TOY STORY, LA SAGA PER RIMANERE ETERNI BAMBINI

TOY STORY, LA SAGA PER RIMANERE ETERNI BAMBINI

In attesa dell’uscita della nuova creatura Pixar, incentrata sulle avventure spaziali di Buzz Lightyear, facciamo un viaggio nella memoria per ripercorrere le tappe più importanti di Toy Story. Una saga che ha segnato la crescita della Pixar e, forse, anche la nostra.

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Quante volte, quando eravate bambini, avete creduto o segretamente sperato che i vostri giocattoli prendessero vita durante la notte o nei momenti di solitudine? Quante volte vi siete crogiolati nell’idea che avessero dei pensieri, una voce e capacità d’interagire tra di loro, continuando a vivere le infinite avventure che, durante i pomeriggi di giochi, avevate inventato per loro? Ecco, questo mondo di sfrenata fantasia dove nulla sembra effettivamente impossibile è destinato a scomparire con il sopraggiungere dell’età adulta, lasciando il posto a razionalità e ragionamento. Fortunatamente, però, non per tutti è così. C’è una categoria di sognatori che continua a fabbricare mondi immaginari in cui far parlare i propri giocattoli, regalando ad altri, adulti altrettanto aperti all’impossibile, il gusto di tornare indietro nel tempo lasciando spazio a quel famoso fanciullo che vive e prospera all’interno dei loro cuori. Ecco, il team di creativi della Pixar fa parte di questa sorta di categoria di bambini senza età, il cui scopo è progettare infiniti universi narrativi per chi, come loro, crede ancora che sia possibile trovare uno spazio per il gioco e lo stupore. Non è un caso, dunque, che la saga di maggior successo di questo gruppo creativo sia stata proprio Toy Story. Una narrazione che sembra proprio non aver intenzione di finire, visto che, dopo il quarto capitolo datato 2019, il 16 maggio uscirà Lightyear – La vera storia di Buzz. Ma di cosa si tratta con precisione?

Per chi ha amato le avventure di questo gruppo di giocattoli fin troppo vivaci e avventurosi, non sarà difficile ricordare alcuni particolari come le motivazioni che hanno “spinto” il personaggio di Buzz a unirsi al cast. Nel giorno del suo compleanno, infatti, il piccolo Andy riceve in dono dalla madre un pacco gigante al cui interno è contenuto nientemeno che Buzz Lightyear, uno space ranger privo di paura e senso del pericolo, protagonista del film preferito del festeggiato. Una pellicola che fino a oggi non è mai stata mostrata e che ora, invece, rappresenta l’ultima scommessa animata della Pixar. In sostanza, dunque, si tratta di uno spin-off per capire chi fosse veramente Buzz prima del suo incontro con il cowboy Woody e tutta la banda di giocattoli, costantemente preoccupati di essere rimpiazzati o di finire sulla temuta mensola del dimenticatoio. Per capire meglio questa nuova creatura, però, è necessario fare alcuni passi indietro e ricominciare proprio dall’inizio. Ossia dalla metà degli anni novanta, quando dei giovani animatori diedero vita al mondo di Toy Story.

All’inizio fu Tin Toy

Tin Toy, il cortometraggio
Tin Toy, il cortometraggio Pixar del 1988

Correva l’anno 1995, o poco meno, quando una squadra di animatori, capitanata e diretta da John Lasseter, diede forma al mondo di Toy Story. Fino a quel momento il gruppo creativo della Pixar aveva prodotto dei cortometraggi geniali per la qualità estetica e concettuale, che ne fecero degli esperti dell’animazione in CGI. Non è un caso, per esempio, che il loro Tin Toy sia stato il primo corto animato ad aggiudicarsi un Oscar nel 1988. Un titolo che è fondamentale non solo per il premio ottenuto, ma perché al suo interno esiste già l’idea embrionale che sarà alla base di Toy Story. Protagonista, infatti, è un bambino intento a terrorizzare dei giocattoli che, dotati di volontà propria, cercano disperatamente un nascondiglio. Una figura che riporta immediatamente alla memoria il terribile Sid, intento a praticare esperimenti distruttivi ai danni dei suoi giochi.

Ma come si è arrivati da questo primo step a pensare e realizzare un lungometraggio? Tutto nasce da una sfida lanciata dalla Disney e raccolta da John Lasseter e dalla sua squadra. Volendo mantenere il proprio stile, infatti, i creativi avevano proposto allo storico studios di partecipare produttivamente alla realizzazione di un lungometraggio. Non pienamente convinti di poter puntare su un team giovane, e fondamentalmente inesperto nella gestione animata di un intero film, la Disney rilancia sfidandoli a realizzare una sequenza animata di mezz’ora. Se ci fossero riusciti, avrebbero dimostrato di avere gli strumenti tecnici e creativi per completare un film di un’ora e mezza. Ovviamente tutti conosciamo il lieto fine di questa storia, che ha portato al cinema Toy Story, il primo capitolo di una saga che si estende lungo quattro capitoli e che, di fatto, segna per la Pixar una sorta di portafortuna: il primo passo verso tutti i successivi riconoscimenti ottenuti al loro talento. Nonostante siano arrivati molti Oscar e apprezzamenti da festival internazionali come Cannes, che ha affidato a Up una delle sue aperture, e Venezia, che consegnò il Leone d’Oro alla carriera alla squadra creativa popolando il Lido di tutti i loro personaggi, Toy Story continua ad avere un posto speciale nel cuore di chi lo ha realizzato e della critica. Sarà per questo che è stato scelto per essere conservato al National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti e che il New York Times l’ha inserito nella sua lista dei 1000 migliori film di sempre

Woody, Buzz Mr Potato, Bo Peep e gli altri

Un'immagine da Toy Story 3
Un’immagine da Toy Story 3, di Lee Unkrich

Ma arriviamo a loro, ai protagonisti indiscussi di quest’avventura. Quei giocattoli che, pur nella loro semplicità, sono stati capaci di riportare in vita la magia dei primi anni dell’infanzia. Quel periodo magico in cui la fantasia ha libero accesso a ogni aspetto pratico della giornata e non conosce luogo dove non possa andare. Ecco, a popolare questo mondo di cui, poi, si sentirà profondamente la mancanza, sono il cowboy Woody, Mr. Potato in attesa di trovare la sua anima gemella, che arriverà nel capitolo successivo, il cane a molla Slinky, il salvadanaio Hamm, il dinosauro Rex e la pastorella di ceramica Bo Peep, sempre desiderosa di conquistare le attenzioni del cowboy. Ed effettivamente Woody sembra essere il leader di questo gruppo poliedrico e un po’ scombinato. Non fosse altro perché è il giocattolo preferito di Andy. Ma fino a quando manterrà questo primato? La domanda non ha risposta. Di certo l’arrivo del nuovo e più tecnologico Buzz mette in discussione gli equilibri, dando vita a un vero e proprio duello tra i due, non privo di colpi bassi.

Una situazione che alla base sottende un sentimento importante e profondo che, forse per la prima volta, viene mostrato con chiarezza. Si tratta della paura, ma non quella fisica. Piuttosto è il timore dell’abbandono, del non essere più necessario e quindi dimenticato. In questo primo capitolo, dunque, si presenta quello che sarà il tema portante dell’intera saga e che trova consolazione nell’unione del gruppo di fronte a qualsiasi ostacolo. Ma come poter affrontare l’inevitabile distacco che proviene dalla crescita? Per i protagonisti di Toy Story la speranza nasce dall’andare a popolare il mondo fantastico di un altro bambino. Per quanto riguarda Andy, invece, l’allontanamento è inevitabile; eppure, un giorno, il ragazzo scoprirà di avere ancora quel mondo magico dentro di se e lo riporterà in vita per tutti quei bambini diventati adulti. Ma, probabilmente, non troppo.

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Fin da bambina, ho sempre desiderato raccontare storie. Ed eccomi qui, dopo un po’ di tempo, a fare proprio quello che desideravo, narrando o reinterpretando il mondo immaginato da altri. Da quando ho iniziato a occuparmi di giornalismo, ho capito che la lieve profondità del cinema era il mio luogo naturale. E non poteva essere altrimenti, visto che, grazie a mia madre, sono cresciuta a pane, musical, suspense di Hitchcock, animazioni Disney e le galassie lontane lontane di Star Wars; e un ruolo importante l’ha avuto anche il romanticismo di Truffaut. Nel tempo sono diventata giornalista pubblicista; da Radio Incontro e il giornale locale La voce di Roma, passando per altri magazine cinematografici come Movieplayer e il blog al femminile Smackonline, ho capito che ciò che conta è avere una struggente passione per questo lavoro. D’altronde, viste le difficoltà e le frustrazioni che spesso s’incontrano, serve un grande amore per continuare.

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