BABY DRIVER – IL GENIO DELLA FUGA
di Edgar Wright
Il cinema “nerd” di Edgar Wright si arricchisce di un nuovo, irresistibile tassello con Baby Driver - Il genio della fuga: un action movie che ha il passo e il tempo delle composizioni rock della sua colonna sonora, e che ci fa sposare in toto l’occhio – e l’orecchio – del suo protagonista.
L’orecchio di Baby per l’azione
Giovanissimo asso del volante, costretto a indossare costantemente le cuffie dell’iPod a causa di un acufene che lo tormenta fin da bambino, Baby fa l’autista per la banda di Doc, che ha già messo a segno un gran numero di rapine. Il boss criminale ha incastrato Baby dopo che lui gli aveva rubato un’automobile, e lo ha costretto a lavorare per lui fin quando il valore dell’auto non sarà ripagato. A Baby, che deve anche badare a suo padre adottivo, sordomuto, resta un unico colpo da compiere prima di liberarsi del suo debito con Doc. Nel frattempo, il ragazzo conosce Debora, giovane cameriera della caffetteria che frequenta, con cui sboccia subito l’amore. Il sogno di una nuova vita, libera dal crimine, per Baby sembra più che mai a portata di mano. Ma il ragazzo dovrà presto rendersi conto che liberarsi di Doc, e di un mondo di cui ormai fa parte, è in realtà tutt’altro che facile.
“Caso” cinematografico per eccellenza del 2017, film di genere acchiappaincassi e nuovo tassello di una filmografia, quella del regista Edgar Wright, interamente votata a un’attitudine genuinamente popolare e nerd, Baby Driver – Il genio della fuga porta con sé un’aura a cui, fin dalle prime sequenza, è difficile resistere. Il film di Wright, che fa della sua colonna sonora non solo una parte integrante, ma l’elemento che sorregge tutta l’impalcatura, è una sequenza di immagini che corrono, si muovono, respirano dietro alle composizioni musicali. E lo fanno a un ritmo sostenuto, a tratti indiavolato. È un musical senza la struttura del musical, Baby Driver – Il genio della fuga, una partitura rock che guida rapida il suo plot poliziesco, dettandogli il ritmo e il passo, e sposando in toto il punto di vista del suo giovane protagonista.
Proprio l’attore Ansel Elgort, sorprendentemente efficace nel ruolo principale, è lo sguardo (meglio: l’orecchio) a cui si sovrappone integralmente quello dello spettatore. Uno sguardo e un orecchio che si inceppano, insieme ai nostri, quando il suo iPod smette di bombardarlo con le sue composizioni: Jon Spencer Blues Explosion, Beach Boys, The Damned, Blur e Queen, tra i tanti. Ma anche, per rifiatare (e per dare spazio a quell’intimità che non si nega a nessuno) T. Rex e Beck, quando cantano della sua Deb(o)ra. E poi i Commodores, che ti spiegano why I’m easy: anche se di facile, per il giovane Baby (ma non è questo il suo vero nome… o sì?) ci sarà ben poco. Ma le sue corse a perdifiato dietro a un runaway American Dream (il Boss non c’è, nella soundtrack, ma il suo spirito aleggia comunque, ovunque) delineeranno man mano una meta: prima sfumata, ma poi, progressivamente, sempre più chiara. A portata di mano, in fondo, anzi: d’orecchio.
Irresistibile ma non furbo, pieno di un vigore genuino e quasi straripante, quello che accomuna il rocker al creatore-spettatore-fruitore del cinema di genere, Baby Driver – Il genio della fuga si guarda, divora e ascolta tutto d’un fiato. Il mood del film è introdotto perfettamente dal piano sequenza iniziale che segue il personaggio di Baby dalla strada fino al quartier generale del suo capo: una lunga ripresa in steadycam, tecnicamente perfetta, che ci fa entrare in pieno nel mondo del protagonista, donandoci la sua prospettiva. È proprio questa l’altra peculiarità interessante del film di Wright: quella di generare, con poche e semplici soluzioni audiovisive, una sovrapposizione quasi totale dell’ottica spettatoriale con quella del protagonista.
Non è un caso, proprio a questo proposito, il fatto che la totalità delle canzoni che si ascoltano nel film siano in realtà composizioni diegetiche: noi sentiamo insieme a Baby, e laddove vediamo un po’ più (o un po’ meno) di lui, ciò accade unicamente in virtù di necessità narrative e/o di messa in scena. Difficile trovare, nel moderno cinema d’azione, un film dal ritmo tanto sostenuto (e qui, malgrado il budget non elevatissimo, ci si risparmia davvero poco in fatto di sequenze d’azione) e dall’analoga capacità (usiamo un’espressione azzardata, dato il tipo di prodotto: ne siamo consapevoli) di introspezione psicologica. Capacità che si esplicita, tra l’altro, con un uso parco e controllato dei dialoghi, e mantenendo ferma l’attitudine pop e genuinamente fracassona del prodotto. Un’attitudine a cui le prove degli altri membri del cast (in testa un sornione Kevin Spacey, ma senza dimenticare Jon Hamm, Jon Bernthal e Jamie Foxx) danno il loro ottimo contributo.
Soprattutto per chi ami l’action movie, oltre alla musica di cui il film letteralmente straripa, è difficile trovare dei veri difetti a Baby Driver – Il genio della fuga. Si potrebbe forse obiettare, unicamente, su una certa attitudine “buonista” del finale, che potrebbe lasciare perplessa una parte del pubblico: una conclusione che forse concede troppo, e in modo troppo esplicito, a quell’attitudine positiva e da fiaba metropolitana (pur sui generis) di cui il film è da subito informato. Ma si tratta di una dissonanza in fondo minima, che viene rapidamente accantonata e assimilata in un contenitore, nel suo complesso, coerente ed irresistibile.
Scheda
Titolo originale: Baby Driver
Regia: Edgar Wright
Paese/anno: Regno Unito, Stati Uniti / 2017
Durata: 115’
Genere: Commedia, Azione
Cast: Lily James, Jon Bernthal, Jamie Foxx, Jon Hamm, Eiza González, Flea, Ansel Elgort, Kevin Spacey, Lanny Joon, CJ Jones, Paul Williams, Sky Ferreira
Sceneggiatura: Edgar Wright
Fotografia: Bill Pope
Montaggio: Jonathan Amos, Paul Machliss
Musiche: Steven Price
Produttore: Tim Bevan, Eric Fellner, Nira Park
Casa di Produzione: Media Rights Capital (MRC), TriStar Pictures, Working Title Films, Big Talk Productions
Distribuzione: Warner Bros.
Data di uscita: 07/09/2017