IL GUSTO DELLE COSE

IL GUSTO DELLE COSE

Juliette Binoche e Benoît Magimel sono i protagonisti dell'ultimo film di Trân Anh Hùng, premiato come miglior regista all’ultima edizione del Festival di Cannes. Ne Il gusto delle cose l’autore vietnamita naturalizzato francese ci racconta, privilegiando lo splendore visivo, una storia d'amore affascinante quanto semplice tra un raffinato gastronomo di fine Ottocento e la cuoca che lavora con lui. L’impalcatura emotiva del film poggia soprattutto sulle preparazioni e gli assaggi dei cibi, più che sul dialogo. È dunque una pellicola che “mostra” anziché “raccontare”, richiedendo sicuramente un po’ di pazienza allo spettatore, a fronte anche delle sue quasi due ore e mezza di visione. E, sicuramente, l’altro requisito necessario è quello di non entrare in sala per vederlo a stomaco vuoto.

Una storia semplice

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Ne Il gusto delle cose non c’è una grande storia da riassumere. Siamo nella Francia di fine Ottocento e la cuoca Eugénie (Juliette Binoche) è da 20 anni al servizio del celebre gastronomo Dodin Bouffant (Benoît Magimel). Da anni sono amici e amanti e la loro collaborazione in cucina è rinomata, tanto che Dodin, chiamato il “Napoleone della gastronomia”, viene richiesto da tutta Europa. La sceneggiatura di Trần Anh Hùng (vincitore del Leone d’Oro al Festival di Venezia nel 1995 con Cyclo, e primo regista vietnamita ad essere nominato all’Oscar nel 1994 per il miglior film in lingua straniera Il profumo della papaya verde) adatta il romanzo di Marcel Rouff La vie et la passion de Dodin-Bouffant, gourmet (1924, da noi inedito).
Quella che viene raccontata è una delicata storia d’amore che parte dal cibo e dalla collaborazione in cucina per planare successivamente in camera da letto e aprirsi ulteriormente al “mondo esterno”. Non c’è bisogno di ricorrere ad alcuna scena di sesso o a tante parole per raccontarla: osservare Eugénie e Dodin cucinare basta per evidenziarne l’intimità. Juliette Binoche e Benoît Magimel dimostrano di essere perfettamente a loro agio come coppia sullo schermo dopo esserlo stato anche nella vita reale, dal 1998 al 2003, dando vita a un rapporto forse atipico ma comunque credibile.

Cuoche e mogli

Il gusto delle cose, una scena del film
Il gusto delle cose, una scena del film

Il gusto delle cose raffigura un mondo in cui è Dodin a sedersi in una elegante sala da pranzo con i suoi compagni e a essere richiesto da principi stranieri, mentre Eugénie si accontenta di giocare nell’ombra. Apparentemente. Quella che intercorre tra loro è infatti una relazione egualitaria, in cui anzi a salire sempre di più alla ribalta è proprio quest’ultima. La relazione romantica tra Dodin ed Eugénie, amanti di lunga data, affronta infatti il dilemma tra il desiderio dell’uomo di sposarsi e il rifiuto delle sue richieste da parte della donna. Capiamo il punto di vista di Eugénie che non vuole compromettere con la loro relazione la sua indipendenza, tanto quanto comprendiamo il punto di vista di Dodin. Eugénie preferisce la sua camera da letto, la sua indipendenza, e se la sera lascia la porta aperta per Dodin, lo fa di sua spontanea volontà, come sottolinea con ferma gentilezza. E quando gli amici del suo amante insistono perché si unisca con loro a tavola, lei risponde che il suo posto è in cucina; il cibo è il mezzo con cui ha modo di comunicare con loro e non c’è motivo di aggiungere altro. C’è insomma un’enorme differenza tra essere cuoca e moglie, e stando per ore davanti ai fornelli Eugénie ribalta lo stereotipo secondo cui i migliori cuochi sono uomini, e le donne in cucina possono ricoprire solo il ruolo di serve. Ed è la stessa Eugenie a spingere Dodin a far crescere e formare la vocazione per la cucina in Pauline (la debuttante Bonnie Chanier-Ravoir), sua alter ego più giovane con la quale formano una famiglia allargata.

Il gesto d’amore più grande

Il gusto delle cose, una sequenza del film

Molte sono le pellicole che hanno usato il cibo come mezzo: per evidenziare il conflitto spirito/carne (Il pranzo di Babette, 1988 di Gabriel Axe), le contraddizioni della propria società (Tampopo, 1986 o Mangiare, bere, uomo donna, 1994, Ang Lee) o feroci sberleffi di classe (Il fascino discreto della borghesia, 1972, Luis Bunues; La grande abbuffata, 1973, Marco Ferreri) o raccontare un’arte (Jiro e l’arte del sushi, 2011, di David Gelb). Esempi a parte, raramente il cibo è stato presentato su schermo in maniera così evocativa come ne Il gusto delle cose. Questo è evidente fin dalla scena di apertura che, tramite un piano sequenza fatto di pochissimi dialoghi, mostra la preparazione di un ricco pranzo con solo suoni, sguardi e movimenti di macchina. La camera non si ferma mai passando dai tavoli ai taglieri ai fornelli, per soffermarsi amorevolmente sulla preparazione degli ingredienti con in sottofondo solo i rumori di una pentola che bolle oppure delle verdure tagliate, con i colori caldi della fotografia di Jonathan Ricquebourg. L’atto del cucinare diventa una vera e propria creazione artistica che va ben oltre la gastronomia; ne viene restituita un’esperienza sensoriale (obiettivo dello stesso Tran per sua stessa ammissione) che vuole restituire lo stesso piacere dei due protagonisti nel cucinare e mangiare. Il modo in cui prepariamo il cibo, l’attenzione che ci mettiamo, è una metafora (tangibile o per meglio dire masticabile) di ciò che proviamo per il prossimo. Del resto, il pasto più spettacolare che Dodin prepara è quello che cucina per Eugénie più che per un principe straniero. Il cibo è anche qualcosa che conferisce uguale dignità sociale: non c’è infatti differenza tra il pranzo dei “ricchi” e quello di cuoche e aiutanti come mostra la loro consumazione in contemporanea in scene alternate. Molto di ciò che scopriamo sui personaggi avviene attraverso le loro azioni nel preparare e realizzare piatti.,

Un film per buongustai?

Il gusto delle cose, un momento del film
Il gusto delle cose, un momento del film

Il gusto delle cose è un’opera che può potenzialmente rimanere vittima del suo stesso fascino. È un film capace di unire Oriente (nella sensibilità narrativa) e Occidente (la forza e ricerca di indipendenza di Eugénie ne fanno un personaggio lontano da quella sorta di ascetismo che caratterizza ad esempio l’esistenza di Hirayama di Perfect Days, per citare una pellicola tra le più recenti). Tran si prende tempo per trasmettere senza troppe parole la dedizione e l’abilità artistica di Eugenie e Dodin risultando coinvolgente dal punto di vista visivo; ma cosa offre realmente allo spettatore? Il rischio della monotonia lungo i 134 minuti di durata è dietro l’angolo, anche perché accade qualcosa solo verso la fine del film. La preparazione e il consumo delle pietanze sono ne Il gusto delle cose il tramite della vicenda narrata e il mezzo per esprimere qualcosa di profondo che sarebbe impossibile con il dialogo. Ma le azioni reiterate del cucinare e mangiare rimpinzano troppo (di immagini) o non saziano in realtà abbastanza; anche perché, se si hanno poche o nessuna conoscenza delle pietanze gourmet, se ne potrebbe perdere ulteriormente la profondità che il film invece vorrebbe offrire. Ma in fondo i gusti son gusti: de gustibus non est disputandum.

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Locandina

Il gusto delle cose, la locandina italiana del film

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Scheda

Titolo originale: La passion de Dodin Bouffant
Regia: Tran Anh Hung
Paese/anno: Francia, Belgio / 2023
Durata: 135’
Genere: Drammatico, Storico, Sentimentale
Cast: Juliette Binoche, Benoît Magimel, Yannik Landrein, Chloé Lambert, Emmanuel Salinger, Anouk Feral, Bonnie Chagneau-Ravoire, Clément Hervieu-Léger, Cécile Bodson, Fleur Fitoussi, Frédéric Fisbach, Galatéa Bellugi, Jan Hammenecker, Jean-Marc Roulot, Laurent Claret, Mhamed Arezki, Patrick d’Assumçao, Pierre Gagnaire, Sarah Adler, Sarah Viennot
Sceneggiatura: Tran Anh Hung
Fotografia: Jonathan Ricquebourg
Montaggio: Mario Battistel
Produttore: Olivier Delbosc, Cédric Iland, Bastien Sirodot
Casa di Produzione: Umedia, uFund, Curiosa Films, France 2 Cinéma, France Télévisions, Centre National du Cinéma et de L’image Animée (CNC), Canal+, Ciné+, Gaumont
Distribuzione: Lucky Red

Data di uscita: 09/05/2024

Trailer

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Laureato in archeologia ma sempre con pericolose deviazioni cinematografiche, tali da farmi frequentare dei corsi di regia e sceneggiatura presso il Centro Sperimentale di Cinematografia. Ho partecipato per alcuni anni allo staff organizzativo dell’Irish Film Festival presso la Casa del Cinema. Da qua, il passo per dedicarmi a dei cortometraggi, alcuni dei quali per il concorso “Mamma Roma e i suoi quartieri”, è stato breve, condito anche dalla curatela di un incontro intitolato “La donna nel cinema giapponese”, focalizzato sul cinema di Mizoguchi, presso il cineclub Alphaville. Pur amando ovviamente il cinema nelle sue diverse sfaccettature, sono un appassionato di pellicole orientali, in particolare coreane, che credo occuperanno un posto rilevante nei futuri manuali di storia del cinema.

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