RITRATTO DI FAMIGLIA
di Roschdy Zem
Già presentato nel concorso di Venezia 79, Ritratto di famiglia esamina la realtà di una famiglia allargata, ponendo su di essa l’elemento dirompente di una patologia neurologica. Un tema che il film di Roschdy Zem sviscera con efficacia, in un’analisi dei legami e della loro tenuta, così come delle impensate occasioni che la patologia stessa offre.
I lacci che legano
Nel girare Ritratto di famiglia, suo quinto film da regista, Roschdy Zem ha dichiarato fin dall’inizio di voler evitare le distorsioni e gli stereotipi, sempre troppo presenti quando si vanno a toccare (in Francia come altrove) temi legati, a vario titolo, all’immigrazione. D’altronde, a ben vedere, questo nuovo lavoro dell’attore/regista francese racconta di un nucleo familiare borghese di origine marocchina, ben integrato e privo di elementi conflittuali col resto del tessuto sociale; una scelta precisa, che permette di sfumare – ma non di mettere del tutto tra parentesi – l’elemento culturale e la sua specificità, concentrandosi su una vicenda che fin dall’inizio ha piuttosto un taglio psicologico e (diremmo) microsociologico. Un taglio che comunque non esclude una concezione dell’istituzione familiare – e di quei legami esplicitati nel titolo – che è abbastanza diversa da quella nucleare tipica della società occidentale; una scelta che permette la narrazione di una storia che analizza con arguzia (ma senza calcare la mano) i meccanismi che regolano gli affetti familiari così come il loro potenziale logoramento. Il tutto attraverso la lente di ingrandimento della patologia (qui mentale), trattata comunque senza pietismi o enfasi particolare.
Un abbandono e un trauma
Al centro del plot di Ritratto di famiglia c’è il personaggio di Moussa, marito, padre e fratello particolarmente premuroso col resto della famiglia, che è stato appena abbandonato, senza spiegazioni di sorta, da sua moglie. L’uomo, incapace di farsi una ragione della fine del suo matrimonio, trascorre una serata in discoteca con una sua collega, nel corso della quale accusa un malore; caduto a terra, batte la testa e subisce un danno neurologico, che lo rende confuso, sonnolento e (soprattutto) ne modifica totalmente il carattere. Il Moussa gentile e sempre disponibile che i familiari hanno conosciuto si trasforma in un individuo arrogante, sprezzante, senza peli sulla lingua. Alienatosi la solidarietà di quasi tutti i suoi fratelli, stanchi delle sue crudeltà e intemperanze, allontanati con disprezzo i due figli più grandi, Moussa riesce inaspettatamente a trovare un supporto in Ryad, il fratello più criticato della famiglia; quello che tutti, di fatto, hanno sempre reputato un egoista. La patologia finirà per diventare, per i due, un’occasione di avvicinamento, e per la famiglia nel suo complesso un inatteso strumento di compensazione delle tensioni.
Racconto di due fratelli
L’iniziale sguardo collettivo del film di Roschdy Zem, che esamina con arguzia i rapporti “di forza” tra i vari membri della famiglia, e i tanti non detti che li separano, si stringe sempre più sul personaggio di Moussa, allargandosi poi di nuovo – quasi timidamente – a ricomprendere nella sua visione la figura di Ryad (interpretata dallo stesso regista). Una figura che fin dall’inizio la sceneggiatura delinea con una certa attenzione, sottolineandone la natura di (inconsapevole o forse disinteressata) pecora nera, mettendone inoltre in evidenza tanto le spigolosità lavorative quanto le colpevoli distrazioni familiari. L’iniziale sequenza del pranzo di famiglia, in questo senso, mostra proprio l’attenzione per la definizione dei personaggi e delle linee di tensione (esplicite e non) che li separano, ma anche il focus preponderante sui due fratelli, descritti in modo esplicito come il bianco e il nero; una sequenza che, nella tradizione del dramma borghese familiare, viene caricata di una tensione sotterranea, che prepara efficacemente l’atmosfera per il resto del film. Un’introduzione atta anche a mostrare quei legami da famiglia allargata che rappresentano un po’ la specificità culturale di cui si diceva in apertura, con la loro rete di protezione ma anche le loro impegnative richieste.
Un’evoluzione coerente
Il modo in cui Ritratto di famiglia tratta la condizione del protagonista è apprezzabilmente diretto, privo di sfumature patetiche, in una voluta sottrazione di ogni accenno di melò esplicito. Il protagonista Sami Bouajila modula efficacemente la recitazione per vestire i panni di un personaggio che (a dispetto delle apparenze) mantiene un nucleo emotivo coerente, segnato anche dall’abbandono di cui vediamo le conseguenze (non a caso) a inizio e fine film. La trasformazione del personaggio di Moussa pone anche l’accento, in modo eloquente, sulle maschere sociali e sulla loro caduta, (ri)definendo la sua figura parallelamente all’avvicinamento – per la prima volta reale e profondo – al personaggio del fratello. Un avvicinamento che carica il film, nella sua seconda parte, di una componente emozionale più forte ed esplicita, ma comunque piuttosto pudica nel modo del regista di approcciarsi ai personaggi, e mai ricattatoria. Un’evoluzione che in un certo senso stupisce, quella che conduce il film alla sua frazione finale, che magari potrà far storcere il naso a qualche spettatore, visto il tono sobrio e realistico di tutta la prima parte; ma che nondimeno resta coerente con gli intenti del film nella sua resa della natura a più facce (segnata dai chiaroscuri emotivi che accompagnano tutti i personaggi) di quei legami che il titolo, esplicitamente, evoca.
Locandina
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Scheda
Titolo originale: Les miens
Regia: Roschdy Zem
Paese/anno: Francia / 2022
Durata: 85’
Genere: Drammatico
Cast: Roschdy Zem, Sami Bouajila, Anaïde Rozam, Maïwenn, Abel Jafri, Carl Malapa, Meriem Serbah, Nina Zem, Rachid Bouchareb
Sceneggiatura: Roschdy Zem
Fotografia: Julien Poupard
Montaggio: Pierre Deschamps
Musiche: Maxence Dussère
Produttore: Pascal Caucheteux, Roschdy Zem
Casa di Produzione: Why Not Productions
Distribuzione: Movies Inspired
Data di uscita: 31/08/2023