FALSEHOOD

FALSEHOOD

Presentato in anteprima nazionale al Trieste Science+Fiction Festival, Falsehood è il terzo, riuscito lavoro del regista canadese Ethan Hickey: un racconto distopico sospeso tra impronta concettuale e filosofica, e struttura da thriller di taglio classico, capace di sfruttare al meglio gli strumenti a disposizione e di riflettere con intelligenza sullo stesso potere rivelatore (o al contrario manipolatore, con tutto ciò che c’è in mezzo) del medium cinematografico.

Così falso, così vero

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Titolo tra i più attesi di questa 25a edizione del Trieste Science+Fiction Festival, terza regia del talentuoso regista canadese Ethan Hickey (il suo recente Older Every Day ha vinto il premio per il miglior film al New York International Film Festival), Falsehood è sicuramente un film che non manca di ambizioni. Ben piantato in una tradizione di sci-fi tesa a esplorare un futuro ipotetico, che tuttavia non presenta troppe differenze col presente nelle sue dinamiche sociali e politiche di base (viene in mente la spesso citata, recente serie cult Black Mirror, ma anche titoli più datati come Strange Days di Kathryn Bigelow) il film di Hickey non cade tuttavia nella tentazione – a volte una scorciatoia per i cineasti più giovani – dell’opera derivativa o furbamente citazionista; il suo obiettivo è piuttosto quello di perseguire una sua specifica strada, tesa non solo a mescolare cinema di intrattenimento e riflessioni filosofiche di marca “elavated”, ma anche ad asciugare il più possibile la materia del fantastico nella sua essenza (la meraviglia e/o l’orrore dell’ignoto) per consegnare allo spettatore un dramma umano e familiare capace di intrecciare politica e affetti in una solida struttura da thriller. La scelta di mostrare un futuro sì distopico, ma molto vicino al presente in termini scenografici e di strumenti tecnologici quotidiani, permette al regista di mascherare abilmente le limitazioni di budget (comunque classificato come medio-alto per una produzione locale) e di puntare forte su un’estetica accattivante, capace di aprirsi a un coté più smaccatamente futuristico solo laddove ve ne sia una reale esigenza narrativa. Il risultato è visivamente e concettualmente potente, anche se forse, per certi versi, imperfetto. Ma vediamo di andare con ordine.

Il fluido della verità

Senza anticipare troppo di un plot che non manca di twist e rivolgimenti narrativi, diremo che la premessa di Falsehood è quella della mercificazione dei ricordi: qualsiasi frammento di memoria personale, ma anche (e soprattutto) collettiva, può essere estratto dalla mente di chi lo detiene, tradotto in immagini – immagazzinate a loro volta in una minuscola quantità di fluido bluastro – e messo sul mercato in modi legali e non. Al centro della trama c’è il personaggio di Elizeus Carrier (Mark O’Brien), agente del Dipartimento della Memoria, che scopre un complicato complotto governativo legato a quello che, fin dalla sua scoperta alcuni decenni orsono, è considerato il ricordo più collettivo più prezioso; quello legato all’origine stessa del genere umano. L’uomo, ossessionato anche dal desiderio di ottenere giustizia per la morte di sua madre (assassinata anni prima in quanto “custode” – keeper – del prezioso frammento) si trova al centro di un intrigo che coinvolge un presidente impopolare, e forse corrotto, al termine del suo mandato, e una sfidante che ha basato tutta la sua campagna elettorale sulla promessa di rivelare il contenuto di quel ricordo collettivo; una candidata, la senatrice Marie Carrier (Janet Porter) che è incidentalmente anche la sorella di Elizeus, da tempo divisa da lui a causa delle divergenze di visione politica e di scelte di vita. Quando il nuovo custode del falsehood, questo il nome del prezioso frammento, viene a sua volta assassinato, è chiaro che la famiglia di Elizeus, compresa sua figlia adolescente Noor (Mojeane Sadr) si trova di nuovo in pericolo. Ma l’eventuale rivelazione del contenuto del falsehood – del suo vero contenuto, come viene eloquentemente evidenziato in un dialogo – potrebbe portare a conseguenze ben più radicali per l’intera umanità.

Concetto e classicità

Co-sceneggiato dal regista insieme al francese Mouloud Kay, Falsehood vuole essere il primo capitolo di un’ideale trilogia dedicata al tema della verità e della sua costruzione, nei contesti della politica, della religione e della storia. Macro-temi che sicuramente qui impattano tutti e tre, in proporzioni di volta in volta diverse (ma comunque impossibili da districare del tutto) con lo sviluppo narrativo del film, incentrato soprattutto sull’odissea di un personaggio – un investigatore tormentato degno di un noir d’antan – e sulla sua pervicace ricerca della verità. L’intreccio tra la dimensione intima e dolente descritta dalla trama, incarnata nella figura di Elizeus, e la portata collettiva (persino universale) della sua ricerca, va a caricare di materiale umano, e concreto, una costruzione narrativa che a tratti rischia di farsi troppo concettuale: d’altronde, dare una valenza “politica” a un cinema fantastico improntato all’astrazione è un compito molto difficile, che probabilmente nel cinema contemporaneo riesce a pochissimi autori (un nome per tutti: Christopher Nolan, in particolare in titoli come Inception o Tenet). Pur non essendo del tutto immune dalla tentazione di ripercorrere quel (difficile) tracciato, Ethan Hickey sceglie per fortuna, a un certo punto del film, una sua strada: e lo fa unendo le ambizioni teoriche – anche quelle che vogliono riflettere direttamente sul cinema fantastico, e sulla capacità di indagare in forma di metafora nei meccanismi politici e sociali del mondo contemporaneo – a una struttura narrativa molto classica, diremmo dichiaratamente di genere.

Socchiudere la porta

La scelta del regista, ci viene da dire, è vincente: ciò che nel racconto è indicibile oltre che pericoloso da mostrare – ciò che sacrifica gli affetti sull’altare della realpolitik e del mantenimento dell’ordine sociale – è anche ciò che deve restare fuori campo per noi spettatori; ciò che ci è dato di vedere è solo l’effetto del suo svelamento sul volto di chi ne è testimone, oltre a uno scorcio, nella sequenza sui titoli di coda, delle sue conseguenze. Sia quelle private, ovvero familiari e immediate, sia quelle, di là da venire, collettive. Il potere del non detto e di ciò che resta ai margini della visione, capace di colpire più di qualsiasi spiegone o sequenza direttamente risolutiva. Come un horror che invece di aprire la porta dietro la quale è celato il mostro, per mostrare un orrore che, quando esplicitato, è destinato forzatamente a trasformarsi in delusione (il vecchio paradosso del genere, ricordato tra gli altri da Stephen King in Danse Macabre) sceglie solo di socchiuderla, quella porta, facendo intuire appena uno scorcio di quello che si cela oltre. Che si tratti dei misteri della morte o di quelli della vita (e della sua origine) in fondo cambia poco: trattarlo meglio possibile, con gli strumenti che i rispettivi linguaggi ci mettono a disposizione, è uno dei compiti del fantastico, variamente declinato. Nella sua imperfezione e nella stessa inevitabile (parziale) “delusione” che genera, Falsehood ci è sostanzialmente riuscito. E la promessa del titolo, in fondo, ci restituisce tutta la contraddizione (feconda) dell’autenticità “umana” che il racconto invece trasmette. Potere del fantastico.

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Locandina

Falsehood, la locandina originale del film di Ethan Hickey

Scheda

Titolo originale: Falsehood
Regia: Ethan Hickey
Paese/anno: Canada / 2025
Durata: 110’
Genere: Fantascienza, Thriller
Cast: Mark O’Brien, Humberly González, Greg Bryk, Janet Porter, Olunike Adeliyi, Adam Tsekhman, Curtis Fletcher, Damian Romeo, David Reale, Katerina Maria, Kevin Bundy, Mark Pettit, Martin Ortega, Mojeane Sadr, Paige Evans, Sarah Cleveland, Shaun Benson, Shawn Doyle
Sceneggiatura: Ethan Hickey, Mouloud Kay
Fotografia: Jason Bergen
Montaggio: Ethan Hickey, Corey Stanton
Musiche: Christopher Guglick
Produttore: Michael James Regan, Johnathan Sharp, Elizabeth Fraser
Casa di Produzione: 5 Star Idiot Productions

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Giornalista, critico cinematografico, saggista. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it, Quinlan.it e Cineclandestino.it. Dal 2018 al 2023 sono stato consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Ho partecipato ai volumi collettivi "Le forme della violenza. Cinema e dintorni" (Edizioni Efesto, 2018), "Almanacco TUPS. Nuovi disturbi autistici" (LEM Libraria, 2022) e "La triade dell'autismo. Etica, epistemologia, attivismo" (LEM Libraria, 2024). Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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