GODLAND – NELLA TERRA DI DIO

GODLAND – NELLA TERRA DI DIO

Opera terza per il regista islandese Hlynur Pálmason, Godland – Nella terra di Dio è un film ambizioso e affascinante, cronaca di una crisi personale e di un confronto con un mondo altro, dall’ottica di un colonizzatore che perde tutti i punti di riferimento. Un’opera che provoca, nello spettatore, lo stesso misto di angoscia e meraviglia che leggiamo sul volto del suo protagonista.

La terribile bellezza

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Quello di Hlynur Pálmason è un nome già da qualche anno noto al pubblico dei cinefili, specie se frequentatori di festival. Il regista islandese (classe 1984, una formazione svolta prevalentemente in Danimarca) ha infatti già firmato i lungometraggi Winter Brothers (2017) e A White, White Day, presentati rispettivamente al Festival di Locarno e al Torino Film Festival (con tanto di vittoria, nel secondo caso, del premio per il miglior film). L’opera terza del regista, questo Godland – Nella terra di Dio (stavolta presentato a Cannes, nella sezione Un Certain Regard) è quella in cui Pálmason fa un po’ la sintesi delle due distinte influenze del suo cinema – quella danese e quella legata alla sua Islanda – in una vicenda a sfondo storico che ha proprio nel confronto culturale uno dei suoi temi principali.

Al centro del plot, ambientato a fine ‘800, c’è il pastore luterano Lucas, che viene inviato per una speciale missione in Islanda, all’epoca colonia del Regno di Danimarca; il prete dovrà presiedere alla costruzione di una parrocchia in un remoto villaggio montano, e documentare inoltre, con delle foto, la vita della popolazione indigena. Già all’inizio del viaggio, tuttavia, Lucas si trova a confrontarsi con le dure condizioni meteorologiche del luogo, oltre che con la scarsa compatibilità con la sua guida Ragnar; questi appare infatti lontano e sprezzante, oltre che apparentemente capace solo di parlare in islandese. Provato nel fisico e nella mente, Lucas entrerà progressivamente in crisi, mettendo in discussione la sua stessa fede.

Una maestosità opprimente

Godland - Nella terra di Dio, Hilmar Guðjónsson in un momento
Godland – Nella terra di Dio, Hilmar Guðjónsson in un momento del film

È plasticamente divisa in due parti, la vicenda di Godland – Nella terra di Dio, se si eccettua il breve prologo ambientato in Danimarca; la prima frazione documenta la dura traversata della terra islandese da parte della spedizione a seguito del prete, mentre la seconda è incentrata sul travagliato soggiorno del sacerdote presso la comunità che è portato a evangelizzare. Fotografato in un formato 1.33:1 opprimente, teso quasi ad annullare il carattere arioso dei paesaggi – al punto di far apparire le terre inospitali in cui il protagonista si muove quasi come un carcere a cielo aperto – il film si concentra dapprima sulle asperità (materiali e umane) del viaggio, con la resistenza del sacerdote progressivamente fiaccata da una terra – e da compagni di traversata – che sembrano smentire uno per uno tutti i punti fermi della sua fede; poi, il film di Pálmason si ferma nella nuova residenza del protagonista, descrivendo l’altrettanto dura interazione con un elemento umano (incarnato in primis dalla famiglia che lo ospita) che non sembra comprendere il senso e lo scopo della sua missione. Lo scontro tra una spedizione mossa dalla fede – una fede che in realtà già dall’inizio, sul volto dell’ottimo protagonista Elliott Crosset Hove, appare quantomeno labile – e un territorio indifferente e impermeabile alla sua azione, è in realtà uno dei centri tematici del film: la “terra di Dio” del titolo è di fatto uno spazio immutabile e respingente, “bellissimo e terribile” secondo le parole dello stesso sacerdote, governato dai cicli naturali e abitato da piccole comunità umane che si muovono secondo i suoi ritmi. L’elemento estraneo – colonizzatore di natura e cultura insieme – non può che venirne respinto.

Fede e magia

Godland - Nella terra di Dio, una suggestiva sequenza
Godland – Nella terra di Dio, una suggestiva sequenza del film

C’è qualcosa dell’ultimo Terrence Malick, nell’estetica di Godland – Nella terra di Dio, un’attenzione al paesaggio che entra in dialettica con la storia e i personaggi, provocando un inestricabile misto di meraviglia e angoscia. Più che la violenza degli elementi, dalle scenografie naturali riprese dalla macchina da presa di Pálmason (rigorosamente analogica, in un 35mm che qui “veste” in modo determinante il film) emerge una tranquilla ineluttabilità, un fluire del tempo che l’azione umana non può intaccare, né tentare in qualche modo di modificare. Guadare un fiume anzitempo può portare alla morte, non come punizione ma come logica conseguenza dell’azione di spazi e tempi che devono essere abitati secondo le regole da loro stessi imposte; quelle regole che non si possono alterare, ma solo cercare di decifrare, come un linguaggio altrettanto sconosciuto di quello parlato da una diversa comunità umana. Una decrittazione che può essere tentata attraverso la fotografia, mezzo “magico” quanto la stessa fede, collettore di momenti eternati, magari da ripercorrere a ritroso (come succede in una significativa sequenza) per tentare di (ri)trovare un senso al proprio agire. Una magia capace anche di rivelare un sentimento embrionale – quello che lega, o meglio vorrebbe legare, il protagonista alla figlia maggiore del suo ospite; un mezzo da bramare ma parimenti da temere, specie laddove la rivelazione (come nel caso della guida Ragnar, cui viene ripetutamente negata una foto) sembra smentire l’esistenza stessa del divino.

Codici inconciliabili

Godland - Nella terra di Dio, una foto collettiva
Godland – Nella terra di Dio, una foto di gruppo contenuta nel film

È “terribilmente bello” quanto il territorio in cui è ambientato, Godland – Nella terra di Dio, film in cui confluiscono schegge della poetica del già citato Malick, ma anche momenti di tensione morale e di interazione con l’ambiente che rimandano al cinema di Werner Herzog, insieme a un tormento interiore dell’uomo di fede che non può non far pensare al Martin Scorsese (prematuramente dimenticato, o quasi) di Silence. Oltre a questo, un’etica e un’estetica che rimandano anche al western, a una frontiera impossibile da conquistare, a un continuo confronto uomo-natura che stavolta si declina nel senso dell’insignificanza del primo elemento, e dell’angoscia senza nome derivata dal confronto. L’elemento stesso della colonizzazione, e il suo necessario passaggio attraverso la violenza, è pure presente in controluce lungo tutta la narrazione, che ne stigmatizza anche l’intrinseca ingenuità; l’idea cioè che l’assimilazione culturale possa passare attraverso una via incruenta, magari con la costruzione di una chiesa che il suo stesso progettista, significativamente, si rifiuta di utilizzare. L’incomunicabilità non è solo questione di lingue diverse, ma anche di mancanza di una base di concetti comuni; di una superficialità di sguardo (da parte del colonizzatore) che non può che necessitare di una protesi – la macchina fotografica – per ritrovare il proprio dio in quella terra che gli ha frettolosamente intitolato. Senza riuscirci, ma ottenendo comunque (in modo emblematico) di diventarne materialmente parte.

Godland - Nella terra di Dio, la locandina
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Scheda

Titolo originale: Vanskabte land
Regia: Hlynur Pálmason
Paese/anno: Francia, Svezia, Danimarca, Islanda / 2022
Durata: 143’
Genere: Drammatico
Cast: Ingvar Sigurdsson, Jacob Lohmann, Ída Mekkín Hlynsdóttir, Birta Gunnarsdóttir, Elliott Crosset Hove, Friðrik Friðriksson, Friðrik Hrafn Reynisson, Gunnar Bragi Þorsteinsson, Hilmar Guðjónsson, Ingimundur Grétarsson, Ingvar Þórðarson, Kristinn Guðmundsson, Snæbjörg Guðmundsdóttir, Vic Carmen Sonne, Waage Sandø, Ísar Svan Gautason
Sceneggiatura: Hlynur Pálmason
Fotografia: Maria von Hausswolff
Montaggio: Julius Krebs Damsbo
Musiche: Alex Zhang Hungtai
Produttore: Mikkel Jersin, Katrin Pors, Anton Máni Svansson, Guðmundur Arnar Guðmundsson, Signe Höeg, Anthony Muir, Alicia Hansen, Mimmi Spång, Didar Domehri, Giulia Triolo, Eva Jakobsen, Peter Possne
Casa di Produzione: Film i Väst, Maneki Films, Garagefilm International, Join Motion Pictures, Snowglobe Films
Distribuzione: Movies Inspired

Data di uscita: 05/01/2023

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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