UNA DONNA CHIAMATA MAIXABEL

UNA DONNA CHIAMATA MAIXABEL

Una donna chiamata Maixabel è ritratto di un’epoca, di un dramma collettivo e di due persone che ne furono protagoniste, sui lati opposti di una barricata che di lì a poco sarebbe caduta. Un inno alla comprensione che non cancella il passato, ma lo rende più malleabile e affrontabile, da una regista, quale Icíar Bollain, che non fa mai mancare il suo sguardo personale, discreto eppure sempre presente.

Comprendere, fuori e dentro

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Tolosa, 29 luglio 2000: un commando dell’ETA uccide Juan María Jaúregui, ex governatore di Guipuzkoa e importante esponente del partito socialista. Due dei colpevoli dell’attentato vengono arrestati e condannati nel 2004 a 39 anni di carcere. 2014: uno dei due arrestati, Ibon Etxezarreta, chiede di poter incontrare la vedova della vittima, Maixabel Lasa, che da anni sta portando avanti un’importante opera di commemorazione di tutte le vittime del terrorismo. La donna, con molte riserve e contro l’opinione dei familiari, accetta l’incontro.

È un film semplice eppure vibrante di umanità, questo Una donna chiamata Maixabel, cronaca di una riflessione sul passato e soprattutto di un tentativo di dialogo, apologo di una necessità dell’incontro che non diventa mai acritica negazione delle differenze. Quello di Icíar Bollain, regista eclettica eppure sempre dotata di un suo personale sguardo, è un film che fonde efficacemente quelli che una volta si chiamavano “personale” e “politico”, mostrando come i due elementi si influenzino profondamente a vicenda, in positivo e (disgraziatamente) spesso in negativo. È l’influenza che ha segnato, separatamente, tanto la vita di Maixabel quanto quella di Ibon, due percorsi speculari, due personaggi che da anni, inconsciamente, si cercano. (In)consapevoli di aver bisogno l’una dell’altro.

La necessaria, doppia revisione

Una donna chiamata Maixabel, Blanca Portillo e Luis Tosar in una sequenza
Una donna chiamata Maixabel, Blanca Portillo e Luis Tosar in una sequenza del film

Offre uno sguardo duro sulle vite che racconta, Una donna chiamata Maixabel, senza sconti, ma mai realmente giudicante. Uno sguardo che cerca di comprendere la realtà partendo dal suo lato umano, dalle vite di uomini e donne che, dall’una e dall’altra parte della barricata, sono state toccate da uno dei periodi più lunghi e tragici che la storia spagnola ricordi. Lascia fuori campo il delitto che dà origine al tutto, il film di Icíar Bollain, ma non ha bisogno di mostrare in modo esplicito l’atto di togliere la vita: basta quello stacco poco prima che i due colpi vengano esplosi, poi la concitata fuga – messa in scena con taglio nervoso e naturalistico – e la successiva esultanza che già appare quasi come grido di angoscia. “Dovevamo esultare, perché fermarsi a riflettere significava rischiare di impazzire”, dice il personaggio interpretato magistralmente da Luis Tosar all’altrettanto intensa Maixabel di Blanca Portillo, dando conto di una riflessione e di una revisione critica che, più che alle azioni, guarda dentro, ai motivi delle scelte. Una revisione che non coinvolge solo il personaggio di Ibon, ma anche e soprattutto quello di Maixabel, che si rende conto di aver bisogno di quel confronto tanto temuto: perché dare un volto, una voce e soprattutto un’umanità al carnefice significa ricondurlo a una dimensione più gestibile, più malleabile: significa affrontare direttamente la causa del male che ti ha attanagliato per tanti anni, e decidere coscientemente come rapportarvisi. Maixabel sceglie il perdono, e non solo perché la stessa vittima (che era stata a sua volta militante dell’ETA, per fuoriuscirne poco dopo) avrebbe fatto lo stesso; ma perché è ciò che fa più bene a lei. E lo fa in quel profondo che anche la stessa donna decide di scandagliare attraverso il dialogo con chi tanto le ha tolto.

L’importanza dello sguardo

Una donna chiamata Maixabel, un'immagine del film
Una donna chiamata Maixabel, un’immagine del film di Iciar Bollain

Il taglio che la regista sceglie per mettere in scena la vicenda di Una donna chiamata Maixabel è solo apparentemente semplice e impersonale: la regia, più che farsi da parte, si nasconde dietro i dialoghi e i volti dei due protagonisti (a cui aggiungeremmo il compagno di Ibon, interpretato da Urko Olazabal, e soprattutto la figlia della donna, a cui dà il volto una dolente María Cerezuela) evita i virtuosismi ma è pregna di uno sguardo personale nei dettagli. Gli stacchi repentini di montaggio, certe esplosioni sonore – anche il lavoro su questo comparto è notevole – a ricordare la violenza di ciò che si è vissuto; e poi quella sequenza che mostra Ibon in macchina, e la rievocazione sonora delle sue azioni, divenute quasi più vive con questa modalità di quanto non lo sarebbero state se raccontate con degli espliciti flashback. E poi, soprattutto, ci sono i volti, scrutati da presso, alla costante ricerca di quella comprensione reciproca che lentamente, e non senza fatica, viene infine attuata. Ha una lunga parte preparatoria, Una donna chiamata Maixabel, che segue parallelamente le vicende dei due protagonisti: ne scruta l’evoluzione, dà conto delle rispettive prese di coscienza. Resta laterale rispetto a una storia politica complessa e impossibile da liquidare in due ore di film, pratica che sarebbe peraltro fuorviante; la regista si mostra interessata infatti, soprattutto, a chi di quella pagina di storia è stato protagonista, diretto e indiretto, come i familiari dell’una e dell’altra parte. A chi ne è stato destabilizzato, e sta cercando una nuova stabilità che tenga conto del dolore da una parte, e del peso delle azioni (e delle scelte) dall’altra.

Una semplicità “ricca”

Una donna chiamata Maixabel, Blanca Portillo e Luis Tosar in un momento
Una donna chiamata Maixabel, Blanca Portillo e Luis Tosar in un momento del film

È proprio questa semplicità concettuale (la vicenda dell’incontro tra due persone) unita alla grande densità del racconto, e all’intensità con cui viene messo in scena, il pregio principale di Una donna chiamata Maixabel; un’opera che per fortuna non cede né alle trappole del cinema a tesi, né a quelle di un’emotività troppo esplicita che ne avrebbe snaturato gli intenti. Si mantiene al contrario rigoroso, il film di Icíar Bollain, tenendo sotto controllo gli elementi più problematici (come la colonna sonora) e restituendo un ritratto politico che diventa gradualmente psicologico e soprattutto umano. L’emozione esplicita emerge solo nell’ultima sequenza, con un gioco di sguardi, a contrappuntare le note del canto collettivo, che dice tutto sui singoli personaggi, sulle rispettive posizioni, e sulle reciproche vicinanze o distanze: perché comprendere si può, ma cancellare il passato mai. Averlo detto in modo così implicito, eppure così efficace, in un film che fa della semplicità la sua caratteristica-cardine, e senz’altro risultato non da poco.

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Locandina

Una donna chiamata Maixabel, la locandina italiana del film

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Scheda

Titolo originale: Maixabel
Regia: Icíar Bollaín
Paese/anno: Spagna / 2021
Durata: 115’
Genere: Drammatico, Poliziesco, Thriller
Cast: Arantxa Aranguren, Luis Tosar, Arkaitz Gartziandia, Asier Hormaza, Blanca Portillo, Bruno Sevilla, Félix Arcarazo, Gorka Mínguez, Gorka Zuazua, Ibon Belandia, Iñigo Larrinaga, Josu Ormaetxe, Martxelo Rubio, María Cerezuela, María Jesús Hoyos, Miguel Garcés, Mikel Bustamante, Patxo Telleria, Tamara Canosa, Urko Olazabal
Sceneggiatura: Icíar Bollaín, Isa Campo
Fotografia: Javier Agirre
Montaggio: Nacho Ruiz Capillas
Musiche: Alberto Iglesias
Produttore: Juan Moreno, Guillermo Sempere, Koldo Zuazua
Casa di Produzione: Movistar+, Kowalski Films, Euskal Irrati Telebista (EiTB), Radio Televisión Española (RTVE), Crea SGR, Maixabel Film, Feelgood Media
Distribuzione: Movies Inspired

Data di uscita: 13/07/2023

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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