AMERICAN NIGHT, UN NOIR PSICHEDELICO MADE IN ITALY

AMERICAN NIGHT, UN NOIR PSICHEDELICO MADE IN ITALY

Diretto da Alessio Della Valle, American Night rappresenta un’esperienza insolita e nuova per il panorama produttivo italiano. A renderlo particolare un’attenzione meticolosa per un’ambientazione graficamente scura, accesa da colori che richiamano il mondo della pop art. E, nel mezzo di tutto questo, boss amanti dell’arte, trafficanti redenti e un corriere affetto da narcolessia.

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Se il tempismo è tutto nella vita, possiamo dire che American Night inizia il suo percorso nelle sale cinematografiche con il piede giusto. Il film, infatti, sarà al cinema dal 19 maggio e potrebbe cavalcare l’onda di attualità creata intorno alla Marylin di Andy Warhol. Alcuni giorni fa, infatti, uno dei suoi famosi ritratti è stato battuto all’asta per la cifra record di 195 milioni di dollari. Ma cosa c’entra la pop art e l’arte in generale con il noir psichedelico scritto e girato da Alessio Della Valle? Molto più di quanto si possa pensare. Al centro di questo racconto diviso in tre atti, infatti, c’è proprio il viaggio di una di queste litografie che, da un non ben identificato luogo asiatico, partecon un corriere per raggiungere New York. Questo prezioso oggetto deve essere consegnato nelle mani di qualcuno per motivi che, almeno all’inizio, non ci vengono resi noti. La cosa certa è che, grazie a questa icona bionda intramontabile, è possibile dare inizio a una serie di eventi a catena in cui protagonisti diversi incrociano le proprie strade nell’ombra dell’ambiguità. Un film, dunque, ambizioso sia per la scrittura che per la sua realizzazione, che vede la partecipazione di un cast internazionale. Accanto a Fortunato Cerlino, infatti, ci sono Paz Vega, Annabelle Belmondo e Emile Hirsch, arrivati a Roma per presentare il film. Grandi assenti, invece, Jonathan Rhys Meyers e Jeremy Piven.

Alessio, sappiamo che sei un appassionato d’arte e che, in passato, hai lavorato nel settore come fotografo e artista. Per questo motivo hai deciso di utilizzare la Marylin di Andy Warhol come escamotage narrativo per dare inizio al tutto?
Alessio
Della Valle: Il film prende il via proprio dal furto di questo quadro e dal desiderio che hanno tutti di possederlo. Ho pensato che a rendere tutto così desiderabile, oltre al valore dell’opera, sia proprio il fascino di un’icona intramontabile. Per questo motivo, dunque, ho voluto giocare proprio su questo concetto, andando a modificarlo di volta in volta. Cosa vuol dire questo? Ho voluto prendere delle icone, come anche il quadro Coca Cola di Schifano e altri simboli storici del costume, per trasformarli in un nuovo concetto iconico. Stesso approccio è stato utilizzato per la musica. Dei pezzi molto famosi e classici sono stati completamente riscritti e non reinterpretati. In questo modo avviene la trasformazione in altro.

American Night, Paz Vega in una scena
American Night, Paz Vega in una scena del film

Quanta importanza ha avuto l’arte nella tua vita?
Alessio Della Valle:
L’arte ha un ruolo fondamentale da molti anni. In passato, com’è stato detto, mi sono misurato con la fotografia e la pittura. Tutto è iniziato quando avevo appena 17 anni. Ricordo di essere stato coinvolto nella realizzazione di un affresco all’interno di una chiesa di Firenze. All’epoca non avevo ben chiaro con cosa mi sarei confrontato. Poi l’ho scoperto trovandomi a passare parte del mio tempo su di un’impalcatura con un pennello in mano. Stavo veramente contribuendo a creare un affresco. In senso più universale, poi, credo che l’arte e l’impulso di creare siano insiti dentro di noi fin dall’epoca primitiva. È l’unica cosa che ci fa sentire effettivamente degli esseri umani.

Il film ha una struttura complessa, visto che mette in scena più personaggi per poi far convergere le loro strade nel finale. Come sei riuscito a ordinare e organizzare tutto questo materiale narrativo in fase di scrittura?
Alessio Della Valle:
La mia tecnica è stata particolare, forse bizzarra, ma efficace. Innanzitutto ho capito subito che non avrei mai potuto scrivere questa storia con il computer. Così ho preso carta e penna. Nonostante questo, però, non ho iniziato dalla storia. Piuttosto ho preferito scrivere delle lettere che ogni personaggio scambiava con gli altri. Al loro interno ho iniziato a inserire una grande quantità di dettagli sulle loro vite. In totale sono arrivato a ottenere ben 300 lettere. Procedendo in questo modo ho costruito un universo all’interno del quale tutti loro erano assolutamente reali e plausibili. Delle informazioni contenute all’interno di questi fogli, però, ne ho usate ben poche pur dando materialità e concretezza ai personaggi. Un altro step fondamentale, poi, è stata l’organizzazione di una parete in cui ho diviso in ordine i personaggi “buoni” da quelli “cattivi”. In questo modo è stato possibile creare le connessioni e gli incroci con loro. Insomma, un lavoro apparentemente complesso ma molto efficace.

American Night, Fortunato Cerlino in una scena
American Night, Fortunato Cerlino in una scena del film

Fortunato, in questo film hai il ruolo di un corriere un po’ incapace o, quanto meno, sfortunato. Com’è stato vestire questo ruolo?
Fortunato Cerlino:
Non ci crederete ma, prima di Gomorra, ero piuttosto quotato come attore capace di utilizzare la vena comica. Il lavoro, però, mi ha portato verso altri lidi interpretativi. Detto questo, mi è piaciuto vestire il ruolo di quest’uomo in eterno ritardo sugli eventi che lo circondano. Per non parlare del piacere di essere in un film così particolare, soprattutto per gli standard produttivi italiani. Io credo, poi, che un valore maggiore sia venuto da una produzione totalmente al femminile. Quando si parla con gli uomini, infatti, si fa solo riferimento ai soldi e al business. Nei nostri incontri, invece, la produzione aveva uno sguardo completamente diverso. Si occupava della storia e rimaneva affascinata dai personaggi. Un’esperienza che ha rimarcato ancora di più una mia teoria; abbiamo bisogno del punto di vista femminile e delle voci delle donne. Una necessità sempre più urgente in ogni campo della vita e della creatività.

Emile Hirsch, in questo film interpreti Rubino, un giovane boss con la passione per l’arte. Questo ruolo ha rappresentato una sfida?
Emile Hirsch:
Questo ruolo è stato particolarmente stimolante. Rubino, in effetti, è un boss della mafia ma è anche un artista. Mettere insieme questi due aspetti così diversi è stato divertente. L’arte, inoltre, è destinata a rivelare molto di noi stessi. Per quanto riguarda il mio personaggio, svolge questa funzione che gli rivela il suo vero io, che però è mostruoso. In questo modo, dunque, non c’è risoluzione se non la distruzione.

Rubino è giovane, eredita l’impero e il potere del padre ma, nel suo cuore, avrebbe voluto essere altro. Per finire, poi, si chiama Michael e diventa un efferato assassino. Tutti questi elementi sono conosciuti agli appassionati di cinema e riportano alle atmosfere de Il padrino di Francis Ford Coppola. Quanto ti sei ispirato ad Al Pacino per il tuo ruolo?
Emile Hirsch:
Assolutamente. Ho cercato di attingere a piene mani dalla sua interpretazione. Di Pacino ho amato la durezza interiore che, però, non è mai espressa in modo vistoso o esibizionista. Si tratta di una performance quasi minimalista, andando a ribasso nella ricerca delle emozioni. Devo confessare, però, che spesso mi trovo a “rubare” dalle interpretazioni degli altri quello che può essere di ispirazione per le mie.

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Fin da bambina, ho sempre desiderato raccontare storie. Ed eccomi qui, dopo un po’ di tempo, a fare proprio quello che desideravo, narrando o reinterpretando il mondo immaginato da altri. Da quando ho iniziato a occuparmi di giornalismo, ho capito che la lieve profondità del cinema era il mio luogo naturale. E non poteva essere altrimenti, visto che, grazie a mia madre, sono cresciuta a pane, musical, suspense di Hitchcock, animazioni Disney e le galassie lontane lontane di Star Wars; e un ruolo importante l’ha avuto anche il romanticismo di Truffaut. Nel tempo sono diventata giornalista pubblicista; da Radio Incontro e il giornale locale La voce di Roma, passando per altri magazine cinematografici come Movieplayer e il blog al femminile Smackonline, ho capito che ciò che conta è avere una struggente passione per questo lavoro. D’altronde, viste le difficoltà e le frustrazioni che spesso s’incontrano, serve un grande amore per continuare.

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