LA GUERRA DEL TIBURTINO III

LA GUERRA DEL TIBURTINO III

Terzo lungometraggio di Luna Gualano, La guerra del Tiburtino III fa un simpatico mix tra il filone fantascientifico debitore a L’invasione degli ultracorpi e il cinema ambientato nelle periferie romane, rivitalizzato dal successo di Lo chiamavano Jeeg Robot. Il sottotesto sociale è esplicito, i personaggi in gran parte funzionano, ma l’intreccio in sé risulta davvero troppo esile per essere adatto alla dimensione del lungometraggio.

Barricate dallo spazio

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Sulla scia dell’ormai “storicizzato” Lo chiamavano Jeeg Robot, film che rivelò otto anni fa il talento di Gabriele Mainetti, il cinema italiano continua a mescolare spesso il mood di genere e da b-movie con l’ambientazione squisitamente popolare delle periferie, in ibridi a volte centrati, altre meno. Nello specifico, la regista Luna Gualano, che aveva già tentato questa commistione nel 2018 col suo Go Home – A casa loro – singolare zombie movie che affrontava nella cornice del genere la tematica dell’immigrazione – compie ora un’operazione simile in questo La guerra del Tiburtino III. Stavolta, il genere preso di petto è la fantascienza, in particolare il filone derivato dal classico L’invasione degli ultracorpi: al centro della trama, ambientata nella periferia romana del titolo, c’è il personaggio dello spacciatore Pinna (Antonio Bannò) che si trova a fronteggiare un’invasione aliena nel quartiere dopo che suo padre Leonardo (Paolo Calabresi) ha raccolto da terra uno strano frammento di meteorite. Da allora, Leonardo si è trasformato in un singolare capopopolo, ordinando agli altri residenti di erigere barricate e isolare il quartiere. Presto, Pinna e i suoi compagni (l’amico fraterno Panettone, la barista Chanel e l’appena conosciuta Lavinia, influencer approdata nel quartiere per risollevare la sua fama) si renderanno conto di avere a che fare con un’invasione in piena regola, con creature extraterrestri che hanno preso possesso dei corpi degli abitanti.

Un microcosmo stonato e vitale

La guerra del Tiburtino III, Sveva Mariani e Antonio Bannò in una sequenza del film
La guerra del Tiburtino III, Sveva Mariani e Antonio Bannò in una sequenza del film

Fa simpatia, l’idea alla base di La guerra del Tiburtino III, specie per come Gualano, ancora una volta, propone un’operazione in tutto e per tutto popolare e di genere (il modello, oltre al già citato L’invasione degli ultracorpi, è il più recente Attack the Block – Invasione aliena di Joe Cornish) mescolandola a suggestioni assolutamente attuali e comtemporanee. Qui, il tema dichiarato è quello del populismo, e la metafora esplicita è quella di un vero e proprio virus – letteralmente strisciante, e capace di prendere possesso dei corpi e delle menti – che porta a erigere muri e barricate, e a individuare nemici esterni come capri espiatori delle proprie difficoltà (qui, ancora una volta, le minoranze, come quelle costituite da immigrati e rom). Fa simpatia anche la rappresentazione stonata ma vitale del microcosmo umano che circonda il protagonista, col personaggio – a tratti irresistibile – della madre interpretata da Paola Minaccioni (che non a caso avrà un ruolo non secondario nella risoluzione della situazione), l’amica Chanel e il punto di riferimento aggregativo costituito dal suo bar, e la figura caricaturale ma in fondo credibile del suo amico Panettone. Simpatiche istantanee, quelle scattate dal film, di un sottoproletariato tanto improbabile quanto (ancora) tenuto insieme da una sostanziale solidarietà intergenerazionale e multietnica, che sarà avvelenata e spezzata dall’invasione aliena.

L’esilità dell’intreccio

La guerra del Tiburtino III, Paolo Calabresi in una scena del film
La guerra del Tiburtino III, Paolo Calabresi in una scena del film

Se i primi minuti di La guerra del Tiburtino III risultano centrati e simpatici – sia per l’appena ricordato, riuscito ritratto sociale che il film fa, sia per la curiosità suscitata da un’invasione aliena in un contesto così insolito – il film finisce presto per mostrare l’esilità (sostanziale) della sua struttura di genere. Una volta accettate le basi della storia, e riconosciuta la validità dell’idea intrisa di comicità che la muove, si resta un po’ con l’amaro in bocca per la scarsa rilevanza dell’intreccio più propriamente fantascientifico del film, e per la sua prevedibilità: la lotta contro i simulacri alieni che hanno infestato il Tiburtino III, di fatto, si riduce alla missione di rubare uno smalto per le unghie (il piccolo spoiler che abbiamo fatto, ne siamo convinti, non inficerà in alcun modo la godibilità del film) e alla divertente riscossa delle mogli del quartiere che si organizzano per far tornare alla sanità mentale i loro mariti (e, a questo proposito: perché questa distinzione “di genere” nella scelta dei gusci umani non è stata meglio approfondita?) Poteva essere meglio approfondito – e utilizzato – anche il personaggio dell’influencer Lavinia, specie nel suo rapporto col protagonista, e nel suo contatto con un ambiente “alieno” come quello della periferia. Il tutto è quasi interamente affidato all’efficacia delle singole gag comiche (come quella del protagonista che prende in giro il padre posseduto, chiamato “regina”), all’uso in chiave smitizzante dei cliché, e alla simpatia degli interpreti; mentre la morale della storia – la forza della solidarietà contro muri e chiusure – risulta in fondo abbastanza risaputa.

L’idea e la sua realizzazione

La guerra del Tiburtino III, Sveva Mariani e Antonio Bannò in una scena del film
La guerra del Tiburtino III, Sveva Mariani e Antonio Bannò in una scena del film

Restano divertenti, quanto in fondo superflue per l’economia del racconto, le apparizioni nel film di Francesco Pannofino e Carolina Crescentini, camei a cui si aggiunge, per i più attenti, quello brevissimo dei Manetti Bros. (qui produttori, nonché patrocinatori dell’intera operazione). Resta comunque, questo La guerra del Tiburtino III, un’operazione promettente nel suo concept, a tratti divertente nelle singole trovate narrative e nella concettualizzazione di massima della sua idea di base, quanto irrimediabilmente evanescente nello svolgimento; un esperimento che finisce per dimenticare che un qualsiasi prodotto di genere (anche quello più curioso, e basato su idee di contaminazione anche ardite tra generi e linguaggi) deve principalmente avere una trama solida e un intreccio con un minimo di elaborazione, che sia capace di mantenere vivi l’interesse e l’attenzione dello spettatore. Allo stato attuale, il film di Luna Gualano resta un “vorrei ma non posso”, una sorta di dichiarazione di intenti più che un prodotto compiuto, che sta a confermare la presenza di buone idee e suggestioni nel panorama nazionale del cinema di genere, ma anche la frequente difficoltà nel tradurle in prodotti compiuti e dotati di una propria solidità.

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Locandina

La guerra del Tiburtino III, la locandina del film di Luna Gualano

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Scheda

Titolo originale: La guerra del Tiburtino III
Regia: Luna Gualano
Paese/anno: Italia / 2023
Durata: 91’
Genere: Commedia, Fantascienza
Cast: Paolo Calabresi, Paola Minaccioni, Carolina Crescentini, Pier Giorgio Bellocchio, Francesco Pannofino, Antonio Bannò, Federico Majorana, Alessio De Persio, Aurora Calabresi, Sveva Mariani, Francesca Stagni, Giulia Gualano, Giulia Ricciardi, Karim Bartoli, Veronika Logan
Sceneggiatura: Luna Gualano, Emiliano Rubbi
Fotografia: Giuseppe Chessa
Montaggio: Luna Gualano
Produttore: Carlo Macchitella, Pier Giorgio Bellocchio, Marco Manetti, Antonio Manetti
Casa di Produzione: Mompracem, Rai Cinema
Distribuzione: Fandango

Data di uscita: 02/11/2023

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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