ELVIS

ELVIS

Elvis Aron Presley cresce, bianco, in un sobborgo nero. Centrifuga gospel, blues, country e un’innata sensualità, e costruisce una leggenda con poco (o niente) che gli somigli. Elvis, di Baz Luhrmann, con Austin Butler e Tom Hanks, è la vita di Presley dagli esordi a Las Vegas. Biopic imperfetto, ma straordinariamente vitale. Dal 22 giugno 2022 in sala.

In the ghetto

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Chi va al cinema a vedere Elvis aspettandosi le cose semplici si espone al rischio di una profonda delusione. Ma d’altronde, chi va al cinema a vedere Elvis aspettandosi le cose semplici? Non c’è proprio nulla di ordinario nella vita e nella morte di Elvis Aron Presley (1935 – 1977) tranne la banalità della considerazione. Qualunque sia l’angolazione – la detonazione rock & roll? lo shock pelvico? la clamorosa resurrezione? l’imbolsito intrattenitore? il risultato è sempre lo stesso. L’incredibile commistione di alto e basso, purezza e abbandono, kitsch e poesia, derisione e religione laica, è il miracoloso equilibrio di opposti di cui il cinema ha bisogno per una buona storia.

Baz Luhrmann (Moulin Rouge), profeta di un cinema del delirio, sentimentale ed estetico, è interessato al corpo, all’anima, alle corde vocali e, perché no, al sobrio guardaroba di un uomo eccezionale. Elvis, in sala dal 22 giugno 2022, esordio a Cannes, ha per protagonisti Austin Butler e Tom Hanks. Il punto di vista di questa opera pop, colorata e senza tregua, è quello del Colonnello Tom Parker, il manager. È il suo ricordo che filtra la nostra percezione. Idea interessante, se il film avesse avuto il coraggio di passare dalle parole ai fatti.

L’imbonitore e la gallina dalle uova d’oro

Elvis, Austin Butler e Tom Hanks in una scena
Elvis, Austin Butler e Tom Hanks in una scena del film

Il Colonnello Tom Parker (Tom Hanks) non si chiamava Tom Parker, per il rango bisognerà chiedere ai biografi, clandestino olandese con tanti debiti e un senso cinico della vita e dello spettacolo. Imbonitore da fiera, vende artisti di media taglia a un pubblico poco sofisticato ma non permette alla situazione di intorpidirgli i sensi. Capisce subito che quel ragazzo lì, Elvis Presley (Austin Butler), ha qualcosa di diverso.

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Saranno le giacche colorate, il modo di stare sul palco, l’implicita promessa di liberazione dei sensi cui il perbenismo dell’epoca reagirà con indignazione, censura e tintinnio di manette. Sarà il fuoco purissimo nella voce. Il Colonnello costruisce il mito, ne afferra le potenzialità economiche e il resto non gli importa. Si mette di traverso alla famiglia, proprio a metà strada tra il manipolabile padre (Richard Roxburgh) e la madre (Helen Thomson) più agguerrita. Nella cultura del Novecento solo la gallina Beatles ha prodotto uova di un oro più puro. Tom Parker è stato il primo manager dell’era moderna, e anche il più controverso. Il succo della complicatissima relazione con il protetto, molto più in là di un banalissimo rimbalzo di amore e odio, il film non ha modo e voglia di tirarlo fuori.

La vita di Elvis, a tappe. Meglio nella seconda parte

Elvis, Austin Butler e Olivia DeJonge in una scena
Elvis, Austin Butler e Olivia DeJonge in una scena del film

Ha ragione la critica americana quando accusa Elvis di limitarsi a illustrarne la vita, piuttosto che scavarci dentro. È vero, almeno nella prima parte, quando a farla da padrone è lo sguardo obliquo del Colonnello. Il film raccontato dal cattivo ha una progressione tutto sommato lineare, comincia agli albori del successo, un paio di flashback sbrigativi, poi dritto verso l’inevitabile. Il successo oltraggioso è seguito dal tentativo di “normalizzare” Presley cucendogli addosso, letteralmente, un abito per tutta la famiglia. Non funziona. Poi c’è il servizio militare in Germania, l’incontro con la futura moglie Priscilla (Olivia DeJonge), il ritorno in patria, gli anni hollywoodiani, inizialmente per imporsi come interprete drammatico. È la deviazione più insolita di una vita eccessiva, la scelta drammaturgica è parecchio audace, la rapidità cioè con cui la regia di Luhrmann liquida la faccenda.

Il clamoroso ritorno sulle scene, nel 1968, ha ricadute felici sulla carriera e la vita privata. Al culmine del carisma e delle possibilità sceniche, si intuisce come sarebbero andate le cose se il Colonnello si fosse fatto da parte. Per un momento, Elvis è la storia di un uomo in sintonia con la sua anima, la sua arte, la sua famiglia, il mondo circostante (Kennedy, Martin Luther King). È a questo punto che il film ha il coraggio di cominciare a parlare in prima persona. L’esilio dorato di Las Vegas, le pasticche, il naufragio matrimoniale, la paranoia e i tanti (troppi) show; si entra dentro l’anima del protagonista come mai prima. Succede quando la storia rinuncia in parte al suo ritmo indiavolato, alla frenesia di uno stile che non sa decidersi se essere un fine o un mezzo.

L’effetto Maradona per un film riuscito a metà

Elvis, Austin Butler in una sequenza canora
Elvis, Austin Butler in una sequenza canora del film

Elvis è la storia del matrimonio d’interesse tra ispirazione e commercio; a tenerlo insieme fragilità, cinismo e, più che altro, solitudine. Presley è prigioniero dell’ambivalenza del suo rapporto con il Colonnello, dei debiti dell’uomo e di private insicurezze. L’uscita di scena è appesantita e salutata da una derisione malcelata, anche se la voce è insuperabile e la musica atrocemente bella. È l’effetto Maradona, l’attenzione morbosa per la bellezza sfiorita che paradossalmente non perde un’oncia del suo fulgore. Viene più facile parlare della seconda metà del film perché lì si avverte tutt’altro spessore.

Tom Hanks, pesantemente camuffato, avvolge l’ambiguità del Colonnello in una voce melliflua e antipatica. Il film non ha il coraggio di andare fino in fondo con l’idea di farne il testimone d’eccezione; senza scomodare Rashomon, l’occasione di riflettere sull’ambiguità e l’evanescenza di ogni narrazione, di ogni mitologia, va sprecata. Austin Butler non somiglia molto al suo protagonista ma cosa importa. Dell’uomo e dell’artista si intuisce il calore, lo struggimento, la potenza e la sensualità. È questo che conta. Morde il freno all’inizio quando lo attutisce una regia ingombrante, si libera che è (quasi) troppo tardi, lo fa a scapito dei comprimari, Olivia DeJonge moglie sacrificata e poco altro.

Imperfetto, il film, ma anche assolutamente divertente, vibra d’emozione e non annoia mai; d’altronde l’uomo ha vissuto una decina di vite, una dentro l’altra, forse il problema è proprio questo. Un racconto più rigoroso e meno dispersivo nel tempo e nello spazio, che non si fa trascinare dal feroce orrore per il vuoto che da sempre anima l’idea di cinema del suo complicato autore. Ecco che la vitalità di Elvis, uomo e artista, avrebbe bilanciato perfettamente la sobrietà di Elvis il film. Non è andata così, ma ci sono tipi di imperfezione che meritano una parte in più di rispetto. È questo il caso.

Elvis, la locandina italiana del film
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Scheda

Titolo originale: Elvis
Regia: Baz Luhrmann
Paese/anno: Stati Uniti, Australia / 2022
Durata: 159’
Genere: Drammatico, Biografico, Musicale
Cast: Tom Hanks, Kodi Smit-McPhee, Dacre Montgomery, Kelvin Harrison Jr., Austin Butler, David Wenham, Luke Bracey, Xavier Samuel, Alton Mason, Anthony Phelan, Chaydon Jay, Christopher Sommers, Elizabeth Cullen, Gary Clark Jr., Helen Thomson, Josh McConville, Kate Mulvany, Leon Ford, Mark Leonard Winter, Melina Vidler, Miranda Frangou, Natasha Bassett, Nicholas Bell, Olivia DeJonge, Peter O'Hanlon, Richard Roxburgh
Sceneggiatura: Sam Bromell, Craig Pearce, Jeremy Doner, Baz Luhrmann
Fotografia: Mandy Walker
Montaggio: Matt Villa, Jonathan Redmond
Musiche: Elliott Wheeler
Produttore: Baz Luhrmann, Catherine Martin, Schuyler Weiss, Patrick McCormick, Gail Berman
Casa di Produzione: Roadshow Entertainment, The Jackal Group, Whalerock Industries, Warner Bros., Bazmark Films
Distribuzione: Warner Bros.

Data di uscita: 20/06/2022

Trailer

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Nato a Roma a un certo punto degli anni '80 del secolo scorso. Laurea in Scienze Politiche. Amo il cinema, la musica, la letteratura. Aspirante maratoneta.

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