INDIANA JONES E IL QUADRANTE DEL DESTINO

INDIANA JONES E IL QUADRANTE DEL DESTINO

Preceduto in parti uguali da hype e scetticismo, Indiana Jones e il quadrante del destino si rivela una degna conclusione (almeno per quanto ne sappiamo) per una saga che mantiene saldi i suoi cardini, pur senza essere ignara dello scorrere del tempo. Quel tempo che il film di James Mangold mostra di saper maneggiare al meglio, adocchiandone un possibile superamento ma poi ribadendone l’inevitabile peso.

Tempo al tempo, destino al destino

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L’hype che ha preceduto questo Indiana Jones e il quadrante del destino, quinto episodio di una saga che ha segnato a fondo l’immaginario cinefilo dell’ultimo quarantennio, è stato probabilmente pari solo allo scetticismo che, fin dall’annuncio dell’inizio della lavorazione, ha accompagnato la sua realizzazione. Gli anni, d’altronde, ci sono, e non si può far finta di no: proprio in questo senso, probabilmente, va letta la scelta di usare il tanto discusso deaging sul protagonista (già annunciato ben prima che i primi dettagli sulla trama fossero noti) solo nel primo, lungo flashback ambientato nel 1944, oltre che in un altro breve frangente utile come raccordo narrativo. Gli anni, l’iconico personaggio interpretato da Harrison Ford, qui li porta tutti in modo evidente, col peso della consapevolezza, anche se non con la fierezza che forse ci si aspetterebbe: è un Indiana immalinconito, quello che il film di James Mangold ci mostra nell’anno domini 1969, costretto a recitare la parte del vecchio burbero con la banda di hippie che abita nella porta accanto, con alle spalle il matrimonio fallito con la Marion col volto di Karen Allen, e la perdita di un figlio nell’inferno del Vietnam. I tempi sono decisamente molto cambiati. Eppure, il richiamo dell’avventura torna a farsi sentire, nella figura di una figlioccia (la new entry Phoebe Waller-Bridges) che bussa alla sua porta alla ricerca di un vecchio artefatto (la leggendaria Macchina di Anticitera, attribuita ad Archimede) e in un vecchio nemico (l’archeologo nazista col volto di Mads Mikkelsen) che ha col nostro più di un conto in sospeso. C’è ancora da fare, prima che il sipario cali definitivamente.

C’è ancora bisogno di lui

Un frame di Indiana Jones e il quadrante del destino, a Cannes 2023
Un ringiovanito Harrison Ford in Indiana Jones e il quadrante del destino

Con Indiana Jones e il quadrante del destino, James Mangold sembra concentrare nei primi, notevoli venti minuti tutto ciò che lo spettatore vorrebbe vedere in un film di Indiana Jones: avventura ad alta tensione, fisicità, e un protagonista a cui il deaging riesce (quasi) sempre a restituire la prestanza e la centratura che il tempo – quello, ben più implacabile, che passa davanti alla macchina da presa – gli ha inevitabilmente sottratto. Poi, però, si arriva al presente: e quello a cui ci troviamo di fronte è un Indie settantenne che però – coerentemente con sé stesso – è ancora un individuo inquieto. Inquieto perché irrisolto, perché (troppo) amico della bottiglia in cui diluire vecchi fantasmi, perché incapace di venire a patti con un presente in cui i vecchi nemici (i nazisti) hanno ottenuto il perdono di quell’impero del bene per cui tanto ci si è battuti – e ora addirittura contribuiscono allo storico obiettivo dell’allunaggio; inquieto perché la scellerata (dis)avventura in Vietnam gli ha portato via crudelmente tanto il suo unico figlio, quanto il suo vecchio e solo amore. C’è un unico modo per mettere a tacere i fantasmi, probabilmente, ed è quello di impugnare cappello, giubbotto di pelle e frusta per un’ultima volta, e spiegare al villain nazi di turno – qui un Mads Mikkelsen luciferino, che rimprovera a Hitler la resa e vorrebbe addirittura sostituirglisi – che no, finché c’è lui in giro non si passa, e che il passato più fosco va seppellito per sempre. Una volta per tutte, perché è l’unico, vero modo di riconciliarsi col presente.

Non solo un tributo

Indiana Jones e il quadrante del destino, Mads Mikkelsen in una scena
Indiana Jones e il quadrante del destino, Mads Mikkelsen in una scena del film

La componente autunnale che abbiamo qui cercato di descrivere, sia ben chiaro, è presente solo in controluce, in un sostrato celato al di sotto della superficie roboante di questo Indiana Jones e il quadrante del destino, il primo film di una saga quarantennale a essere orfano dei suoi creatori storici (George Lucas e Steven Spielberg). Sul motivo dell’addio dei due padri nobili si possono fare tante illazioni, che tuttavia avrebbero ben scarso valore nel contesto specifico. Quello che conta è che in questo episodio Mangold riesce a prendere le redini del franchise – per poi accantonarle, almeno in questa forma, in modo probabilmente definitivo – con stile e sicurezza, offrendo una regia che è un concentrato di azione dall’impeto moderno e mood vintage, di ritmo adeguato all’oggi (e alle sue modalità di fruizione) innestato su un sentire d’altri tempi. La limitazione della componente digitale, componente insolita per un prodotto targato Disney, va letta proprio in questo senso: e poco importa che gli stunt, per integrare la presenza dell’ottantenne Ford, facciano il loro lavoro; quello che importa è rivedere prologhi ambientati in treno, corse a cavallo sotto la metropolitana e in sidecar nel deserto, immersioni e lotte con murene e discese in antiche segrete popolate di scorpioni. Il tutto, non solo come tributo a un passato che ancora si rifiuta di essere relegato a polveroso cimelio (e quando mai è stato così, nella saga di Indy?) ma come orgogliosa risolutezza nel dire ancora la propria nonostante tutto. Perché quel cappello, forse, al chiodo ce lo appenderà solo la morte, quando arriverà. E non è ancora questo il momento.

La capacità di sintesi

Indiana Jones e il quadrante del destino, Harrison Ford e Phoebe Waller-Bridge in una scena
Indiana Jones e il quadrante del destino, Harrison Ford e Phoebe Waller-Bridge in una scena del film

I detrattori del discusso Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo si sentiranno, paradossalmente, più a casa qui, con le citazioni esplicite che si preoccupano di coccolarsi lo spettatore nostalgico, di sottolineare – per fortuna in modo non troppo didascalico – che l’universo di riferimento è sempre quello; chi invece non ha disprezzato il quarto film del franchise (e chi scrive fa parte di questa categoria) sarà in grado di apprezzare la misura con cui James Mangold riesce a operare una sintesi, a dirigere il suo film senza farsi schiacciare dalle esigenze del canone, a recuperare vecchi personaggi (il Sallah interpretato da John Rhys-Davies, assente dai tempi di Indiana Jones e l’ultima crociata) donando a essi funzionalità e un nuovo spessore. Il ritmo è forsennato ma generoso, la regia orchestra sequenze d’azione che non sono cieche alle esigenze del pubblico del 2023 (tra tagli di montaggio rapidi e piani ravvicinati) ma che mantengono alla loro base quella leggibilità, e quel respiro epico d’insieme, che hanno sempre costituito un marchio di fabbrica della saga. La deviazione dell’ultima parte, che evitiamo di spoilerare anche laddove sarà ormai nota ai più, potrebbe far storcere il naso a una parte del pubblico; ma a parere di chi scrive si rivela coerente con una costruzione narrativa che adocchia costantemente – pur senza richiamarlo in modo esplicito – l’elemento fantastico e favolistico. In fondo, lo stesso deaging del prologo (qui forse proposto nella sua versione migliore di sempre, anche se non ancora perfetta) cos’altro è, se non una “magica” e tecnologica sfida al tempo? Ma Indy è sempre lui, pur con le sue rughe e la sua irruenza, così deliziosamente naïf nel nuovo contesto. La sua riproposizione in questa veste, forse, ce lo fa amare ancora di più.

Indiana Jones e il quadrante del destino, la locandina italiana
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Scheda

Titolo originale: Indiana Jones and the Dial of Destiny
Regia: James Mangold
Paese/anno: Stati Uniti / 2023
Durata: 142’
Genere: Avventura, Azione
Cast: Antonio Banderas, Toby Jones, Harrison Ford, Mads Mikkelsen, John Rhys-Davies, Boyd Holbrook, Nasser Memarzia, Olivier Richters, Phoebe Waller-Bridge, Thomas Kretschmann, Alaa Safi, Andy M Milligan, Arthur Sylense, David Stokes, Ethann Isidore, Jill Winternitz, Mark Killeen, Martin McDougall, Mike Dickman, Shaunette Renée Wilson
Sceneggiatura: James Mangold, David Koepp, Jez Butterworth, John-Henry Butterworth
Fotografia: Phedon Papamichael
Montaggio: Dirk Westervelt, Michael McCusker, Andrew Buckland
Musiche: John Williams
Produttore: Anthony Dixon, Simon Emanuel, Frank Marshall, Kathleen Kennedy, Candice Campos, Blake Simon
Casa di Produzione: Walt Disney Pictures, Paramount Pictures, Lucasfilm
Distribuzione: Walt Disney Studios Motion Pictures

Data di uscita: 28/06/2023

Trailer

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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