SORRY WE MISSED YOU

SORRY WE MISSED YOU

Tre anni dopo la sua seconda Palma d’Oro, Ken Loach torna a Cannes con una storia di precarietà e affetti familiari: Sorry We Missed You è un ulteriore, prezioso tassello di una storia ancora in itinere, che il regista sta scrivendo col suo cinema da ormai un cinquantennio.

Familiari precarietà

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Sono passati tre anni dall’ultima, trionfale apparizione di Ken Loach sulla Croisette, quando il suo Io, Daniel Blake gli fece ottenere per la seconda volta il prestigioso riconoscimento della Palma d’Oro. Tre anni in cui molto è cambiato, nella situazione politica inglese, tra l’esito del referendum sulla Brexit, l’instabilità politica e l’incerta collocazione internazionale del paese guidato da Theresa May; tre anni in cui le endemiche tensioni con Scozia e Irlanda sono state rinfocolate dalla mutata situazione politica. Loach, con questo Sorry We Missed You, sceglie di non parlare di tutto questo; e sceglie di non farlo consapevolmente, relegando implicitamente questi argomenti a quisquilie per borghesi annoiati, lontani dalla carne e dal sangue del paese reale. Perché nulla è cambiato, di fatto, da quando il personaggio del falegname di Newcastle aveva condotto, nel precedente film, la sua personale battaglia contro la burocrazia al servizio del capitale. Gli effetti della crisi del 2008 continuano a proiettare la loro ombra lunga sul proletariato inglese, mentre lo smantellamento dei diritti è un dato assodato, un processo storico che prescinde da qualsiasi cambio di governo: si tratta solo di sviscerarne, di film in film, tutti i diversi aspetti.

A essere messa sotto la lente di ingrandimento del regista, stavolta, è la situazione di una delle nuove categorie di lavoratori della cosiddetta società postindustriale, quelle spesso citate – non sempre con cognizione di causa – dall’informazione mainstream. L’apertura con lo schermo nero, con in sottofondo il lungo dialogo tra il protagonista e il suo futuro datore di lavoro, è puro Loach: scarnificato, essenziale, antididascalico. Quando le immagini arrivano, queste sono in uno sgranato e denso 16mm; il personaggio che conduce il colloquio presso un’agenzia di consegne parla di autoimpiego, di attività autonoma, di guadagni proporzionati all’impegno. Vuote formule standardizzate di un rituale che, dall’inizio del millennio, si ripete sempre uguale a se stesso. Ma Ricky, ex operaio edile con una moglie e due figli adolescenti, ha bisogno di lavorare; così accetta la presunta attività autonoma in franchise, vende l’auto costringendo sua moglie, badante, a recarsi in autobus presso le varie famiglie in cui presta servizio, acquista un furgone e inizia le consegne. Il lavoro, pur duro, sembra all’inizio portare i frutti sperati; ma quando l’irrequieto figlio di Ricky si mette nei guai, i problemi familiari finiscono per ripercuotersi a cascata sul lavoro, mettendone a nudo il carattere di selvaggio sfruttamento.

C’è sempre, nei film di Loach, un elemento di carattere solidaristico, che funge da fattore di reazione ai dolori e alle sofferenze dei protagonisti, controbilanciando in qualche modo la morsa di sfruttamento portata dal sistema sull’individuo. Se nel film precedente questo elemento era costituito da un’amicizia speciale, che diveniva motore di una lotta, in Sorry We Missed You il regista va a esplorare direttamente il nucleo primario della società umana, spogliandolo di tutte le connotazioni religiose di cui negli ultimi anni è stato caricato, trattandolo laicamente come esempio basilare di comunità di affetti. Raramente, negli ultimi anni, la famiglia proletaria è stata indagata dal cinema con tanto acume e precisione: Loach, spostando la sua ottica dal generale al particolare, ne cattura qui acutamente le dinamiche, mantenendo coi suoi personaggi un’empatia che non esclude l’approccio scientifico che gli è tipico – figlio della sua formazione marxista – né la lucidità del discorso politico che ne consegue. La famiglia della classe operaia inglese, nel 2019, è a rischio disgregazione, attaccata dalla precarizzazione sempre più generalizzata del lavoro, impossibilitata persino a riunirsi in una qualsiasi ora della giornata sotto lo stesso tetto. Eppure, è un nucleo forte di solidarietà che resiste, caricata della dignità del suo carattere di gruppo primario, conflittuale al suo interno eppure compatta quando viene attaccata da fuori.

La narrazione di Sorry We Missed You procede nell’esplorazione parallela delle esistenze (forzatamente separate) di Ricky e di sua moglie Abby, mostrandone la dignità, mettendo persino in evidenza, nel caso della donna, il sincero amore per il suo lavoro e per la carica umana di cui è rivestito; a essere portati direttamente sotto gli occhi dello spettatore sono i tratti di un’etica che prescinde da qualsiasi legalismo, nata direttamente, nel caso di Ricky, dalla vita in strada e dal contatto con la marginalità. Le sirene di un’esistenza criminale – nella visione di Loach del tutto funzionale alle logiche del sistema e alla sua preservazione – sono sempre lì a tentare l’irrequieto Seb, più volte evocate ma faticosamente tenute lontane dall’azione di suo padre. Questi, da par suo, dovrà rendersi presto conto dell’illusorietà delle promesse cui ha creduto, dell’attacco che il nuovo lavoro sta portando alla sua vita nel suo complesso, di una precarizzazione che progressivamente, da lavorativa, diviene affettiva, familiare, esistenziale. La retorica del lavoro “autonomo” e del self made man, lascito thatcheriano adeguato ai tempi, viene irrisa e smontata nella sua evidente illusorietà: anche laddove la classe operaia ha smesso la tuta e l’elmetto, sembra dirci Loach, le sue istanze, derivate dalle condizioni materiali di vita, non sono cambiate. Gli Zero-hour contract, categoria di lavoratori inglesi equiparati ai nostri parasubordinati, non necessitano di tutele “speciali”, o diverse da quelle della normale attività sindacale, come troppo spesso l’informazione borghese continua a ripetere: necessitano semplicemente di veder riconosciuta la loro realtà di precari privi di diritti, oggetto di uno sfruttamento che ha portato le lancette dell’orologio della storia indietro di oltre un secolo.

In Sorry We Missed You (il senso del titolo diventa evidente nell’ultima scena) Ken Loach porta avanti il suo discorso con la consueta mistura di lucidità e vibrante partecipazione, fidando ancora una volta sull’equilibrato script di Paul Laverty, mettendo un altro importante tassello su una filmografia che è uno studio – orgogliosamente “parziale”, quanto appassionato – sulla società britannica e su quella occidentale tout court, nel corso dell’ultimo cinquantennio. Il registro scarno ed essenziale della narrazione, esaltato dall’uso del 16mm e dalla sua consistenza densa, granulosa e quasi tridimensionale, si apre a tratti a momenti di palpitante partecipazione emotiva, che tuttavia non fanno perdere di vista l’orizzonte ideale, e le istanze di base, all’interno del quale il progetto si muove. L’esito è incerto, ma in fondo non potrebbe essere altrimenti: la lunga storia che il regista sta scrivendo col suo cinema, storia che si sovrappone a quella della contemporaneità, è ben lungi dal vedere una conclusione.

Scheda

Titolo originale: Sorry We Missed You
Regia: Ken Loach
Paese/anno: Francia, Regno Unito, Belgio / 2019
Durata: 100’
Genere: Drammatico
Cast: Charlie Richmond, Debbie Honeywood, Maxie Peters, Alberto Dumba, Christopher John Slater, Heather Wood, Jordan Collard, Julian Ions, Katie Proctor, Kris Hitchen, Natalia Stonebanks, Rhys Stone, Ross Brewster, Sheila Dunkerley
Sceneggiatura: Paul Laverty
Fotografia: Robbie Ryan
Montaggio: Jonathan Morris
Musiche: George Fenton
Produttore: Rebecca O'Brien, Philippe Logie
Casa di Produzione: Why Not Productions, Les Films du Fleuve, Sixteen Films
Distribuzione: Lucky Red

Data di uscita: 02/01/2020

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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