ANNABELLE 3

ANNABELLE 3

La saga sull’inquietante bambola, nata come spin-off dei vari The Conjuring, si connette direttamente in Annabelle 3 al franchise principale: le premesse sono buone, ma il regista Gary Dauberman non riesce a inserire nel film le stesse suggestioni che caratterizzavano il secondo capitolo.

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Quello della bambola è un topos sempreverde, per il cinema horror, buono a tutte le latitudini e in tutti i periodi storici. La saga di Annabelle, tuttavia, ha seguito fin dall’inizio un percorso abbastanza originale all’interno del filone, nascendo come spin-off della serie creata da James Wan The Conjuring – che, nella sua parte “canonica”, sta per arrivare al terzo episodio – e vivendo di interessanti interscambi con quest’ultima. Gli interscambi, già evidenti nel finale del primo film e nei primi due episodi della saga principale, diventano espliciti in questo Annabelle 3, che vede tra i protagonisti proprio gli investigatori del paranormale Ed e Lorraine Warren, che furono al centro dei due The Conjuring. Una scelta che vuole dare l’idea di una continuity sempre più stretta tra i vari pezzi di un franchise finora molto fortunato, che nel frattempo si è arricchito di due ulteriori “rami” coi recenti The Nun e La Llorona – Le lacrime del male. Una saga che nel suo complesso, pur nelle oscillazioni qualitative che l’hanno caratterizzata, ha mantenuto un buon equilibrio tra esigenze di cassetta e voglia di battere territori nuovi, classicità e necessità di seguire i gusti del moderno pubblico del genere.

Se tale equilibrio era stato raggiunto decisamente bene, con risultati visivamente anche sorprendenti, nel secondo episodio – ma in realtà si trattava di un prequel – Annabelle 2: Creation, qui il risultato è leggermente più convenzionale e standardizzato. Può aver influito, almeno in parte, il cambio in cabina di regia, con l’esordio dietro la macchina da presa dello storico sceneggiatore della saga Gary Dauberman; la regia di quest’ultimo risulta in effetti più scolastica e visivamente meno elaborata – ma anche meno fantasiosa nel modo di proporre gli spaventi – rispetto a quella del suo predecessore David F. Sandberg. Pur non esagerando con l’effettistica più vieta e stereotipata del filone, e introducendo qualche interessante soluzione visiva (ne sono esempio i giochi cromatici con la lampada nella camera della protagonista), Dauberman ha evidentemente meno inventiva – ma anche meno controllo del mezzo – rispetto al suo predecessore: la sua regia, anche se priva di sbavature, replica in parte i limiti che furono già del primo Annabelle, caratterizzandosi per una certa ripetitività. Un piccolo passo indietro, proprio laddove la saga si propone di affermare una sua identità precisa (ben distinta, ad esempio, da quella di un La bambola assassina, di cui è in sala il reboot proprio in questi giorni).

Il plot di Annabelle 3, infatti (in originale un eloquente Annabelle Comes Home) vorrebbe un po’ fare una prima summa dell’universo The Conjuring: l’idea è quella di porre sempre al centro l’inquietante bambola posseduta, ampliando nel contempo lo sguardo alle altre presenze con cui i due demonologi (lo ricordiamo: ispirati agli omonimi personaggi reali) hanno avuto a che fare. L’essenziale plot, di fatto, si basa proprio sull’effetto “catalizzatore” di Annabelle, capace di risvegliare gli spiriti malvagi che albergano nella stanza dei reperti dei Warren: l’occasione arriverà quando Daniela, adolescente che ha appena perso il padre, si avventurerà nella stanza proibita, sfruttando la sua amicizia con Mary Ellen, ingaggiata dalla coppia per badare alla figlia Judy. L’incauta azione di Daniela, convinta di potersi mettere in contatto col defunto genitore attraverso uno dei manufatti presenti nella stanza, finirà per liberare il demone che alberga dentro la bambola, spingendolo a risvegliare a ruota tutte le altre presenze. Il suo scopo principale, tuttavia, resta quello già evidenziato nei precedenti episodi: trovare un’anima da possedere e dominare.

La regia di Annabelle 3 tiene abbastanza a bada la voglia – in qualche modo connaturata al soggetto – di abusare di jump scares, presenti invero in quantità fisiologiche per un horror contemporaneo; lo fa disattendendo anzi spesso le aspettative dello spettatore in tal senso, e arrivando anche a inserire un elemento comico e sdrammatizzante nel personaggio dello spasimante Bob. L’unità di luogo è sfruttata abbastanza bene dallo script, così come l’effetto-moltiplicazione (evidente soprattutto nella parte finale) derivante dal proliferare delle presenze che attaccano i protagonisti. In questo gioco all’accumulo, ben organizzato in un crescendo ritmico e figurativo, l’appassionato noterà facilmente le gustose – anche se un po’ estemporanee – citazioni da L’ululato e Il mastino dei Baskerville, a suggello di un comparto visivo complessivamente sufficiente.

Spiace un po’, tuttavia, che la sceneggiatura non riesca a proseguire sulla strada inaugurata dallo stesso Dauberman in Annabelle 2: Creation: anche qui c’è un personaggio con una sensibilità particolare (la piccola Judy), anche qui troviamo l’abbozzo di un discorso sulla diversità, oltre che sul lutto, e sul grande tema rimosso della morte. Un paio di dialoghi, nella frazione iniziale, facevano ben sperare in tal senso, evidenziando anche un’interessante costruzione parallela dei personaggi della stessa Judy e dell’adolescente Daniela; questo motivo, tuttavia, viene rapidamente dimenticato dallo script, fagocitato dalla più prosaica necessità di inanellare uno spavento dopo l’altro. Resta inoltre qualche forzatura di sceneggiatura – pur perdonabile, nella tessitura sul confine tra terreno e ultraterreno del film – nonché qualche perplessità sull’età dello stesso personaggio di Judy: anche sullo schermo, infatti – complice forse la sua buona espressività – Mckenna Grace sembra avere qualche anno di troppo per aver bisogno della baby sitter; ciò è vero anche – e forse soprattutto – in presenza di una casa infestata, viste le risorse di cui si rivela dotato il personaggio.

Complessivamente, quindi, Annabelle 3 sta semplicemente a testimoniare lo stato dell’evoluzione del franchise The Conjuring – e della relativa saga spin-off – nel 2019: testimonianza resa con un buon quantitativo di brividi, col sempiterno fascino di una figura ormai iconica, ma anche con un piglio poco personale, risultandone in un prodotto in definitiva abbastanza standardizzato e inoffensivo. Chi si aspettava una prosecuzione sulla strada inaugurata dal capitolo precedente, esempio di innesto di suggestioni più mature sul classico tessuto di una ghost story, rimarrà probabilmente deluso.

Scheda

Titolo originale: Annabelle Comes Home
Regia: Gary Dauberman
Paese/anno: Stati Uniti / 2019
Durata: 106’
Genere: Horror
Cast: Steve Coulter, Vera Farmiga, Patrick Wilson, Joseph Bishara, Mckenna Grace, Stephen Blackehart, Madison Iseman, Samara Lee, Alison White, Katie Sarife, Luca Luhan, Michael Cimino, Paul Dean
Sceneggiatura: Gary Dauberman
Fotografia: Michael Burgess
Montaggio: Kirk M. Morri
Musiche: Joseph Bishara
Produttore: James Wan, Peter Safran
Casa di Produzione: New Line Cinema, The Safran Company, Atomic Monster, RatPac-Dune Entertainment
Distribuzione: Warner Bros. Italia

Data di uscita: 03/07/2019

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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