È STATA LA MANO DI DIO

È STATA LA MANO DI DIO

Paolo Sorrentino torna a Napoli e firma con È stata la mano di Dio il suo film più personale, intimo, umano e potente. Doppiamente premiato alla 78a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Vedi Napoli e poi diventi regista

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Era da vent’anni, quando presentò l’esordio L’uomo in più nella sezione Cinema del Presente (oggi l’incarnazione attuale di Orizzonti), che Paolo Sorrentino non portava un suo film alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, preferendo la vetrina primaverile di Cannes (ma è stato al Lido con i due progetti seriali The Young Pope e The New Pope). Un ritorno, quello di È stata la mano di Dio, altamente simbolico, poiché era dal 2001 che il regista partenopeo non ambientava una storia nella propria città, anche se la napoletanità non si è mai allontanata del tutto dalla sua opera, che sia per via indiretta (l’attore-feticcio Toni Servillo) o diretta (lo strepitoso Cardinale Voiello nelle due miniserie sul pontefice). E un ritorno che ha fatto breccia nel cuore di pubblico e addetti ai lavori, inclusa la giuria ufficiale che ha assegnato due riconoscimenti: il Gran Premio della Giuria e il Premio Mastroianni, quest’ultimo per l’interpretazione di Filippo Scotti. Un primo passo importante nel percorso del film, presentato anche a Zurigo e Lione (in entrambi i casi con masterclass di Sorrentino) e ora nelle sale prima di approdare su Netflix.

Calcio e cinema

È stata la mano di Dio recensione

Al netto del titolo, È stata la mano di Dio non è la storia di Diego Armando Maradona (anche se c’è chi ha cercato di fare causa al cineasta, a priori, per uso improprio dell’immagine del campione). Ma il suo spirito aleggia sull’intero lungometraggio, ambientato a Napoli negli anni Ottanta: siamo infatti nel periodo in cui si comincia a rumoreggiare del suo arrivo nella squadra calcistica partenopea, cosa che riempie di gioia il giovane tifoso Fabietto Schisa (Scotti), mentre il padre Saverio (Servillo) è scettico al riguardo. Gli animi in famiglia si infiammano non solo per la possibilità di avere il grande calciatore argentino nella squadra del cuore, ma anche per le tensioni dovute ai comportamenti licenziosi dell’emotivamente instabile zia Patrizia (Luisa Ranieri). Questi due fattori, uniti a un altro evento dalla portata tragica, segneranno le fasi finali dell’adolescenza di Fabietto, il quale comincia anche a coltivare sogni legati a un futuro da cineasta…

Dolore personale e universale

È stata la mano di Dio recensione

Fabietto è l’alter ego di Sorrentino, il quale porta sullo schermo, in forma romanzata, il proprio vissuto. Un vissuto doloroso, dato che il cineasta è rimasto orfano di entrambi i genitori all’età di sedici anni, e tale dolore è presente in ogni fotogramma del film. Ma è una sofferenza mista all’amore per una città, Napoli, personaggio a pari merito con le figure umane, e oggetto di uno dei momenti autoriflessivi più belli e divertenti, quando l’autore sembra rimproverare sé stesso per aver aspettato così a lungo prima di tornare a girare in terra partenopea. “Solo gli stronzi vanno a Roma”, viene rinfacciato a un certo punto a Fabietto, con la capitale ridotta a influenza indiretta tramite l’onnipresente VHS di C’era una volta in America. C’è anche Fellini, a cui Sorrentino è spesso accostato (a torto, dice lui), ma soprattutto c’è Antonio Capuano, di cui è stato collaboratore. Ma nessuno di questi tre elementi cinefili ha mai la meglio sulla componente più emozionale, quella associata alla rievocazione, triste ma al contempo intrisa di energia, di un periodo magico e tragico della vita del regista.

È il film più personale di Sorrentino, È stata la mano di Dio,quello più intimo, più umano, più divertente, più struggente. È l’unione ideale tra la sua grande maestria tecnica, che in precedenza portava a risultati che si potevano anche definire eccessivamente estetizzanti, e una carica emotiva fortissima, di grande e quasi insostenibile impatto. È al contempo la summa del suo cinema e un punto di rottura, un nuovo inizio: un ritorno alla giovinezza, dopo due decenni di storie di uomini dalla mezz’età in su (il più giovane è Servillo che sul set de L’uomo in più aveva 41 anni), per ripartire forse verso nuovi lidi cinematografici, con evoluzioni inedite all’interno della poetica di un autore che ha ridefinito – nel bene e nel male a seconda dei punti di vista – la caratura internazionale del cinema nostrano, con l’Oscar per La grande bellezza. Ma da allora sono passati alcuni anni, e ora la grande bellezza è quella del luogo natio, della giovinezza dolorosa ma anche formativa, del nuovo slancio vitale di una carriera eclettica. Per citare un altro titolo sorrentiniano, this must be the place.

È stata la mano di Dio poster locandina

Scheda

Titolo originale: È stata la mano di Dio
Regia: Paolo Sorrentino
Paese/anno: Italia / 2021
Durata: 131’
Genere: Drammatico
Cast: Toni Servillo, Lino Musella, Massimiliano Gallo, Renato Carpentieri, Luisa Ranieri, Dora Romano, Alessandro Bressanello, Betty Pedrazzi, Cherish Gaines, Ciro Capano, Alfonso Perugini, Biagio Manna, Birte Berg, Enzo Decaro, Filippo Scotti, Lubomir Misak, Marlon Joubert, Roberto Oliveri, Sofya Gershevich, Teresa Saponaggio
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino
Fotografia: Daria D’Antonio
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Musiche: Lele Marchitelli
Produttore: Lorenzo Mieli, Paolo Sorrentino
Casa di Produzione: The Apartment, Netflix
Distribuzione: lcuky red, Netflix

Data di uscita: 24/11/2021

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Giornalista e traduttore freelance, collabora con varie testate in Italia e Svizzera e con festival come Locarno e la Berlinale. Ama la sala, ma non disdegna le piattaforme.

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