IL PATAFFIO

Questo Il pataffio, film di Francesco Laghi presentato al Festival di Locarno, crea un legame rappresentativo molto forte tra passato e presente, per narrare un’attualità dove la risata è una reazione all’inevitabile.
Quando il passato racconta il presente
È possibile attraverso la messa in scena di un’epoca lontana e poco ricostruita, come il Medioevo, riuscire a creare una sorta di racconto allegorico in cui il presente storico è spesso al centro della discussione? Se è vero che la Storia non è altro che una serie di corsi e ricorsi, la risposta non può essere altro che positiva. Sarà per questo che letteratura e cinema ancora una volta si sono incontrati su questo campo per dare vita a due narrazioni parallele. Il pataffio, infatti, prima di essere un film diretto da Francesco Laghi, è un romanzo dai tratti storici e umoristici, che porta la firma di Luigi Malerba. Al centro della narrazione c’è il personaggio del Marconte Berlocchio, un uomo di umili origini, uno stalliere che, ottenuta una sorta di riconoscimento sociale, pensa di poter mettere alla prova il suo nuovo “potere” su un feudo tanto sgangherato quanto poco propenso a ricevere il signorotto con moglie annessa. Intorno a lui, poi, gira una sorta di corte dei miracoli formata dal frate Cappuccio, dal consigliere Belcapo e dai soldati Ulfredo e Manfredi.
Tutti loro compongono un insieme volto a mettere in mostra proprio la casualità e, soprattutto, l’incapacità di un potere privo di effettiva riconoscibilità, dove l’impreparazione rappresenta una base farraginosa. Una fotografia ben precisa, dunque, che dal Medioevo porta immediatamente ai giorni nostri e a una realtà politica attuale poco rassicurante. Nonostante questo, però, il film viaggia su di un’ironia dal retrogusto malinconico, in cui la risata appare come una reazione passiva all’inevitabile più che un atto vitale.
C’era una volta l’armata Brancaleone

Vista l’ambientazione medievale e la caratterizzazione dei personaggi, che si muovono attraverso una costante improvvisazione delle loro azioni, il paragone con lo storico film di Mario Monicelli L’armata Brancaleone è quasi inevitabile. Un richiamo che, oltretutto, è amplificato anche dalla presenza nel cast di Alessandro Gasmann. L’attore, nei panni del frate Cappuccino, si sarà sicuramente confrontato più volte con la presenza ingombrante del padre Vittorio. Nonostante questo, però, il film di Laghi viaggia su atmosfere completamente diverse, lasciando il paragone solo a un livello superficiale.
Il pataffio, infatti, pur sentendo gli echi del film di Monicelli, percorre una strada autonoma dove le note ruvide e ciniche della storica commedia all’italiana non sono presenti. Monicelli, infatti, ha costruito gran parte della sua carriera narrando le piccolezze dell’animo umano e mettendo l’uomo medio al centro della ribalta. Il tutto con un sottile gusto per la derisione che ha portato gli italiani a ridere di loro stessi senza problemi. Ne Il pataffio non è presente nulla di tutto questo. Come preannunciato, il senso ironico e la risata stessa nascono da presupposti completamente diversi. I personaggi descritti, infatti, sono attraversati da un sottile senso di decadimento; per affrontare il loro destino nel migliore dei modi, non rimane che utilizzare la comicità. Tutto ciò, dunque, definisce un film dal corpo e dalla natura profondamente diversi. E non è certo un elemento negativo.
L’Italia del decadimento vs. quella de boom economico

Abbiamo iniziato dicendo che è possibile utilizzare forme estetiche e narrative appartenenti a un passato storico ben preciso per raccontare il presente. Ed effettivamente è proprio la strada che segue Il pataffio in modo più consapevole di quanto non voglia far credere. La casualità della nuova classe dirigente, la povertà d’animo dei parvenu e la decadenza spirituale e culturale degli abitanti del feudo sono il riflesso o la riflessione dell’epoca che viviamo. Una nave mal ridotta e poco curata messa nelle mani di comandanti inesperti e spocchiosi non può certo affrontare viaggi importanti. Questa è la condizione in cui versano Berlocchio e il suo piccolo “ regno”.
Diversamente, alla base del racconto allegorico de L’armata Brancaleone c’era un’Italia speranzosa che, dopo gli anni postbellici, si trovava a vivere il sogno di un futuro nuovo, tutto in ascesa. Qui il feudo da conquistare, dunque, continuava ad avere dei problemi di “mantenimento”, ma l’atmosfera che si respirava era di assoluta positività per il futuro. Caratteristica che Il pataffio non condivide assolutamente, riportandoci piuttosto a un presente dove il domani è quantomeno nebuloso.

Scheda
Titolo originale: Il pataffio
Regia: Francesco Lagi
Paese/anno: Italia, Belgio / 2022
Durata: 117’
Genere: Commedia
Cast: Valerio Mastandrea, Lino Musella, Alessandro Gassmann, Giorgio Tirabassi, Giovanni Ludeno, Emilio De Marchi, Martinus Tocchi, Vincenzo Nemolato, Marco Sincini, Viviana Cangiano, Antonio Lanni, Daria Deflorian
Sceneggiatura: Francesco Lagi
Fotografia: Diego Romero
Montaggio: Stefano Cravero
Musiche: Stefano Bollani
Produttore: Marta Donzelli, Gregorio Paonessa, Maurizio Totti, Alessandro Usai, Bastien Sirodot, Beata Saboova, Iginio Straffi
Casa di Produzione: Umedia, Vivo Film, Colorado Film Production, Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Data di uscita: 18/08/2022
Sono tornato per la prima volta al cinema dopo la pandemia e ho scelto questo film. Purtroppo. In questo film non si ride, non si sorride e non si piange, in compenso si guarda spesso l’oriologio. I personaggi alternano meschinità e atteggiamenti grotteschi senza che lo spettatore (o almeno, questo spettatore) riesca a farsene una ragione; i due vagamente interessanti – Bernarda e il consigliere del Marconte) restano sullo sfondo – gli altri sono maschere prive di spessore. La storia è prevedibile e perde d’interesse entro venti minuti. Il riferimento – distante, irraggiungibile, schiacciante – è Brancaleone, ma quello che viene in mente è una versione triste di “Quel gran pezzo dell’Ubalda”. Il peggior film italiano che ho visto negli ultimi anni.