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Fresco vincitore del premio Asteroide al Trieste Science+Fiction Festival, Redux Redux è un crudo thriller fantascientifico, che non arretra né nella rappresentazione esplicita della violenza, né in una componente melò pure attentamente dosata, capace di suo di dare sostanza al racconto. Una conferma per i fratelli Kevin e Matthew McManus, cineasti talentuosi quanto capaci di offrire uno sguardo rinnovato, e fresco, su un tema inflazionato come quello degli universi paralleli.
Il giorno della marmotta vendicatrice
Il tema del multiverso, sfruttato e saccheggiato in lungo e in largo nel corso dell’ultimo decennio, divenuto mainstream grazie alla Marvel e successivamente rivisto in mille varianti diverse, sembrava aver ormai detto, al cinema, gran parte di ciò che aveva da dire. Tramontato (momentaneamente?) l’hype dei cinecomic e degli universi condivisi e iperconnessi, condannato a un precoce oblio quell’esperimento pop da notte delle stelle che rispondeva al nome di Everything Everywhere All At Once, il macro-filone degli universi paralleli pareva essersi consumato rapidamente, almeno a livello mainstream; un po’ come una merce deperibile, fatta di quella stessa materia soggetta a rapida degradazione che – in questi tempi di parossistico, continuo ricambio delle mode – sembra comporre ormai gran parte dell’intrattenimento audiovisivo. Tuttavia, capita ogni tanto che la scena indie – quella ancora lontana dai riflettori delle major, dei grandi festival e dei tribunali social più spietati – arrivi a raccontare una storia diversa. Ed è esattamente quello che è successo – e fa ovviamente piacere rilevarlo – con questo Redux Redux, terza regia cinematografica dei fratelli Kevin e Matthew McManus, e giustamente insignito del Premio Asteroide nell’appena concluso Trieste Science+Fiction Festival. Un thriller fantascientifico con l’anima noir, capace di non farsi schiacciare dall’allure postmoderna del tema degli universi paralleli (anzi, la direzione è semmai quella del recupero di atmosfere e mood ben più eterodossi) e di offrire alcune lucide riflessioni su identità, lutto, spersonalizzazione e ricostruzione (dolorosa) del sé. Senza aver paura di premere, alternativamente, sui pedali della violenza più nichilista e del melò più esplicito.
La vendetta è un piatto… che va di traverso

È in fondo un atipico revenge movie, Redux Redux, il cui plot muove da una premessa molto semplice: una madre in lutto (Michaela McManus, sorella dei due registi e già presente nei loro film precedenti) e il suo pellegrinaggio errante da un universo all’altro, alla perenne ricerca di una versione del mondo, tra i miliardi possibili, in cui sua figlia sia ancora viva; ma sfortunatamente, per la sempre più scoraggiata e indurita Irene, l’unica cosa a cui ogni volta la sua ricerca la fa approdare è il killer della ragazza che ha già compiuto il suo lavoro, puntualmente oggetto di una sete di vendetta tanto facile da appagare quanto effimera. Come da lei stesso ammesso, dopo ogni uccisione e ogni migrazione di universo, Irene perde “un po’ di se stessa” – oltre alla consapevolezza del senso stesso, originario, del suo vagare. Tutto ciò, almeno, fino all’incontro con Mia (la sorprendente Stella Marcus), adolescente sbandata che la donna casualmente salva dal killer. Il solitario sentiero della vendetta, per la protagonista, sembra quindi essersi incrociato dopo tanto tempo con quello di un’altra persona: ma a quale prezzo, per entrambe?
Ritrovarsi cercando il passato

Stupisce in positivo, la freschezza ma anche la lucidità di intenti di questo Redux Redux; conferma da un lato del talento di un duo di cineasti che auspicabilmente sapranno dire la loro ancora a lungo negli anni a venire, dall’altro della validità e della ricerca dietro una selezione (quella del festival triestino) capace di unire ricerca contenutistica, attenzione ai nuovi linguaggi e capacità di mantenere un approccio essenzialmente “popolare” nella proposta. Qui, il “nuovo” sta essenzialmente nella naturalezza – tale da diventare quasi invisibile – con cui i due registi mescolano una trama da revenge movie che sembra strizzare l’occhio al tarantiniano Kill Bill (ma in realtà le assonanze sono poco più che superficiali) con una riflessione ricca di sostanza – e a suo modo atipica – sui fondamenti concettuali del filone, che fa riemergere dall’abisso del dolore cieco l’archetipica figura (decostruita) del personaggio votato alla vendetta. Un percorso a ritroso fuori dal baratro, quindi, un “nero” che riacquista la possibilità di ipotizzare, almeno, la luce; una trasformazione tale da rendere la protagonista Irene capace di riacquistare – pur in modo travagliato – un’umanità che sembrava perduta, e sopra ogni altra cosa una vera identità, di essere umano e donna oltre che di madre.
Fuoco, cammina con me. Fuori di qui.

Com’è facile immaginare da questa sommaria descrizione, quindi, tanto il multiverso digitale (pseudo) lisergico del Marvel Cinematic Universe. quando quello ultrapop e cartoonesco del già citato Everything Everywhere all at Once, restano lontanissimi dall’essenza di Redux Redux; nel film dei fratelli McManus il passaggio tra una dimensione e l’altra (attuato tramite un marchingegno deliziosamente fanta-retrò, quasi una DeLorean senza ruote in versione sarcofago) si traduce piuttosto nell’eterno ritorno del già visto, del già esperito che, come tale, viene man mano svuotato di senso: un deliberato ripercorrere più e più volte lo stesso sentiero (in questo caso di morte: ma prima del thanatos, anche qui, c’è l’eros di un incontro anch’esso reiterato, parimenti ridotto a vuota performance) con una logica che occhieggia esplicitamente il filone sci-fi degli anelli temporali e diventa trasparente metafora della vacuità della rincorsa al passato. Quest’ultimo – e anche questa, in un’epoca di evocazione acritica del vintage, è a suo modo una scelta controcorrente – viene visto piuttosto come territorio marcio e sterile, una brulla wasteland capace di disumanizzare, progressivamente, chi sceglie di abitarla. Lo stesso elemento disumanizzante, in Redux Redux, è reso in modo molto esplicito anche visivamente: i McManus non risparmiano niente, in termini grafici, alla brutalità delle azioni della protagonista, la cui ferocia viene invece messa in evidenza anche a dispetto dell’empatia che il personaggio, fin da subito, suscita. Proprio alla luce di questo, stupisce ancor più l’emersione graduale della componente melò, sostanziata dalla recitazione delle due attrici e ben integrata nella più generale struttura da thriller: e in questo senso l’esibita circolarità del film (che si apre e si chiude con l’elemento del fuoco, interpretato in sensi opposti) acquista una forte e trasparente valenza etica e simbolica. Un piccolo, ulteriore tocco di classe in un film insieme sorprendente e prezioso.
Locandina

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Scheda
Titolo originale: Redux Redux
Regia: Kevin McManus, Matthew McManus
Paese/anno: Stati Uniti / 2025
Durata: 107’
Genere: Fantascienza, Thriller
Cast: Jim Cummings, Clinton Lowe, Dan Perrault, David Terrell, Debra Christofferson, Dendrie Taylor, Derick Alexander, Grace Van Dien, Hilty Bowen, Jeremy Holm, Juan Francisco Villa, London Garcia, Michael Manuel, Michaela McManus, Minita Gandhi, Raphael Chestang, Remy Ortiz, Stella Marcus, Tamika Simpkins, Taylor Misiak
Sceneggiatura: Matthew McManus, Kevin McManus
Fotografia: Alan Gwizdowski
Montaggio: Derek Desmond, Nate Cormier
Musiche: Paul Koch
Produttore: Marcela De Luna, PJ McCabe, Michael J. McGarry, Jennifer McLaughlin, Nate Cormier, Matthew McManus, Kevin McManus
Casa di Produzione: Mothership Motion Pictures

