BLAIR WITCH

BLAIR WITCH

Tentando di ricollegarsi a un oggetto di culto come il primo The Blair Witch Project, Adam Wingard confeziona con Blair Witch uno stanco remake: un prodotto tutto teso all’impossibile proposito di replicare un risultato che fu strettamente figlio dei suoi tempi.

Suggestioni non replicabili

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Sono passati 17 anni dalla misteriosa scomparsa di Heather Donaue e dei suoi amici nella foresta di Black Hills, e dal ritrovamento della drammatica videocassetta che documenta le loro ultime ore. Da allora James, fratello della ragazza, non ha mai smesso di interrogarsi e di indagare su ciò che davvero accadde a Heather, e sulla leggenda legata alla strega di Blair. La comparsa, su Youtube, di un filmato che sembra collegato agli eventi che coinvolsero sua sorella spinge James a mettersi in viaggio insieme ai suoi amici. Il gruppo si imbarcherà in una spedizione nei boschi, alla ricerca della misteriosa costruzione ritratta dal video postato in rete: ma presto i giovani avvertiranno una presenza malvagia intorno a loro, e si renderanno conto che la leggenda è più reale di quanto non credessero.

17 anni, nella finzione come nella realtà. Questo il lasso di tempo intercorso da quando The Blair Witch Project fece la sua irruzione nelle sale di tutto il mondo: film a suo modo seminale, quello di Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez, che divenne un vero e proprio “caso” cinematografico e inaugurò un filone (quello del found footage horror) che si sarebbe rivelato fecondo quanto altalenante nei risultati qualitativi. Un’opera che fu tra le prime a sfruttare il potere del passaparola in rete, e che si giovò di una campagna promozionale che (complice il look da cinéma vérité applicato all’horror) giocava abilmente con la natura delle sue immagini, arrivando persino a ingannare alcuni spettatori sul loro carattere fittizio.

Ora, dopo il deludente sequel del 2000, questo Blair Witch punta a risalire alla fonte, ricollegandosi direttamente agli avvenimenti del film originale, e adottandone la medesima impostazione estetica: il film mostra un ipotetico montaggio delle immagini realizzate dai protagonisti (ognuno dotato di una microcamera all’altezza degli occhi) durante la loro escursione nei boschi di Black Hills. Ad alternarsi a queste ultime, le riprese di un drone che, volteggiando sopra la zona, ne rivela la natura di luogo “altro” e onirico, dimora di un potere sovrannaturale che di nuovo si vuole documentato in modo diretto, saltando tutte le mediazioni estetiche e narrative proprie del cinema.

A dirigere il film, uno dei nomi più interessanti del nuovo cinema del’orrore, quell’Adam Wingard impostosi all’attenzione internazionale con l’originale You’re Next (nonché già avvezzo ai territori del found footage con i recenti horror antologici V/H/S e V/H/S 2). Myrick e Sanchez fungono qui da produttori esecutivi, in un prodotto dal budget quasi centuplicato (complice la co-produzione della Vertigo, già responsabile dei remake di Oldboy e Poltergeist) rispetto a quello del suo diretto predecessore.

Il film di Wingard ha dalla sua il fascino dell’ambientazione, sempiterna fonte di inquietudine per una storia che punta all’immediatezza, a una concezione tutta fisica e ben poco ragionata della paura. L’idea delle microcamere indossate dai protagonisti risolve nel modo più semplice l’annoso problema del genere (perché i personaggi continuano a riprendere, quando si pone un pericolo immediato per la loro vita?); mentre la presenza del drone, con le sue immagini aeree che documentano la natura metafisica (e potenzialmente sconfinata) del luogo che imprigiona i protagonisti, garantisce al film un importante surplus di inquietudine.

La folgorante intuizione alla base del primo The Blair Witch Project, così com’era, non è tuttavia, semplicemente, replicabile. Prova di ciò sta nella sempre minor efficacia dei tanti prodotti derivati (a cominciare dalla saga di Paranormal Activity) che hanno rapidamente portato a saturazione il filone: il pubblico, nel frattempo, si è fatto più smaliziato, e gli stessi gusti spettatoriali si sono rapidamente evoluti. Questo Blair Witch, più che un sequel, si rivela uno stanco remake del film del 1999, confuso e privo di tensione; un prodotto che, cercando maldestramente di trasmettere paura, riesce solo a saturare i sensi di caos visivo e urla.

In più, il film di Wingard non ha nemmeno il coraggio di seguire fino in fondo i suoi (comunque in partenza fallimentari) propositi: Blair Witch presenta infatti un montaggio evidentemente cinematografico, organizzato nel segno del campo e controcampo, o addirittura delle inquadrature in dettaglio; un’impostazione che stride fortemente col carattere teoricamente genuino e “grezzo” delle immagini presentate. Un sequel, quindi, arrivato ampiamente fuori tempo massimo, privo di qualsivoglia ragionamento sul come aggiornare le premesse del prototipo (ammesso che ciò fosse possibile), stancamente teso a replicare le basi di un modello che, per il suo inscindibile legame con un preciso periodo storico, resta fatalmente non replicabile.

Blair Witch poster locandina

Scheda

Titolo originale: Blair Witch
Regia: Adam Wingard
Paese/anno: Stati Uniti, Canada / 2016
Durata: 90’
Genere: Horror
Cast: Callie Hernandez, Brandon Scott, Corbin Reid, James Allen McCune, Valorie Curry, Wes Robinson
Sceneggiatura: Simon Barrett
Fotografia: Robby Baumgartner
Montaggio: Louis Cioffi
Musiche: Adam Wingard
Produttore: Chris Harding, Simon Barrett, Adam Wingard, Steven Schneider, Jessica Calder, Roy Lee, Keith Calder
Casa di Produzione: Snoot Entertainment, LionsGate, Vertigo Entertainment, Room 101
Distribuzione: Eagle Pictures

Data di uscita: 21/09/2016

Trailer

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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