BRADO

BRADO

A sei anni da Tommaso, Kim Rossi Stuart torna alla regia per portare sullo schermo una vicenda dai toni western ma dall’anima drammatica. Una storia, quella di Brado, che gli appartiene e trova ragione di esistere dai suoi ricordi di bambino. Peccato che, volendo muoversi su più toni e all’interno di generi diversi, finisca per perdere la centralità del racconto.

Storia di un padre e di un figlio

Pubblicità

L’ispirazione per trovare la storia giusta o che, comunque, spinge per essere raccontata, può venire da molti e diversi luoghi. In primis, sicuramente, l’esperienza personale e i riferimenti culturali che ci hanno definito. Per Kim Rossi Stuart, tutto parte dal ricordo di una galoppata notturna con il padre e da una forte sensazione di libertà, forse mai più riprovata dopo. Questa sola immagine, dunque, è stata la miccia che ha acceso tutto un processo creativo che, partendo dalle pagine di un libro, è arrivato fino al grande schermo. Il film Brado, infatti, nasce da il racconto La lotta, inserito in Le guarigioni, il volume d’esordio firmato dallo stesso Rossi Stuart. Un materiale molto personale che, tra le mani di Massimo Gaudioso, si è trasformato in una creatura, al tempo stesso, simile e diversa.

Elemento immutabile, sicuramente, è il rapporto padre/figlio che, in qualche modo spinge per essere curato, trovare quel miracoloso ritrovato in grado di cancellare vecchie e profonde ferite. E in questo confronto tra una genitorialità dura, fortemente radicata nelle proprie convinzioni, e una condizione figliare ormai adulta che, però, porta ancora i segni di un’infanzia anomala, s’inserisce un ambiente esterno dalle forme essenziali e ruvide. Una sorta di scenografia naturale in cui ai due protagonisti, quasi sempre impegnanti in un confronto esclusivo, non è concesso alcuno scampo o angolo di protezione. In questo caso, dunque, la natura diventa protagonista, elemento essenziale senza la quale sarebbe stata narrata tutta un’altra storia.

Un western con sentimento

Brado, Saul Nanni e il suo cavallo in una scena del film
Brado, Saul Nanni e il suo cavallo in una scena del film di Kim Rossi Stuart

L’atto più coraggioso compiuto da questo film, dunque, è scegliere con grande forza e determinazione un’ambientazione insolita per il cinema italiano. Per non parlare poi del genere che ne consegue. Il western, fatta eccezione per la parentesi di Sergio Leone, non rientra certo nelle forme e nel linguaggio più naturali per la nostra cinematografia. Per questo motivo, dunque, ritrovare oggi questo tipo di ambientazioni in cui la morbidezza d’animo e di forme è bandita, definisce un’esperienza particolare. Un percorso visivo ed emotivo che va a incidere con fermezza non solo sulla vicenda ma, soprattutto, sui caratteri dei personaggi. Com’è stato accennato, Brado è una vicenda dal cuore famigliare con una forma selvaggia. I suoi protagonisti sono Renato, un uomo indurito da un sogno inseguito ma mai completamente realizzato, e suo figlio Tommaso, affannosamente in fuga da tutto ciò che definisce il mondo del padre.

Ascolta “Astolfo, il film di Gianni Di Gregorio che fa bene al cuore” su Spreaker.

Brado, invece, è il ranch o, se vogliamo, la scuola di equitazione aperta da Renato quando i suoi figli erano piccoli. Un luogo in cui avrebbe dovuto realizzare il sogno di addestrare un cavallo eccezionale, un grande campione in grado di renderlo famoso nel settore. Una speranza che è stata sempre disattesa, fino a quando l’uomo non incappa in un esemplare di rara bellezza ma dal carattere ribelle. In seguito a una caduta e a un infortunio, il figlio viene in suo aiuto di malavoglia. Quello che sembra un impegno momentaneo, però, presto, si trasforma in un confronto serrato tra i due consumato nella polvere della terra e nel fango, sotto gli occhi di un cavallo che impone il suo volere in modo ineluttabile, come solo la natura riesce a fare.

Tradire il genere

Brado, Saul Nanni e Viola Sofia Betti in una scena del film
Brado, Saul Nanni e Viola Sofia Betti in una scena del film di Kim Rossi Stuart

Tutti gli elementi evidenziati fino a questo momento, dunque, sembrano definire alla perfezione l’atmosfera di un genere preciso come quello western o dedicato alle imprese sportive. Un andamento che, per una prima parte del film, sembra assolutamente plausibile. In realtà, però, la sceneggiatura porta verso delle strade inaspettate, andando a tradire l’impianto evidenziato fino a quel momento. E si tratta di un aspetto positivo. Inaspettatamente, infatti, l’elemento drammatico si fa largo nella narrazione centrale, andando a determinare tutta la seconda parte del film fino a raggiungere un momento in cui, però, si viene completamente assaliti dal dolore, tanto dal voler distogliere gli occhi dallo schermo. Un eccesso che colpisce interiormente ma che potrebbe rappresentare anche il limite di questo film fortemente altalenante nei ritmi e nelle atmosfere create. Così, nel voler essere molte e diverse cose, Brado finisce per perdere di centralità, percorrendo più strade senza mai decidere per una. Un’indecisione che viene risollevata dall’epilogo in cui prende il sopravvento la potenza di un ricordo che ha il tocco rassicurante di un sogno.

Brado, la locandina del film

Scheda

Titolo originale: Brado
Regia: Kim Rossi Stuart
Paese/anno: Italia / 2022
Durata: 117’
Genere: Drammatico
Cast: Paola Lavini, Alida Baldari Calabria, Barbora Bobulova, Rinat Khismatouline, Saul Nanni, Achille Marciano, Alma Noce, Kim Rossi Stuart, Federica Pocaterra, Vincenzo Erbetti, Viola Sofia Betti
Sceneggiatura: Kim Rossi Stuart, Massimo Gaudioso
Fotografia: Matteo Cocco
Montaggio: Alessio Rivellino
Musiche: Andrea Guerra
Produttore: Carlo Degli Esposti, Nicola Serra
Casa di Produzione: Vision Distribution, Sky Italia, Palomar, Amazon Prime Video
Distribuzione: Vision Distribution

Data di uscita: 20/10/2022

Pubblicità

Trailer

Dagli stessi registi o sceneggiatori

Pubblicità
Fin da bambina, ho sempre desiderato raccontare storie. Ed eccomi qui, dopo un po’ di tempo, a fare proprio quello che desideravo, narrando o reinterpretando il mondo immaginato da altri. Da quando ho iniziato a occuparmi di giornalismo, ho capito che la lieve profondità del cinema era il mio luogo naturale. E non poteva essere altrimenti, visto che, grazie a mia madre, sono cresciuta a pane, musical, suspense di Hitchcock, animazioni Disney e le galassie lontane lontane di Star Wars; e un ruolo importante l’ha avuto anche il romanticismo di Truffaut. Nel tempo sono diventata giornalista pubblicista; da Radio Incontro e il giornale locale La voce di Roma, passando per altri magazine cinematografici come Movieplayer e il blog al femminile Smackonline, ho capito che ciò che conta è avere una struggente passione per questo lavoro. D’altronde, viste le difficoltà e le frustrazioni che spesso s’incontrano, serve un grande amore per continuare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.