VIDEODROME
L’opera più teorica e forse più libera di David Cronenberg, manifesto di una poetica e di un intero filone (il body horror), Videodrome resta un film fondamentale per comprendere l’idea di cinema del suo autore, oltre che una fotografia allucinata, allegorica ma non per questo meno reale, di un intero periodo storico.
Carne catodica
Negli anni ‘80, gli anni dell’edonismo e del disimpegno per eccellenza, quelli di un immaginario sempre più plastificato, il cinema horror era come un corpo estraneo, una specie di virus capace di svelare il reale volto della società occidentale, nascosto dietro i suoi lustrini e la sua facciata levigata. In particolare il body horror, quella declinazione del genere che aveva nella mostra esplicita delle mutazioni corporali il suo cardine, era quanto di più sovversivo e teorico si potesse trovare all’interno del genere. Di un filone da lui stesso avviato, con importanti germi posti nel decennio precedente (si pensi a pellicole come Brood – La covata malefica o Rabid – Sete di sangue), David Cronenberg è stato probabilmente l’esponente più coerente – e insieme più radicale. E probabilmente non c’è, nella sua filmografia, un’opera più coerente e più teorica di Videodrome, sorta di film-manifesto per tutto il filone. Un film che andava a mettere in scena in modo diretto la società delle immagini degli eighties, e in particolare quel medium, la televisione, che proprio allora sempre più potere stava assumendo. Cronenberg ne fa nel film una potente e allucinata allegoria, ancora oggi insuperata per impatto estetico.
Protagonista del film è Max Renn, proprietario dell’emittente via cavo Civic TV, specializzata in contenuti violenti e pornografici. Uno dei dipendenti di Max, Harlan, gli rivela un giorno di aver captato e registrato un segnale video clandestino, di provenienza sconosciuta, che mostra scene di stupri, violenza e omicidi in modo incredibilmente realistico. Max, incuriosito e suo malgrado affascinato dalle immagini, decide di indagare per scoprire la provenienza del segnale. L’emittente, Videodrome, sembra trasmettere dagli stessi Stati Uniti, nella non lontana città di Pittsburgh. Nel frattempo, l’uomo inizia una relazione con la conduttrice radiofonica Nicki Brand, che lo aveva apertamente criticato durante una diretta televisiva; la donna si rivela avere impensate tendenze masochiste, e quando Max le mostra la cassetta con le immagini di Videodrome, resta a sua volta catturata dalla strana, brutale malia dei filmati. Ma Max dovrà presto rendersi conto che Videodrome stessa è qualcosa di più (e di più pericoloso) di una semplice emittente televisiva.
L’allegoria di una dipendenza
Punto più alto della poetica cronenberghiana, incubo palpitante che fonde horror e allucinate suggestioni cyberpunk, Videodrome mette in scena il potere pervasivo del medium televisivo, capace di condizionare prima i pensieri, poi la percezione della realtà, e infine il corpo stesso dei suoi fruitori. Max, un perfetto e cinico James Woods, è praticamente sempre circondato da schermi televisivi: nella sequenza iniziale, è proprio una sveglia televisiva ad accompagnare la sua emersione dal sonno, mentre intorno a lui i teleschermi sono sempre accesi, come entità vive. Il contatto con Videodrome non fa che portare alle estreme conseguenze le basi dell’esistenza stessa del protagonista; il sesso e la violenza direttamente mostrati, la brama di potere (economico prima, carnale e sessuale poi), la vera e propria dipendenza dalle immagini. Come il già citato Rabid – Sete di sangue, Videodrome è innanzitutto l’allegoria di una dipendenza, capace di consumare prima la mente e poi il corpo di chi ne è affetto, mandando in frantumi i confini tra realtà e allucinazione, e inglobando fisicamente dentro di sé il protagonista. Max Renn diventa egli stesso veicolo di un contagio che da incorporeo si fa fisico, ne ospita nel suo corpo (letteralmente) gli strumenti, ne diviene (in)consapevole apostolo.
Il villaggio globale si fa carne
Si fanno sempre più sfumati, durante il film di Cronenberg, i confini di ciò che è reale e di ciò che non lo è, con un incubo a occhi aperti che lentamente avviluppa il protagonista, il cui punto di vista si sovrappone interamente a quello spettatoriale. Realtà e incubo si confondono, ma anche i personaggi stessi si sovrappongono e cambiano identità; in particolare, quello di Niki (Debbie Harry, qui al suo primo ruolo di una certa rilevanza) diventa presenza costante – e conturbante – che attraversa l’intera trama, a dispetto della sua apparente uscita di scena nella prima mezz’ora. Smaterializzato e (forse) morto, il corpo della donna ritrova la sua fisicità nel mezzo televisivo, fondendosi in esso in una perfetta raffigurazione, e prefigurazione, della “nuova carne”. Parallelamente allo scorrere dell’incubo di Max, si sviluppa una deragliante narrazione noir, con l’entità-Videodrome rappresentata come un centro di potere, fisico e mentale; un’entità politica capace di autorigenerarsi e pronta a diffondere il suo influsso sull’intera umanità. Nel mezzo, corpi che diventano alloggio organico di oggetti e armi, tubi catodici e videocassette che respirano e palpitano come esseri senzienti, immagini erotiche che coinvolgono tanto gli individui quanto (ancora una volta) gli schermi televisivi. Il “villaggio globale” prefigurato dal sociologo Marshall McLuhan (non a caso ex docente universitario del regista, e ispiratore della figura del “profeta” O’Blivion), con la sua capacità di veicolare rapidamente informazioni, perde la sua natura immateriale per farsi di nuovo carne, come una divinità scesa tra gli umani e divenuta corpo, nervi e sangue; e la “chiesa catodica” raffigurata nel film, colpo di genio della sceneggiatura sospeso anch’esso tra realtà e follia, è in questo senso esemplificativa.
Il body horror e le sue declinazioni
Opera di genere quanto intimamente autoriale, capace di risultare tuttora moderna malgrado il suo legame strettissimo col periodo in cui fu concepita, Videodrome rappresentò la consacrazione per un regista come David Cronenberg, forse il suo film più libero (e quello in cui ebbe maggior libertà artistica) seguito al successo del precedente Scanners. In quello stesso anno, il body horror di Cronenberg si farebbe fatto più astratto in La zona morta, spostandosi dalle mutazioni corporali a quelle della mente, in un apparente cedimento al mainstream che in realtà non spostava di un millimetro i punti saldi della poetica del regista. Da allora, con la parziale eccezione del successivo La mosca (1986), l’approccio al genere da parte di Cronenberg si sarebbe fatto sempre più personale e svincolato da regole e paletti, a volte diventando totalmente cerebrale e narrativo (Inseparabili, M. Butterfly), altre volte accettando la sfida di filmare ciò che è per sua natura non filmabile (Il pasto nudo). Tornare a Videodrome, di tanto in tanto, è comunque un’operazione fondamentale per avere ben chiara in mente l’idea di cinema del regista, insieme alla sua capacità di fotografare (in modo distorto, allegorico ma non per questo meno reale) un intero periodo storico.
Scheda
Titolo originale: Videodrome
Regia: David Cronenberg
Paese/anno: Stati Uniti, Canada / 1983
Durata: 87’
Genere: Horror, Fantascienza, Thriller
Cast: Peter Dvorsky, Bob Church, David Bolt, David Tsubouchi, Debbie Harry, Franciszka Hedland, Harvey Chao, Henry Gomez, Jack Creley, James Woods, Jayne Eastwood, Julie Khaner, Kay Hawtrey, Lally Cadeau, Leslie Carlson, Lynne Gorman, Reiner Schwarz, Sam Malkin, Sonja Smits
Sceneggiatura: David Cronenberg
Fotografia: Mark Irwin
Montaggio: Ronald Sanders
Musiche: Howard Shore
Produttore: Claude Héroux, Larry Nesis
Casa di Produzione: Universal Pictures, Famous Players Limited, Filmplan International, Guardian Trust Company, Canadian Film Development Corporation (CFDC)
Distribuzione: Taurus Cinematografica
Data di uscita: 14/08/1986