IL MONELLO DI CHARLIE CHAPLIN – I CENTO ANNI DI UN CLASSICO INTRAMONTABILE

IL MONELLO DI CHARLIE CHAPLIN – I CENTO ANNI DI UN CLASSICO INTRAMONTABILE

Charlie Chaplin è meritatamente considerato uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Un artista poliedrico, che ha messo in scena storie universali, le quali a loro volta, anche a distanza di parecchi decenni, ci sembrano ancora incredibilmente giovani. Il monello è considerato uno dei suoi massimi capolavori, che a distanza di cento anni continua a emozionare spettatori di tutte le età.

Un esordio folgorante, una perfetta armonia, una storia universale

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Un uomo con i baffi, la bombetta e un paio di scarpe logore siede a braccia conserte sui gradini di un portone. Accanto a lui, un bambino di cinque anni, uno sguardo sveglio e particolarmente maturo per la sua età, e un cappello in testa. Questa immagine, risalente a ben cento anni fa, è ormai famosa in tutto il mondo. I due personaggi sono il piccolo Jackie Coogan – che negli anni a venire avrebbe avuto una carriera fulminante – e il grande Charlie Chaplin, che non ha bisogno di alcuna presentazione. L’immagine è un fotogramma del film Il monello (The Kid), che, appunto, proprio quest’anno compie cento anni e che sta a rappresentare una svolta di grande importanza nella carriera del celebre regista, attore, compositore e produttore cinematografico.

L’inizio di un nuovo percorso

Quando Charlie Chaplin realizzò Il monello era già parecchio famoso. Celebre per aver dato vita al personaggio di Charlot – un maldestro vagabondo solito trovarsi in situazioni paradossali, che, nel divertire il pubblico con le sue gag, metteva in scena il profondo divario tra la classe benestante e gli emarginati – Chaplin era già considerato uno dei padri indiscussi della commedia slapstick e dopo parecchi anni di “gavetta” presso le case di produzione Mutual e Keystone, aveva ormai da tempo iniziato a dirigere da sé le sue commedie. Al punto da voler diventare finalmente “indipendente” e fondare la sua prima casa di produzione – la Charles Chaplin Productions. Il monello è stato prodotto proprio da quest’ultima e ha necessitato di una lavorazione lunga ben diciotto mesi. Un periodo, il presente, non particolarmente felice per Chaplin: suo figlio Norman Spencer era nato con gravi malformazioni e morto dopo soli tre giorni di vita, mentre il suo matrimonio con l’attrice Mildred Harris stava lentamente naufragando. Eppure, il genio non si è fermato. E, al contrario, ci ha regalato una storia irriverente e coraggiosa, una storia senza tempo, in cui risate e malinconia si incontrano per dar vita a una perfetta armonia.

Due solitudini si incontrano

Già, perché di fatto, nel mettere in scena la triste storia di un bambino abbandonato in fasce dalla propria madre, che non poteva permettersi di occuparsi di lui, e ritrovato quasi per caso da un buffo vagabondo, il quale, dopo aver tentato inizialmente di “sbarazzarsene” decide di tenerlo con sé e di crescerlo come un figlio, Charlie Chaplin ci ha fatto ridere. Spesso anche grazie a un umorismo nero a cui solo lui sapeva dar vita così bene. Ricchezza e povertà. I forti contro i più deboli. Lacrime e risate. Ne Il monello Chaplin ha messo in scena tutto questo, senza paura di osare, rivelandosi oltremodo coraggioso e lungimirante e abbracciando finalmente quello che sarebbe divenuto lo stile di ogni suo film a venire.

Ridere o piangere?

E, infatti, una profonda malinconia di fondo, “edulcorata” da una serie di gag di impronta slapstick a dir poco esilaranti, sarebbe divenuta il leit motiv di tutta la sua filmografia, nonché il marchio di fabbrica del suo cinema immortale. E pensare che, inizialmente, ci fu anche chi sconsigliò a Chaplin un simile approccio. Il pubblico voleva ridere. Aveva un disperato bisogno di ridere, soprattutto dopo la fine di un lungo conflitto bellico. Ma Charlie Chaplin questo lo sapeva bene. E, infatti, il pubblico rise. Rise nel vedere il vivace bambino tirare sassi alle vetrine dei negozi, per permettere al suo papà adottivo di lavorare andando a riparare i vetri. Rise ogni volta in cui il maldestro vagabondo si trovava in una situazione più grande di lui, ma, in qualche modo, riusciva sempre a venirne fuori. Ma, allo stesso tempo, il pubblico pianse nel momento in cui i due protagonisti rischiarono di venire separati per sempre, così come quando la madre del bambino si rese conto che quel piccolo mendicante a cui aveva regalato un giocattolo era proprio il figlio che anni prima aveva abbandonato. Ridere e piangere. Commuoversi per storie che trattavano tematiche a volte spinose, ma più che mai attuali, e ridere perché – proprio come Chaplin ci ha sempre comunicato – ogni problema può essere superato. Meglio se, nel frattempo, ci si fa una risata.

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Ieri come oggi

E così Il monello ebbe un successo planetario e si classificò addirittura come la seconda pellicola di maggiore incasso negli Stati Uniti nell’anno 1921. Questo folgorante esordio nel lungometraggio di Chaplin aveva lasciato il segno e avrebbe influenzato molte e molte altre pellicole a venire. Il personaggio di Charlot funzionava alla perfezione anche in un lungometraggio e all’interno di una storia più articolata (sebbene – ahimé – non sarebbe sopravvissuto, alcuni anni dopo, all’avvento del sonoro). Il piccolo Jackie Coogan divenne uno degli attori-bambini più richiesti a Hollywood e anche in età adulta avrebbe continuato con successo la sua professione. Charlie Chaplin – come ben sappiamo – è meritatamente considerato uno dei più grandi artisti di tutti i tempi. Un artista poliedrico, perfettamente in grado di rapportarsi a ogni compito (per questo suo lungometraggio, ad esempio, compose anche la colonna sonora durante una sua riedizione nel 1971), che ha messo in scena storie universali, le quali, a loro volta, anche a distanza di parecchi decenni, ci sembrano ancora incredibilmente giovani. Il monello è considerato uno dei suoi massimi capolavori e a distanza di cento anni continua a emozionare spettatori di tutte le età. Tutto il resto è Storia.

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Dopo la laurea in Lingue Moderne, Letterature e Scienze della Traduzione presso l’Università La Sapienza di Roma, mi sono diplomata in regia e sceneggiatura presso l’Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma, con un workshop di critica cinematografica presso il Centro Sperimentale di Cinematografia. Dal 2013 scrivo di cinema con il blog Entr’Acte, con il quotidiano Roma e con le testate CineClandestino.it, Mondospettacolo, Cabiria Magazine, e, ovviamente, Asbury Movies. Presidente del Circolo del Cinema "La Carrozza d'Oro", nel 2019 ho fondato la rivista Cinema Austriaco.

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