IL COLIBRÌ

IL COLIBRÌ

Tratto dall'omonimo romanzo di Sandro Veronesi, Il colibrì apre la Festa del Cinema di Roma 2022: il film di Francesca Archibugi propone la struttura classica di un melodramma capace di rendere i tempi del racconto fin troppo dilatati, appesantendo la visione e la trasposizione di un racconto dalla struttura frammentaria.

Il melodramma è servito

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Per la famiglia Veronesi il cinema non è certo una casualità. Nemmeno per Sandro Veronesi che, pur dedicandosi completamente alla scrittura e alla letteratura, ha visto già altre volte prendere in prestito le sue storie dal grande schermo. Un esempio su tutti il romanzo Caos calmo che, dopo aver vinto il Premio Strega nel 2006, è diventato un film interpretato da Nanni Moretti e diretto da Antonello Grimaldi. Oggi, a distanza di molti anni, questo binomio tra il linguaggio letterario e quello cinematografico si ripete. Dopo essersi aggiudicato nuovamente il premio Strega nel 2019 con Il colibrì, Veronesi vede la sua opera prendere vita nel film omonimo diretto da Francesca Archibugi che apre ufficialmente la Festa del Cinema di Roma 2022.

Un lavoro che, sicuramente, non è stato facile portare a termine, soprattutto per quanto riguarda la trasposizione cinematografica e la definizione di una sceneggiatura capace di rispettare l’opera originale e, al tempo stesso, adattarsi alla sintesi cinematografica. Ed è proprio in quest’ultimo aspetto che il film dell’Archibugi mostra uno dei punti deboli più evidenti. Dovendo gestire un corpo letterario ampio e frammentario, ha optato per una fedeltà quasi assoluta. Una scelta che sullo schermo si traduce in una narrazione dalle tempistiche infinite, quasi dilatate, che rendono il romanzo un’esperienza più agevole e affrontabile. Ancora una volta, dunque, dal rapporto tra letteratura e cinema la prima esce vittoriosa. Questa volta, però, per essere portatrice di una maggiore leggerezza, nonostante la tematica spesso dolorosa, rispetto allo sviluppo infinito e fin troppo esaustivo del film. Là dove Veronesi lascia lo spazio al lettore d’immaginare e sentire l’evolversi emotivo di tutta una vita, infatti, l’Archibugi ha deciso di mostrare ogni singola emozione, quasi senza limiti, riuscendo solo a stigmatizzare il concetto di sofferenza all’interno di un dramma borghese piuttosto scontato. Un risultato finale che, nonostante l’utilizzo di tutti i migliori interpreti del panorama italiano, non riesce a non mostrare le sue incertezze.

Un uomo perbene

Il colibrì, Pierfrancesco Favino in una scena del film
Il colibrì, Pierfrancesco Favino in una scena del film di Francesca Archibugi

L’intera vicenda gira interamente intorno al personaggio di Marco Carrera. Ogni singolo evento che accade viene letto, raccontato e interpretato attraverso il suo sguardo e, soprattutto, la sua personale reazione al dolore che ha il sapore di una muta accettazione. Un lasciarsi portare dalla vita scorgendo, di tanto in tanto dei segnali per procedere. Non è un caso, dunque, che sia proprio lui a essere chiamato il colibrì, un uccello dalle piccole dimensioni ma, soprattutto, non incline a lasciare la sua casa. Una descrizione perfettamente calzante al carattere di Marco che, considerato fisicamente troppo minuto dal padre durante l’infanzia, ha risolto questo problema per trasformarsi in un essere umano il cui scopo sembra essere comprendere, accettare e non mutare mai indole.

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In questo modo, dunque, si tratteggia il profilo di un uomo perbene che sembra collocarsi in modo naturale al di sopra di qualsiasi errore o eccesso, accettando pacificamente quelli degli altri. Deciso sempre a fare la cosa giusta, Marco si fa carico di una famiglia d’origine disfunzionale, della morte di una sorella, di un amore mai concretizzato, di una moglie con problemi comportamentali e di una figlia destabilizzata dalla sua stessa fantasia. Un confronto, dunque, senza scampo con la vita, che si traduce soprattutto in un rapporto con il femminile che trova la sua forma compiuta solo alla fine del percorso. Nonostante ci si trovi di fronte a una figura positiva, però, questa sorta di agiografia del personaggio appare forzata, quasi artificiosa. Perché nessuno è in grado di sopportare un tale carico di dolore senza dare sfogo a ciò che appesantisce l’animo. A questo effetto estraniante, contribuisce inoltre, anche l’interpretazione di Pierfrancesco Favino che, pur giusta dal punto di vista tecnico e concettuale, amplifica il senso di fastidio di fronte all’infinita comprensione di cui sembra capace il suo personaggio. Un effetto che si evidenzia nel momento in cui il protagonista si confronta con le donne della sua vita, tutte reattive e normalmente imperfette.

Il dolore della borghesia

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Berenice Bejo e Pierfrancesco Favino in una scena di Il colibrì

Altro elemento che definisce Il colibrì, così come il romanzo da cui è tratto anche se in modo meno evidente, è il dolore o, meglio, i molti modi in cui può essere affrontato. In questo caso l’intero cast viene coinvolto in una narrazione più variegata in cui vengono messe in evidenza attitudini e forme reattive del tutto personali. In questo insieme, ancora una volta spicca il comportamento di Marco che sceglie una sorta di resistenza passiva, quasi aspettando che il peggio passi. In realtà, sembra  che non senta di meritare l’esternazione del proprio dolore. Figlio di una borghesia basata sull’impegno culturale e sulla libertà di pensiero, è cresciuto all’ombra di un privilegio economico e sociale che ha ripagato ampiamente a causa delle personalità fin troppo pirotecniche dei suoi genitori.

Ai loro confronti concitati, dunque, risponde con uno stile di vita silente anche nei confronti del dolore che non lo risparmia. Una serie di eventi che, a prima vista, non sembrano mai determinare una decisione netta da parte sua ma rappresentano una sorta di forte corrente che lo trascina. In questo senso, dunque, ne Il colibrì non ci si trova certo di fronte a un personaggio decisionista se non nella fase finale in cui, inaspettatamente, decide realmente per se stesso senza chiedere il permesso a nessuno, guadagnandosi il centro della scena fino all’ultimo fotogramma.

Il colibrì, la locandina del film

Scheda

Titolo originale: Il colibrì
Regia: Francesca Archibugi
Paese/anno: Francia, Italia / 2022
Durata: 126’
Genere: Drammatico
Cast: Pierfrancesco Favino, Bérénice Bejo, Pietro Ragusa, Benedetta Porcaroli, Cristiano Piacenti, Kasia Smutniak, Alessandro Tedeschi, Nanni Moretti, Sergio Albelli, Francesca De Martini, Fotinì Peluso, Laura Morante, Marlo DiCrasto, Matilda Grace Marini
Sceneggiatura: Francesca Archibugi, Francesco Piccolo, Laura Paolucci
Fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Esmeralda Calabria
Musiche: Battista Lena
Produttore: Domenico Procacci, Anne-Dominique Toussaint
Casa di Produzione: Orange Studio, Fandango, Rai Cinema, Les Films des Tournelles
Distribuzione: 01 Distribution

Data di uscita: 14/10/2022

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Fin da bambina, ho sempre desiderato raccontare storie. Ed eccomi qui, dopo un po’ di tempo, a fare proprio quello che desideravo, narrando o reinterpretando il mondo immaginato da altri. Da quando ho iniziato a occuparmi di giornalismo, ho capito che la lieve profondità del cinema era il mio luogo naturale. E non poteva essere altrimenti, visto che, grazie a mia madre, sono cresciuta a pane, musical, suspense di Hitchcock, animazioni Disney e le galassie lontane lontane di Star Wars; e un ruolo importante l’ha avuto anche il romanticismo di Truffaut. Nel tempo sono diventata giornalista pubblicista; da Radio Incontro e il giornale locale La voce di Roma, passando per altri magazine cinematografici come Movieplayer e il blog al femminile Smackonline, ho capito che ciò che conta è avere una struggente passione per questo lavoro. D’altronde, viste le difficoltà e le frustrazioni che spesso s’incontrano, serve un grande amore per continuare.

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