I’M REALLY GOOD

I’M REALLY GOOD

Il mondo visto attraverso gli occhi di una bambina. Un mondo in cui la dimensione infantile ci appare quasi come una sorta di porto sicuro presso cui rifugiarsi per scappare alla brutture del mondo esterno. Questo viene rappresentato nel pregevole I’m really good. E lo stesso mondo dell’infanzia viene ulteriormente omaggiato dal regista Hirobumi Watanabe nell’inquadratura finale, dove (ancora una volta) viene citato il grande François Truffaut. Al Far East Film Festival 2020.

Un giorno con Riko

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Sono molti gli autori e le correnti cinematografiche che ci vengono in mente durante la visione dell’ottimo I’m really good. Eppure, nonostante ciò, nel momento in cui ci accingiamo a visionare questo piccolo e prezioso gioiellino diretto nel 2020 dal giovane cineasta giapponese Hirobumi Watanabe e presentato in anteprima italiana al Far East Film Festival 2020, ci accorgiamo che lo stesso sta a rappresentare qualcosa di nuovo. Qualcosa che, pur avendo attinto a piene mani da quanto realizzato in passato, presenta una propria, ben marcata personalità.

Si potrebbe affermare molto sommariamente che I’m really good mette in scena la quotidianità di una bambina – la giovane Riko – alle prese con la scuola, con i compiti e con il tempo libero da trascorrere insieme a suo fratello maggiore e alla sua migliore amica Nanaka. Perché, di fatto, il lungometraggio si svolge nell’arco di ventiquattro ore e la macchina da presa del regista altro non fa che seguire con fare zavattiniano la giovane protagonista.

Eppure, al contempo, il sottotesto parla chiaro. E lo fa attraverso le voci alla radio che sentiamo già dal primo mattino, mentre Riko e suo fratello sono intenti a fare colazione. Il governo continua ad alzare le tasse, il costo della vita, negli ultimi anni, è aumentato di quasi il 6% e i pensionati faticano ad arrivare a fine mese. Quale futuro aspetta i giovani d’oggi? Un costante vento di felliniana memoria che accompagna la bambina mentre si reca a scuola insieme a suo fratello e a Nanaka sembra trasmetterci un messaggio ben chiaro. Eppure, al contempo, questo stesso vento fa da riuscito contrappunto all’andamento dell’intero I’m really good, dove, per tutta la durata del film, un tono lieve e spensierato fa da protagonista (quasi) assoluto.

Non ha paura Hirobumi Watanabe a prendersi i suoi tempi. E se le ore trascorse a scuola sembrano volare via in un battibaleno, maggiore attenzione viene dedicata ai bambini mentre tornano a casa e discorrono circa le loro pietanze preferite. Così come altrettanto lunghi – e rigorosamente a camera fissa – sono i momenti in cui fratello e sorella fanno i compiti, mentre il loro gatto Yan si diverte a passeggiare sul tavolo da lavoro.

Inquadrature fisse e ben studiate per quanto riguarda le scene in interno, dunque, si contrappongono a un copioso uso di camera a mano negli esterni, con tanto di rumori diegetici e un contenuto commento musicale ad accompagnare la piccola Riko nelle sue passeggiate alla volta dell’abitazione di Nanaka e nei giochi al parco. Il tutto per un curatissimo bianco e nero che sembra voler relegare la storia qui raccontata quasi a una dimensione a sé, in cui il tempo sembra essersi fermato, nonostante un minaccioso futuro incombente.

Non c’è (apparentemente) spazio per gli adulti, in I’m really good. Persino la mamma della protagonista, fatta eccezione per la scena iniziale – l’unica a colori, girata con uno smartphone – non compare mai sullo schermo, ma si limita a parlare fuori campo. Allo stesso modo, la sera a cena, la stessa dà continuamente le spalle alla telecamera, in modo che lo spettatore non possa mai vederla in volto. E quando, finalmente, un adulto fa capolino nella storia, questi viene rappresentato come un personaggio tra il ridicolo e il grottesco, come nel caso dell’imbranato venditore porta a porta che tenta di truffare prima Riko, poi Nanaka tentando di vendere loro alcuni libri scolastici.

Il mondo visto attraverso gli occhi di una bambina, dunque. Un mondo in cui la dimensione infantile ci appare quasi come una sorta di porto sicuro presso cui rifugiarsi per scappare alla brutture del mondo esterno. Questo viene rappresentato nel pregevole I’m really good. E lo stesso mondo dell’infanzia viene ulteriormente omaggiato dal regista nell’inquadratura finale, dove (ancora una volta) viene citato il grande François Truffaut, nel momento in cui vediamo la macchina da presa fare uno zoom sul primo piano di Riko appena addormentatasi a conclusione della giornata. Perfetta immagine di un mondo ideale che Hirobumi Watanabe ha tentato di rendere immortale, collocandolo in una piccola realtà a sé. E che questa preziosa realtà possa non avere mai fine.

I’m really good poster locandina

Scheda

Titolo originale: Watashiwa Genki
Regia: Hirobumi Watanabe
Paese/anno: Giappone / 2020
Durata: 62’
Genere: Commedia, Drammatico
Cast: Hirobumi Watanabe, Keita Hisatsugu, Nanaka Sudo, Riko Hisatsugu
Sceneggiatura: Hirobumi Watanabe
Fotografia: Hirobumi Watanabe
Montaggio: Hirobumi Watanabe
Musiche: Yuji Watanabe
Produttore: Akemi Watanabe, Hideki Watanabe
Casa di Produzione: Foolish Piggies Films

Trailer

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Dopo la laurea in Lingue Moderne, Letterature e Scienze della Traduzione presso l’Università La Sapienza di Roma, mi sono diplomata in regia e sceneggiatura presso l’Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma, con un workshop di critica cinematografica presso il Centro Sperimentale di Cinematografia. Dal 2013 scrivo di cinema con il blog Entr’Acte, con il quotidiano Roma e con le testate CineClandestino.it, Mondospettacolo, Cabiria Magazine, e, ovviamente, Asbury Movies. Presidente del Circolo del Cinema "La Carrozza d'Oro", nel 2019 ho fondato la rivista Cinema Austriaco.

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