MARY E IL FIORE DELLA STREGA

MARY E IL FIORE DELLA STREGA

Con Mary e il fiore della strega, suo terzo lavoro da regista, Hiromasa Yonebayashi inaugura il suo Studio Ponoc: il risultato è tecnicamente ineccepibile, sebbene i debiti coi maestri dello Studio Ghibli si facciano sentire forse in modo troppo forte.

Streghe si diventa

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Appena scaricata dai genitori a casa della sua prozia, per le vacanze estive, la piccola Mary prevede già di trascorrere un’estate all’insegna della noia. Dal carattere esuberante, un po’ goffa, la ragazzina fa la conoscenza di Peter, un coetaneo che inizia a prenderla in giro per i suoi capelli rossi. Un giorno, Mary insegue nel bosco i gatti Tib e Gib, arrivando davanti a uno strano e bellissimo fiore azzurro, che le leggende popolari dicono fosse appartenuto alle streghe. Quando, il giorno dopo, uno dei due gatti scompare, Mary torna nel bosco per cercarlo ma trova invece una vecchia scopa: appena la ragazzina tocca l’oggetto, questo inizia ad animarsi, misteriosamente pervaso dal potere del fiore. La scopa permette così a Mary di alzarsi in volo e di giungere all’incredibile scuola di magia di Endor, dove viene accolta come nuova e promettente matricola. Rendendosi conto che il fiore le ha donato un potere magico che non aveva mai posseduto, Mary accetta le lodi dei due principali dell’istituto, stupiti per le sue capacità. Ma la ragazzina si renderà presto conto che la scuola nasconde un terribile segreto…

Il terzo film da regista di Hiromasa Yonebayashi, erede dei fasti dello Studio Ghibli, ha già una non trascurabile importanza “storica”. Mary e il fiore della strega, infatti, già presentato in anteprima al Comicon di Napoli e ora approdato in sala, segna l’esordio di un nuovo studio di animazione, lo Studio Ponoc, fondato proprio da Yonebayashi e dal produttore Yoshiaki Nishimura dopo la fuoriuscita dalla Ghibli. Una nuova realtà, quindi, che raccoglie tra le sue fila molti altri transfughi della storica casa di Hayao Miyazaki e Isao Takahata, migrati da quest’ultima quando ne sembrava imminente la chiusura: una realtà che tuttavia, e questo è più che evidente dalla visione di questo primo film, non si pone affatto in contrapposizione con le opere dei maestri, puntando semmai a perpetuarne e rafforzarne la visione.

Mary e il fiore della strega, di fatto, a uno spettatore che non fosse a conoscenza della sua storia produttiva, potrebbe apparire in tutto e per tutto un film Ghibli: la stessa ispirazione a un romanzo occidentale, d’altronde (qui La piccola scopa di Mary Stewart) è una caratteristica che gli spettatori dello Studio ricorderanno in più di un’opera, a partire proprio dai precedenti film di Yonebayashi, Arietty – Il mondo segreto sotto il pavimento e Quando c’era Marnie. Il film, a partire da un character design che rimanda a molte delle opere di Miyazaki, è infarcito d’altronde di un’estetica tipicamente ghibliana, oltre che di motivi ricorrenti (la città sulle nuvole, i veicoli volanti, le tematiche dell’ecologismo, i moniti su un uso sconsiderato della tecnologia) che sembrano un compendio di quella poetica fantastica, che univa la meraviglia alla costruzione coerente di mondi, che fece la fortuna delle opere Ghibli.

Meno dark e complesso del precedente Quando c’era Marnie (prodotto ancora sotto l’egida Ghibli, e per ora ultimo lavoro a possedere lo storico marchio), più improntato a un senso avventuroso che si lega col romanzo di formazione della protagonista, Mary e il fiore della strega rimanda inevitabilmente all’altra giovane strega dell’universo Ghibli, la Kiki di Kiki – Consegne a domicilio; mentre l’idea della scuola di magia non può che far venire in mente la Hogwarts dei romanzi e film di Harry Potter, che tuttavia J.K. Rowling creò, in realtà, ben 26 anni dopo il romanzo originale di Mary Stewart. E la piccola Mary, infatti, è in realtà lontana tanto da Kiki quanto dall’Harry che verrà: non ha poteri magici e non è una predestinata, ma piuttosto una ragazzina solitaria, smaniosa di crescere e di affrontare la vita, che troverà la prima occasione per farlo in un’avventura al confine tra i mondi, pervasa da un potere esterno che l’aiuterà a scoprire se stessa.

Autore talentuoso, capace di ricollegarsi direttamente alla lezione dei maestri Miyazaki e Takahata, senza replicarne pedissequamente la visione, Yonebayashi si conferma qui tra gli esponenti più validi del nuovo cinema d’animazione giapponese. Nel primo film prodotto dal suo Studio Ponoc, il regista nipponico sembra voler (ri)cominciare nel segno di un affettuoso omaggio ai maestri, denunciando una continuità con le loro opere che, paradossalmente, risulta qui ancor più evidente rispetto ai suoi due precedenti lavori da regista (che portavano ancora il marchio Ghibli). Torna il senso di meraviglia derivato dal contatto con un universo altro e fantastico, torna il piacere della scoperta da parte di un giovane personaggio, che va di pari passo con la scoperta di sé, torna il gusto inesausto dell’avventura, torna l’ecologismo e l’apologo di un uso responsabile e non predatorio della tecnologia/magia. Torna, soprattutto, l’assenza di manicheismo nella definizione di bene e male, lo sforzo di mantenere uno sguardo equilibrato e di comprendere le ragioni tanto dei personaggi positivi, quanto degli antagonisti. Un compendio di tematiche che la sceneggiatura riprende e mescola in un racconto forse più semplice e immediato dei precedenti, innervato tuttavia da un livello tecnico assolutamente magistrale (la rappresentazione della scuola magica di Endor, tra Lewis Carroll, Miyazaki e le suggestioni cyberpunk, è quanto di più stordente e visivamente sontuoso si sia visto di recente) e da una notevole colonna sonora: Takatsugu Muramatsu, già compositore dello score di Quando c’era Marnie, dosa al meglio meraviglia e mistero nelle sue composizioni, contribuendo non poco al fascino complessivo dell’opera.

Il limite principale, “strutturale”, di questo Mary e il fiore della strega, è quello di aver voluto giocare sul sicuro, scegliendo di inserire nella storia un po’ tutte le tematiche, i motivi ricorrenti, le suggestioni dei classici Ghibli (soprattutto quelli di Miyazaki), facendone una summa che somiglia un po’ troppo a un “Ghibli for Dummies”, se ci si passa l’espressione provocatoria. I temi con cui gli spettatori della Ghibli si sono nutriti ci sono tutti, insomma, ma nella voluta leggerezza, e nel carattere avventuroso della vicenda, non c’è molto tempo e spazio per approfondirli davvero; così come non c’è spazio per un reale approfondimento del personaggio della protagonista, e ancor meno per quello del suo amico Peter, con cui la stessa Mary dà vita a un rapporto che resta accennato e superficiale. Resta, nel film di Yonebayashi, l’indiscussa meraviglia visiva, ma da un punto di vista narrativo il tutto risulta un po’ esile, già visto, comunque meno ricco di suggestioni (e meno personale) rispetto a quanto si era visto nei due film precedenti. Considerazioni, queste ultime, che autorizzano a pensare che si sia di fronte a un’opera per certi versi “di transizione”, e che il futuro di questa nuova realtà sia comunque tutto da scrivere.

Scheda

Titolo originale: Mary to Majo no Hana
Regia: Hiromasa Yonebayashi
Paese/anno: Giappone / 2017
Durata: 102’
Genere: Fantasy, Animazione, Avventura
Cast: Fumiyo Kohinata, Hana Sugisaki, Eriko Watanabe, Hikari Mitsushima, Jirō Satō, Kenichi Endō, Ryūnosuke Kamiki, Shinobu Otake, Yūki Amami
Sceneggiatura: Riko Sakaguchi, Hiromasa Yonebayashi
Fotografia: Toru Fukushi
Montaggio: Toshihiko Kojima
Musiche: Takatsugu Muramatsu
Produttore: Yoshiaki Nishimura
Casa di Produzione: Studio Ponoc
Distribuzione: Lucky Red

Data di uscita: 14/06/2018

Trailer

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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