DENTI DA SQUALO

DENTI DA SQUALO

Opera prima di Davide Gentile, Denti da squalo mette insieme il coming of age (con qualcosa di certo Niccolò Ammaniti) e il crime movie, risultandone in un insieme imperfetto ma affascinante. Un lavoro non sempre centrato e a tratti poco credibile, ma con uno sguardo sicuramente interessante.

La realtà che morde

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Tra gli esordi italiani di un certo rilievo usciti in questo 2023, merita una certa attenzione questo Denti da squalo, opera prima del regista (con un passato nella pubblicità e nei corti) Davide Gentile. Un lavoro che può contare sulla produzione della Goon Films di Gabriele Mainetti – qui anche co-autore delle musiche – a garanzia di un approccio alla materia (il crime movie, a cui il film non fa mistero di appartenere) che promette originalità e freschezza. Ed è certamente inusuale, l’angolazione da cui il film di Gentile avvicina il filone, partendo da uno sguardo (pre)adolescenziale che tinge la storia dei colori di una fiaba moderna: ne è protagonista il tredicenne Walter, da poco orfano di padre, che decide di entrare in una villa, apparentemente disabitata, appartenuta a un leggendario criminale, il Corsaro. Il ragazzino, con sua enorme sorpresa, trova uno squalo nella piscina, a cui riesce a sfuggire per un soffio; ma, soprattutto, incappa in Carlo, un ragazzo più grande che prima lo minaccia – affermando di essere il custode della villa – e poi finisce per farci amicizia. La strana compagnia di Carlo aprirà a Walter un mondo sconosciuto, la cui fascinazione gli farà momentaneamente dimenticare il dolore per la perdita del padre Antonio, nonché l’incapacità di sua madre Rita di stabilire con lui un dialogo.

Dalla fiaba al noir

Denti da squalo, Tiziano Menichelli e lo squalo in una scena
Denti da squalo, Tiziano Menichelli e lo squalo in una scena del film

L’approccio fiabesco sembra essere sempre più la cifra stilistica prediletta attraverso la quale i registi più giovani approcciano un certo tipo di storie – in particolare le più dure: ne è stato un esempio il recente La caccia, opera seconda di Marco Bocci, e ne è esempio emblematico – seppur in modo diverso – questo Denti da squalo. Un film, quello diretto da Davide Gentile, raccontato interamente attraverso gli occhi di un ragazzino, imbevuto di uno sguardo infantile che viene colto un attimo prima del passaggio all’adolescenza, ma anche immediatamente dopo il trauma di un prematuro lutto. Il tutto è bagnato nei colori e nella luce abbacinante di un’estate che, terminata l’infanzia, inevitabilmente non avrà più lo stesso feeling; una lucentezza – punteggiata di corse in bicicletta, tuffi in acqua e avventurose esplorazioni di ville abbandonate – che lentamente sfumerà nella torbida notte dei locali, negli incontri con gli equivoci individui a cui Carlo introdurrà il protagonista, e nell’ebbrezza vorticosa di una prematura educazione criminale. L’approccio al coming of age del film ha quindi qualcosa del Niccolò Ammaniti di Io non ho paura – il cui sguardo era a sua volta debitore a quello del miglior Stephen King – con un approccio forse ancor più onirico, incarnato dagli incontri del protagonista col fantasma del padre impersonato da un efficace Claudio Santamaria.

Un mood “di confine”

Denti da squalo, Tiziano Menichelli e Stefano Rosci in una scena
Denti da squalo, Tiziano Menichelli e Stefano Rosci in una scena del film

Funziona molto bene, tutta la prima parte di Denti da squalo, con un’atmosfera demandata più alle azioni dei personaggi e al fascino degli ambienti che ai dialoghi, ridotti all’osso e quasi smozzicati dal protagonista Tiziano Menichelli in un efficace romanesco. Una costruzione che si giova anche dell’efficacia dell’altro protagonista giovane, uno Stefano Rosci che trova il quid giusto tra spacconeria, fragilità e curiosità, rendendo in modo naturale un’amicizia in cui i ruoli finiranno presto, imprevedibilmente, per rovesciarsi. Il film di Gentile funziona e avvince laddove mantiene un mood “di confine”, in cui la fiaba non ha ancora ceduto il passo alla realtà, e gli elementi che suggeriscono la storia del protagonista sono ancora pochi e frammentari. La stessa idea dello squalo, elemento simbolico e programmaticamente fuori contesto, nella piscina di una residenza di lusso, rappresenta un forte richiamo – un po’ smaccato ma efficace – alla realtà di un mondo adulto capace di mordere: un elemento che è insieme parte della costruzione fiabesca (col suo richiamo alle antiche storie di pirati, evocate anche dal racconto da parte di Carlo della vicenda del Corsaro, e dallo stesso incontro con quest’ultimo, un istrionico ma empatico Edoardo Pesce) e monito dell’inevitabile incontro/scontro con una realtà che può far male. Che teoricamente potrebbe anche uccidere.

I limiti dell’amalgama

Denti da squalo, Claudio Santamaria e Tiziano Menichelli in una scena
Denti da squalo, Claudio Santamaria e Tiziano Menichelli in una scena del film

Quando, tuttavia, Denti da squalo approccia la sua seconda componente, quella più eminentemente crime e realistica, tutta la sua costruzione finisce per perdere di mordente, penalizzata anche da un non perfetto amalgama di storie e background dei personaggi, e da un’evoluzione poco credibile della vicenda in sé. Non c’è la necessaria armonia e gradualità, nell’ingresso del protagonista nell’underworld criminale del litorale romano, che vorrebbe richiamare – senza avere la forza espressiva necessaria – la rappresentazione dell’universo criminale di Non essere cattivo di Claudio Caligari; il film, in particolare, trova i suoi momenti più deboli nelle parentesi che coinvolgono la madre del protagonista interpretata da Virginia Raffaele. Proprio il personaggio di quest’ultima, incerto nella descrizione, dà vita a siparietti poco credibili – come nella sequenza del pranzo con Walter e l’amico Carlo, e nelle successive interazioni con quest’ultimo – finendo per condurre la storia verso una conclusione decisamente poco credibile. Il regista, in tutta la seconda metà di questo suo comunque interessante esordio, sembra non riuscire a trovare la giusta quadra tra la tenerezza di una storia sull’infanzia e la crudeltà di una vicenda criminale, mettendo in scena a tratti un contrasto troppo stridente, a tratti un’insufficiente caratterizzazione dell’atmosfera nell’uno e nell’altro senso. Sofferente di una problematica messa a punto della storia nella sua coerenza – e nell’atmosfera – Denti da squalo si caratterizza comunque come un esordio promettente, di cui non si fatica a ricordare le singole intuizioni visive e narrative, pur in un impianto generale ancora parzialmente difettoso.

Denti da squalo, la locandina del film
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Scheda

Titolo originale: Denti da squalo
Regia: Davide Gentile
Paese/anno: Italia / 2023
Durata: 104’
Genere: Drammatico
Cast: Edoardo Pesce, Claudio Santamaria, Virginia Raffaele, Matteo Scattaretico, Stefano Rosci, Tiziano Menichelli
Sceneggiatura: Valerio Cilio, Gianluca Leoncini
Fotografia: Ivan Casalgrandi
Montaggio: Tommaso Gallone
Musiche: Michele Braga
Produttore: Claudio Saraceni, Jacopo Saraceni, Federico Saraceni, Andrea Occhipinti, Gabriele Mainetti, Mattia Guerra, Stefano Massenzi
Casa di Produzione: Goon Films, Ideacinema, Lucky Red
Distribuzione: Lucky Red

Data di uscita: 08/06/2023

Trailer

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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