SUNDOWN

SUNDOWN

Già presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, Sundown di Michel Franco porta lo spettatore in una vicenda intima e personale che, però, non raggiunge mai concretezza e profondità. In una esasperante sospensione temporale in cui il ripetersi delle azioni sembra non aver nessun tipo di ragione, si ottiene un effetto fastidiosamente straniante, all’interno del quale l’osservatore esterno si sente costantemente estraneo e distante.

Quando l’attesa si fa evanescenza

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Letteralmente Sundown può essere tradotto come “il sole che va giù”, e quindi, in senso più completo, fa riferimento al tramonto; un momento della giornata in cui le aspettative per un nuovo inizio si fondono con quelle disattese di una giornata ormai passata. Un termine, dunque, che porta al suo interno una sorta di tristezza, melanconia e continua attesa del domani. Una parola che, però, veste alla perfezione anche la condizione che rappresenta la famiglia di Alice e Neil Bennet, sorella e fratello eredi di una fortuna nell’industria britannica della carne. Il sole, in questo caso, tramonta però sulla loro condizione sociale privilegiata che, a quanto pare, non riesce a schermarli dalla sofferenza e, soprattutto, dal sopraggiungere improvviso di una morte che sconvolge i piani di una vacanza ad Acapulco, apparentemente perfetta. A causa del malore improvviso della madre, infatti, i due, con i figli di lei, sono costretti a tornare a Londra; ma Neil, fingendo di aver dimenticato il passaporto, si stacca dal nucleo famigliare e decide di vivere una personale avventura in cui gli elementi essenziali sono proprio l’attesa e l’evanescenza.

Perché, una volta seguito il personaggio fino a una modesta camera d’albergo nel cuore di Acapulco, non si fa altro che seguire la dinoccolata e dolente andatura di Tim Roth, sperando di essere condotti, quanto prima, all’interno del cuore della narrazione. Un tempo che si fa infinito, visto che qualsiasi speranza di concretezza si fa sempre più evanescente, come la possibilità di comprendere il collegamento dell’apparente inerzia dell’uomo con un tormento interiore. In questo modo, dunque, il film di Michel Franco pone lo spettatore in un’attesa che, a lungo andare, sembra non aver nessuna possibilità di terminare o, quanto meno, di trovare una motivazione plausibile al suo essere. Perché, pur essendo evidente il malessere interiore di Neil e il suo volersi staccare da qualsiasi legame famigliare, è difficile trovare il bandolo della matassa grazie al quale comprendere e seguire emotivamente il viaggio interiore che il regista ha cercato di tratteggiare.

Il tempo e le sue insidie

Sundown, Tim Roth in una scena del film
Sundown, Tim Roth in una scena del film di Michel Franco

Considerato quanto detto fino a questo momento, dunque, possiamo dire che il concetto di tempo è il vero protagonista di questo Sundown. Partendo dalla sua durata limitata, di appena 84 minuti, passando per quello che sembra mancare nella vita di Alice, sempre sommersa dal lavoro, e per quello di cui Neil prova a riappropriarsi prima che sia troppo tardi, il tempo è centrale nella narrazione. Nonostante questo, però, il suo scorrere non attribuisce nessun tipo di ritmo o dinamismo al film, lasciandosi quasi andare a un lento trascorrere delle ore, caratterizzato solamente dalla ripetizione costante delle stesse azioni un giorno dopo l’altro. Completamente immersa in questa sorta d’inerzia e sospensione, dunque, la vicenda acquisisce la rara capacità di irritare lo spettatore, stanco di non comprendere la vacuità delle azioni e dello sguardo di Neil.

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L’uomo, infatti, osserva il mondo che lo circonda seduto al sole su di una sedia in riva al mare, circondato dal clamore di una spiaggia affollata. Un giorno dopo l’altro, un’ora dopo l’altra. Come se fosse immerso in una costante attesa o in una contemplazione interiore di cui non comprendiamo mai l’oggetto. Una scelta stilistica, questa, che appesantisce e rallenta ancora di più l’andamento della narrazione, e che lascia onestamente interdetti nonostante un chiarimento finale che, però, non basta a risollevare le sorti del film. Arrivati ai frame finali, infatti, il regista decide finalmente di imprimere una velocità contenuta per portare lo spettatore a comprendere le ragioni dietro l’irragionevolezza del suo personaggio. Nonostante questo, però, il tempo trascorso ad attendere ha messo a dura prova le capacità empatiche di chi osserva, lasciandolo emotivamente distaccato dal cuore della narrazione.

I due volti del Messico

Sundown, una sequenza del film
Sundown, una sequenza del film di Michel Franco

Il sole, però, oltre a tramontare sulla vita di Neil e della sua famiglia, scende anche sul Messico e sul suo passato. Il paese fotografato da Michel Franco, infatti, ha completamente perduto i caratteri del paradiso e di una terra baciata dal calore per essere completamente immerso nella violenza e nell’imprevedibilità del caos sociale. In questa prospettiva, dunque, Acapulco è un luogo brulicante di umanità variegata dove, però, la sicurezza personale non trova più nessuna motivazione di esistere. La città, come la spiaggia, sono diventati dei posti dove è possibile morire nella frazione di pochi secondi davanti allo sguardo di una moltitudine, o essere al centro di un agguato lungo le strade più isolate. Per questo motivo, dunque, Sundown mostra un paese diviso tra i rassicuranti paradisi vacanzieri dei ricchi e il mondo popolare. In nessuno dei due casi, però, l’incolumità è garantita. I resort, infatti, non sono altro che delle fortezze dalle quali uscire rappresenta un rischio costante. E, in parte, anche il fallimento di un paese che non riesce a mostrare il suo volto più bello.

Sundown, la locandina italiana del film

Scheda

Titolo originale: Sundown
Regia: Michel Franco
Paese/anno: Francia, Svezia, Messico / 2021
Durata: 82’
Genere: Drammatico
Cast: Tim Roth, Charlotte Gainsbourg, Samuel Bottomley, Albertine Kotting McMillan, Christian Aquino, Dante Jhovani Aviles, David Araujo, Henry Goodman, Iazua Larios, James Tarpey, Jesús Aguilar, Juan Francisco Cruz Alcorcón, Mónica Del Carmen, Rodolfo Almazán, Ruth Galeana Adame
Sceneggiatura: Michel Franco
Fotografia: Yves Cape
Montaggio: Óscar Figueroa, Michel Franco
Produttore: Grégoire Lassalle, Caroline Ljungberg, Rafael Micha, Fiorella Moretti, Cristina Velasco, Michel Franco, Hédi Zardi, Jonas Kellagher, Eréndira Núñez Larios
Casa di Produzione: Common Ground Pictures, Luxbox, Teorema, Film i Väst
Distribuzione: Europictures

Data di uscita: 14/04/2022

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Fin da bambina, ho sempre desiderato raccontare storie. Ed eccomi qui, dopo un po’ di tempo, a fare proprio quello che desideravo, narrando o reinterpretando il mondo immaginato da altri. Da quando ho iniziato a occuparmi di giornalismo, ho capito che la lieve profondità del cinema era il mio luogo naturale. E non poteva essere altrimenti, visto che, grazie a mia madre, sono cresciuta a pane, musical, suspense di Hitchcock, animazioni Disney e le galassie lontane lontane di Star Wars; e un ruolo importante l’ha avuto anche il romanticismo di Truffaut. Nel tempo sono diventata giornalista pubblicista; da Radio Incontro e il giornale locale La voce di Roma, passando per altri magazine cinematografici come Movieplayer e il blog al femminile Smackonline, ho capito che ciò che conta è avere una struggente passione per questo lavoro. D’altronde, viste le difficoltà e le frustrazioni che spesso s’incontrano, serve un grande amore per continuare.

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