo il fatto di pagare, forse, un dazio eccessivo alla necessità di fedeltà iconografica. Comunque, l’intrattenimento ad alta tensione fa il suo, e il regista Fede Alvarez sembra aver ripreso in mano la saga con stile e sicurezza.
Lo xenomorpho dei due mondi
In questo revival ormai cronico e cronicizzato dei grandi franchise degli anni ‘70 e ‘80 – revival su cui forse, prima o poi, si riuscirà a fare una riflessione di portata più generale di quelle da social/bar a cui siamo ormai abituati – l’ennesimo tentativo di riportare in vita la saga di Alien poteva essere facilmente sottovalutato. Il franchise dello xenomorpho creato nel 1979 dagli sceneggiatori Dan O’Bannon e Ronald Shusett e dal regista Ridley Scott, infatti, ha avuto un destino in parte simile a quello (ancor più radicale quanto a irreplicabilità) della coeva saga di Terminator: i primi due film ormai scolpiti a fondo nell’immaginario collettivo – al punto che i rispettivi “numeri due” sono entrati, di diritto, nella storia del cinema come due tra i migliori sequel di sempre; poi, nei decenni successivi, tentativi di rinvigorire il successo iniziale sempre più stanchi e fallimentari – con la parziale eccezione, proprio riguardo alla saga iniziata da Scott, di un terzo episodio diretto da un esordiente già atipico e di grande personalità come David Fincher. Nel caso di Alien, poi, lo stesso Scott ci ha messo del suo, prima snaturando la saga con un prequel tanto ambizioso quanto fuori tono e inutilmente cervellotico (Prometheus), poi girando uno stanchissimo sequel di quest’ultimo (Alien: Covenant), sorta di preteso “anello di congiunzione” che non congiungeva, ma piuttosto contribuiva, ulteriormente, a far disamorare i fan per un marchio che sembrava aver sparato ormai tutte le sue cartucce. Anche l’annunciato “ritorno alle atmosfere dell’originale” di questo midquel della premiata ditta Fede Alvarez / Rodo Sayagues (al loro attivo La casa versione 2013 e i due episodi di Man in the Dark) suonava tutt’altro che rassicurante: diciamocelo chiaramente, questo “ritornello del ritorno”, perdonateci il gioco di parole, quante volte lo abbiamo sentito negli ultimi anni? E quante volte ha prodotto risultati a dir poco anonimi, quando non proprio irritanti (leggasi: i nuovi episodi di Halloween e L’esorcista)? Lo scetticismo, per questa operazione, era a dir poco giustificato.
Continuity e svecchiamento
Scetticismo che, lo premettiamo, anche durante la visione di Alien: Romulus si conferma non del tutto infondato. Perché il film della coppia Alvarez/Sayagues – rispettivamente regista e co-sceneggiatore – è certamente un’operazione più riuscita di quanto non sarebbe stato logico attendersi, che in qualche modo fa tirare un sospiro di sollievo ai fans di vecchia data ridando, dopo decenni, linfa e vigore al franchise; ma è anche, in un certo senso, un’operazione involontariamente e incidentalmente ibrida, sospesa tra due mondi (magari distanti anni luce, in uno spazio attraversabile solo tramite un lungo criosonno, restando in metafora); tra quello della stanca nostalgia citazionista e iconografica e quello di un approccio moderno al genere ancora tutto da immaginare, tra la riproduzione esteriore e inerte dei topoi della saga e la sua sana capacità di reimmaginazione, espressa in una fedeltà allo spirito che non dev’essere per forza sterile replica. Forse, in questo, non ha aiutato la scelta della collocazione: il midquel, infatti (in questo caso posto cronologicamente tra primo e secondo episodio) costringe in certa misura a rimandi più o meno espliciti agli episodi in mezzo ai quali si pone; la coerenza e la continuity prima di tutto, insomma, quella che nel cinema moderno è stata eletta a mantra e garanzia di successo, anche quando l’introduzione del multiverso ha finito per destrutturarne le basi (avviandosi a trasformarla, almeno così sembra, in una negazione di se stessa: una sorta di “liberi tutti” che solleva potenzialmente gli sceneggiatori dall’impaccio della coerenza extratestuale). E, quindi, via libera alle strizzate d’occhio esplicite ai film di Scott e Cameron, via libera al design tecno-claustrofobico degli interni di basi e astronavi, ai rimandi iconografici (persino nei costumi) a Ripley & Co., persino a certe linee di dialogo fulminanti rimaste nella storia, e qui riproposte tal quali (lasciamo ovviamente allo spettatore il gusto di scoprirle). Via libera anche ai potentissimi computer interstellari con le tastiere di altrettanti Commodore 64 e gli schermi monocromatici: ci si chiederà se tutto ciò forse non stoni, in un fantahorror scopertamente “serio” uscito nel 2024. La risposta è che sì, la stonatura c’è, vista soprattutto la confezione in grandissima parte moderna del film. Si poteva fare meglio, si poteva gestire in modo più equilibrato la compresenza di esigenze filologiche e collocazione nel moderno cinema mainstream? Forse sì, ma non possiamo dirlo con assoluta certezza.
La banda (spaziale) dei cinque
Comunque, lo ribadiamo, Alien: Romulus ha tante frecce al suo arco, e le usa generalmente bene: magari non sempre fa centro, ma non ci va mai così lontano. A partire dalla backstory: la scelta di protagonisti post-adolescenti farà certamente storcere il naso ai puristi, eppure lo script delinea decisamente bene il gruppetto di improvvisati (e improvvidi) esploratori spaziali: un team guidato dall’inedita coppia di fratelli donna-androide interpretati rispettivamente da Cailee Spaeny e David Jonsson, lei orfana alla disperata ricerca di una via d’uscita dalla miserabile vita nella colonia di minatori che è costata la vita ai suoi genitori, lui misteriosa macchina rimessa in sesto dal padre della ragazza, che l’aveva programmato per proteggerla. Ma siamo lontani tanto dalle vecchie figure di robot “storici” della saga – quelle interpretate da Ian Holm e Lance Henrikssen nei primi due film, per capirsi – quanto dai replicanti bladerunneriani o dalla declinazione “buona” del Terminator di Cameron nel secondo film della saga: prima che venga rivelata la sua natura meccanica, infatti, l’Andy interpretato da Jonsson ha tutto l’aspetto di un adolescente autistico dal fare goffo, letterale e tutto preso nel ripetere ad libitum freddure che paiono uscite da un vecchio Dylan Dog: anche la recente fascinazione del cinema e della tv hollywoodiani per la neurodivergenza (chissà se Alvarez e Sayagues hanno visto le serie Atypical e Avvocata Woo, oppure, per andare leggermente più indietro nel tempo, il Mr. Robot interpretato da Rami Malek) fa parte dell’aspetto più moderno e dinamico del film: quello che, in definitiva, ci appare più interessante. E poi: le dinamiche interne al gruppo, i legami familiari di sangue e quelli acquisiti, il bullo che nasconde (neanche tanto bene, invero) un trauma e un motivo di risentimento verso la sua vittima, l’afflato avventuroso e quello di una legittima fuga destinata a trasformarsi presto in un incubo. Tutto già visto, ma tutto assolutamente funzionale: in fondo, il primo Alien non è che avesse una sceneggiatura di strabiliante complessità. Qui, vista la premessa, era necessario semplicemente delineare il contesto, fornire un minimo di background, descrivere un pretesto credibile – la fuga dei cinque verso un lontano pianeta, e la necessità di recuperare altrettante capsule criogeniche in una stazione spaziale abbandonata – per poi innescare la miccia. Niente di più, niente di meno.
Un “capitolo 1,5” che fa sparire gli altri
E la “miccia”, una volta innescata, produce in effetti una gradevole reazione a catena di piccoli e grandi scoppi. Alien: Romulus, anche stilisticamente, vuole fare la crasi tra il primo Alien e il successivo Aliens: Scontro finale (citiamolo per esteso almeno una volta, il film di Cameron, anche solo per l’importanza che ha avuto per la saga e l’immaginario sci-fi anni ‘80 tutto): invece di ignorare narrativamente pezzi di franchise – come fanno i newquel recenti – li ignora concettualmente, lasciando da parte le contaminazioni che Fincher e Jeunet portarono nell’universo dello xenomorpho, e concedendo giusto un po’ (sempre in termini di backstory e di necessaria continuity) ai due prequel dello stesso Ridley Scott. Inizia facendo il verso in modo scoperto allo Scott versione 1979, resuscitando il tema della contaminazione e della minaccia che trova la sua incubazione del corpo e poi lo fagocita; poi gioca di moltiplicazione, tenendo però a bada l’immaginario militaresco/spaziale del film di Cameron, amalgamando bene inquietudine claustrofobica e smarrimento cosmico, fisicità sanguigna e horror con dialettica predatori/predati. In mezzo, qualche pericoloso (e piuttosto gratuito) sbandamento dalle parti di A Quiet Place, la riflessione sulla maternità già appartenuta al film di Cameron – che qui si apre addirittura a suggestioni che rimandano vagamente a Rosemary’s Baby: anche su questo scegliamo di non dire di più -, il tema dell’intelligenza artificiale che fa capolino, vero e proprio convitato di pietra del cinema sci-fi degli ultimi 3-4 anni (e anche su questo ci sarebbe da aprire, prima o poi, una riflessione a parte) e un’ultima parte un po’ più convenzionale, che finisce per pagare forse un dazio eccessivo ai due citati prequel: comunque, lo specifichiamo, nulla di così fastidioso. La qualità della messa in scena, generalmente buona, si “sporca” un po’ solo nel finale un po’ caotico, complice (anche) la scelta di strafare in nome della coerenza di cui abbiamo appena detto. E porte aperte, ovviamente, per un ulteriore midquel: che tanto prima che Ripley e compagni tornino su Acheron a far ingoiare piombo agli xenomorphi – sotto l’abile direzione di Cameron – c’è tempo. Un’ultima notazione a beneficio dei più curiosi: non c’è nessuna scena post-credits. Forse questo e altri blockbuster recenti hanno finalmente segnato la strada giusta per dimenticarsi di questa ormai stucchevole abitudine.
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Scheda
Titolo originale: Alien: Romulus
Regia: Fede Alvarez
Paese/anno: Regno Unito, Stati Uniti / 2024
Durata: 119’
Genere: Horror, Fantascienza, Thriller
Cast: Archie Renaux, Cailee Spaeny, Ian Holm, Isabela Merced, Daniel Betts, Rosie Ede, Aileen Wu, Annemarie Griggs, Bence Okeke, David Jonsson, Robert Bobroczkyi, Soma Simon, Spike Fearn, Trevor Newlin, Viktor Orizu
Sceneggiatura: Fede Alvarez, Rodo Sayagues
Fotografia: Galo Olivares
Montaggio: Jake Roberts
Musiche: Benjamin Wallfisch
Produttore: Gergö Balika, Michael Pruss, Ridley Scott, Walter Hill
Casa di Produzione: 20th Century Studios, Scott Free Productions, Brandywine Productions
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures Italia
Data di uscita: 14/08/2024