LA NOTTE PIÙ LUNGA DELL’ANNO

LA NOTTE PIÙ LUNGA DELL’ANNO

Dopo varie esperienze come documentarista, il regista Simone Aleandri torna al cinema con La notte più lunga dell’anno: una storia di fiction in cui il regista, però, non perde l’occasione d’indagare come sua abitudine, all’interno di una lunga notte, sulle diverse anime che la abitano, in attesa che torni la luce.

Il solstizio dell’anima

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Sapete qual è la notte più lunga dell’anno, quella in cui il buio prende il sopravvento sulla luce? Si tratta del solstizio d’inverno, un fenomeno del tutto naturale che il regista Simone Aleandri utilizza in modo simbolico per raccontare l’oscurità che aleggia e impregna gli animi dei suoi protagonisti. Tutti loro, infatti, vengono fotografati in un momento preciso delle loro esistenze in cui il buio è un’occasione catartica, una condizione inevitabile da attraversare e vivere per permettere alla luce di tornare, mano a mano, sempre più decisa. Così, nel momento in cui l’alba arriva a fare chiarezza su di loro, si riscoprono più consapevoli. Testimone di quest’umanità in affanno è un benzinaio che gestisce una piccola stazione di servizio immersa nel nulla a pochi chilometri da Potenza. In un via vai poco affrettato, ogni personaggio si ferma presso di lui. Alcuni sono sconosciuti e, per questo motivo, non lasciano un segno tangibile.

Altri, invece, fanno parte della consuetudine di una vita di provincia, dove ci si conosce tutti nel nome e negli affanni. Sergio, dunque, dal suo piccolo ufficio con una televisione sempre accesa sul mondo, vede la vita passargli letteralmente davanti agli occhi. Un’esistenza rappresentata da Luce, una giovane donna appesantita da un’esistenza che non sembra offrirle molte alternative e dalla convivenza con un padre malato, un politico corrotto in fuga da se stesso, un ragazzo rabbioso per una relazione con una donna più grande e tre amici che, girovagando per tutta la notte su di un carro funebre, provano a scappare dall’inevitabile vuotezza delle loro esistenze. Per molti di loro Sergio rappresenta la consolazione, un porto sicuro dove andarsi a rifugiare in caso di pericolo e dove trovare la disponibilità di un’anima sempre aperta in grado di capire anche senza troppe domande. Perché l’importante è lasciare che questa notte, la più lunga, passi senza troppi danni.

L’insostenibile pesantezza della vita

La notte più lunga dell’anno recensione

Dopo una lunga esperienza nel genere documentaristico, Simone Aleandri approda con La notte più lunga dell’anno al cinema di fiction senza abbandonare, però, l’abitudine a scoprire e raccontare. In questo caso, però, al centro della sua attenzione non c’è la città di Sarajevo o quella di Matera, trasformata dopo essere stata eletta Capitale Europea della Cultura nel 2019, ma le vite di un’umanità desolata, vinte, a loro volta, dalle scarse possibilità offerte dalla terra che abitano. Ambientato tra la periferia e il centro di Potenza, questo racconto profondamente umano rappresenta, se vogliamo, un’opera prima compiuta, soprattutto per quanto riguarda la scrittura e la gestione di una storia corale.

A fare da raccordo tra le varie esistenze che, per motivazioni diverse, si trovano a trascinare il macigno di una lotta infinita per ribellarsi alla staticità sociale del luogo o, semplicemente, per rimanere a galla, c’è solamente una strada provinciale. Aleandri la percorre insieme ai suoi personaggi senza, però, raggiungere effettivamente una meta. Il concetto di girovagare senza una direzione precisa, infatti, è rappresentativo della perdita di orientamento interiore. Una condizione che riesce a collegare tra loro personaggi di età diverse, colpiti, improvvisamente, dalla consapevolezza della pochezza delle proprie vite. Il problema, come spiega il saggio Haber, nella sua interpretazione di un padre malato e di pescatore accanito, è il non aver fede. Ma, attenzione, in questo non c’è alcun significato religioso. Si tratta, più che altro, di una cieca fiducia nella vita che, in alcuni casi, chiede la stessa pazienza di un pescatore in attesa sulla riva del fiume.

L’assenza della consolazione

La notte più lunga dell’anno recensione

Ma come termina questa lunga notte? Cosa trovano tutti i personaggi con l’arrivo dell’alba e della luce? Sicuramente non un’occasione salvifica o un condono dei loro affanni. Ed è proprio questa sospensione della narrazione e l’assenza di un finale rassicurante che riescono a fare di questo La notte più lunga dell’anno, concentrato su di una quotidianità piccola e sullo scorrere di vite invisibili, un’esperienza con uno spessore diverso da quelli che siamo abituati a vedere. Oltre a questo, poi, lo stile di Aleandri gode di una forma quasi minimalista, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo calcolato e mai eccessivo delle parole. Da documentarista, infatti, lascia che a parlare siano soprattutto le immagini e i volti dei suoi protagonisti che, con l’alba tanto agognata, vedono arrivare un nuovo giorno e l’occasione di ricominciare un nuovo percorso. O forse no. Con questa sospensione, dunque, il regista lascia loro libertà decisionale e al pubblico la possibilità di immaginare tutte le diverse deviazioni che potrebbero prendere lungo quel raccordo che li ha uniti per poche ore.

La notte più lunga dell’anno poster locandina

Scheda

Titolo originale: La notte più lunga dell’anno
Regia: Simone Aleandri
Paese/anno: Italia / 2021
Durata: 91’
Genere: Drammatico
Cast: Alessandro Haber, Massimo Popolizio, Ambra Angiolini, Massimo De Francovich, Luigi Fedele, Aglaia Mora, Antonio Petrocelli, Giovanni Andriuoli, Matteo Carlomagno, Nicolò Galasso, Pascal Zullino, Anna Ammirati, Fabio Pompili, Francesco Di Napoli, Michele Eburnea, Mimmo Mignemi, Pietro Sarubbi
Sceneggiatura: Simone Aleandri, Cristina Borsatti, Andrea Di Consoli
Fotografia: Vincenzo Carpineta
Montaggio: Alessio Doglione
Musiche: Riccardo Cimino, Antonio Deodati, Unaderosa
Produttore: Sandro Bartolozzi
Casa di Produzione: Clipper Media
Distribuzione: Vision Distribution

Data di uscita: 27/01/2022

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Fin da bambina, ho sempre desiderato raccontare storie. Ed eccomi qui, dopo un po’ di tempo, a fare proprio quello che desideravo, narrando o reinterpretando il mondo immaginato da altri. Da quando ho iniziato a occuparmi di giornalismo, ho capito che la lieve profondità del cinema era il mio luogo naturale. E non poteva essere altrimenti, visto che, grazie a mia madre, sono cresciuta a pane, musical, suspense di Hitchcock, animazioni Disney e le galassie lontane lontane di Star Wars; e un ruolo importante l’ha avuto anche il romanticismo di Truffaut. Nel tempo sono diventata giornalista pubblicista; da Radio Incontro e il giornale locale La voce di Roma, passando per altri magazine cinematografici come Movieplayer e il blog al femminile Smackonline, ho capito che ciò che conta è avere una struggente passione per questo lavoro. D’altronde, viste le difficoltà e le frustrazioni che spesso s’incontrano, serve un grande amore per continuare.

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