SHADOW OF FIRE

SHADOW OF FIRE

È stato inserito (purtroppo) nella sezione Orizzonti uno dei film più belli visti quest’anno a Venezia 80: Shadow of Fire è il nuovo tassello di una poetica, quella di Shinya Tsukamoto, che si fa sempre più limpida, ma anche un esempio di cinema umanista e politico insieme, nell’unico modo in cui forse, nel 2023, è possibile ancora unire le due componenti.

Rabbiosa preghiera

Pubblicità

In una 80a Mostra del Cinema di Venezia caratterizzatasi, nel suo complesso, per una qualità altalenante, e soprattutto per un concorso i cui criteri di selezione sono apparsi dettati più da calcoli di opportunità (forse anche politica) che qualitativi, è ancora una volta alla sezioni collaterali che bisogna guardare per farsi davvero scuotere dalla visione di un film. Sembra quasi paradossale fare questo discorso – che sembra relativo all’opera di un esordiente o di un autore di culto – per l’ultimo film di un cineasta come Shinya Tsukamoto, tra i registi più importanti del cinema giapponese degli ultimi decenni; un autore, Tsukamoto, che il concorso della Mostra l’ha già frequentato due volte, rispettivamente nove e cinque anni fa, coi suoi Fires on the Plain e Zan. Ed è proprio con questi due titoli che questo nuovo Shadow of Fire (in originale Hokage) forma una sorta di trilogia, incentrata sulla guerra e sulle sue ferite, siano esse fisiche, mentali o sociali. Un terzo tassello che incomprensibilmente, stavolta, è andato a occupare la sezione Orizzonti, finendo relegato (di fatto) a una quasi invisibilità, anche per un pubblico veneziano spesso distratto, pigramente poco portato a guardare oltre i confini delle sezioni principali. Anche laddove, come in questo caso, fuori da quei confini c’è il grande cinema.

Un’ombra di ricostruzione

Shadow of Fire, Shuri in una scena del film di Shinya Tsukamoto
Shadow of Fire, Shuri in una scena del film di Shinya Tsukamoto

Il plot di Shadow of Fire è ambientato subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, in un’imprecisata città che è stata completamente distrutta dalle bombe incendiarie. Qui vive una donna che gestisce un piccolo ristorante, ormai quasi sempre deserto, costretta a guadagnarsi da vivere perlopiù vendendo il suo corpo. Intorno al suo locale si aggira sovente un ragazzino, un orfano che sopravvive attraverso piccoli furti al mercato locale; quando nella zona arriva anche un militare reduce dalle Filippine, ex maestro elementare, i tre iniziano spontaneamente a convivere nel locale della donna, formando una sorta di strano nucleo famigliare. Ma il fragile equilibrio del trio presto si incrina, perché le ferite lasciate dal conflitto sono ancora pulsanti e ben lontane dal rimarginarsi. La separazione, la follia latente, e il nichilistico desiderio di chiudere i conti con un passato di atrocità incancellabili, rischieranno di vanificare il barlume di speranza che la convivenza aveva acceso.

Fantasmi

Shadow of Fire, Hiroki Kono in una scena del film di Shinya Tsukamoto
Shadow of Fire, Hiroki Kono in una scena del film di Shinya Tsukamoto

A differenza di quanto accadeva nei due film precedenti, in Shadow of Fire la guerra è del tutto fuori campo, una memoria già divenuta incubo da cui non ci si riesce a risvegliare, un’ombra, come dice il titolo, che tuttavia resta calata come un drappo funebre sulle vite dei tre protagonisti. Solo in una singola sequenza, onirica, vediamo un’evocazione del “fuoco” che cala su una città ormai spettrale, ridotta a paesaggio post-apocalittico, abitato da fantasmi tuttora ancorati a disperate memorie delle loro vite passate. Tre di questi fantasmi (senza nome come devono esserlo gli spettri) si incontrano per un po’, forse illudendosi di poter ricostruire un embrione di società. Ma ci sono limiti e confini (fisici, nel caso della stanza sul retro della donna, dove sono nascoste le sue reliquie; mentali, nel caso dei ricordi dell’ex maestro) che non possono essere oltrepassati, pena il crollo irrimediabile della fragile struttura appena messa in piedi. Pena il riemergere del dolore, il rinnovarsi della violenza, la nuova separazione che prelude (probabilmente) alla follia.

Speranza nella speranza?

Shadow of Fire, una scena del film di Shinya Tsukamoto
Shadow of Fire, una scena del film di Shinya Tsukamoto

Scarnificato quanto a dialoghi, Shadow of Fire è molto meno esplicito, in termini visivi, della maggior parte delle precedenti opere di Tsukamoto. Il regista, presentando il film al pubblico della Mostra, non a caso lo ha definito “una preghiera”: le ferite ai corpi umani sono quasi sempre evocate, piuttosto che mostrate, quelle al corpo della città restano suggerite in brevi scorci di sequenze concentrate soprattutto nella seconda parte, mentre quelle dell’anima – le più dolorose e più lungamente destinate a restare aperte – appaiono manifeste in modo quasi insostenibile. La preghiera di Tsukamoto, che esprime un antimilitarismo più limpido di mille manifesti politici, sembra espressa in modo rabbioso verso una divinità indifferente: ma nondimeno esprime una vitalità che pulsa, lucida e avvertibilissima, tra le macerie reali e simboliche lasciate dal conflitto. È una preghiera che non esprime ancora una speranza, ma forse, per il momento, solo una “speranza nella speranza”, proiettata nel percorso del piccolo protagonista. Indubbiamente qualcosa.

Pubblicità

Pietas e futuro

Piccolo nelle dimensioni e nella durata, come la maggior parte dei lavori del maestro nipponico, ma tutt’altro che dimesso nel suo modo di approcciarsi allo spettatore, Shadow of Fire mostra come il cinema di Tsukamoto abbia raggiunto ormai un’essenzialità e una limpidezza quasi assolute: l’orrore paventato del cyberpunk di Tetsuo si riflette in quello passato e presente di un’umanità lacerata, la mutazione dei corpi – e in questo il percorso del regista giapponese ha qualche affinità con quello di quel David Cronenberg a cui il suo nome è stato spesso accostato – ha lasciato il posto agli orrori della mente e a una follia dolorosa che pare essere trans-generazionale. Eppure, in quest’ultimo lavoro di Tsukamoto, sembra esserci (anche) tanto spazio per la pietas, uno sguardo che sarebbe forse esagerato definire empatico, ma che certamente risulta non meno che dolorosamente comprensivo, anche verso i nemici del passato. E poi c’è il percorso del bambino, concentrato nella seconda e terza parte del film, che segna la proiezione verso un futuro incerto, ma col quale bisogna comunque fare i conti. Perché forse, almeno per lui, lo status di fantasma (o di ombra) non è del tutto irreversibile.

Locandina

Shadow of Fire, la locandina originale del film di Shinya Tsukamoto

Gallery

Scheda

Titolo originale: Hokage
Regia: Shinya Tsukamoto
Paese/anno: Giappone / 2023
Durata: 96’
Genere: Drammatico, Storico
Cast: Gô Rijû, Mirai Moriyama, Hiroki Kono, Ouga Tsukao, Shuri, Tatsushi Ômori
Sceneggiatura: Shinya Tsukamoto
Fotografia: Shinya Tsukamoto
Montaggio: Shinya Tsukamoto
Musiche: Chu Ishikawa
Produttore: Shinya Tsukamoto
Casa di Produzione: Kaijyu Theater

Pubblicità
Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.