IL MIO NOME È VENDETTA

IL MIO NOME È VENDETTA

Produzione italiana di genere destinata a Netflix, Il mio nome è vendetta può contare su un’efficace messa in scena, e sulla resa sorprendentemente buona della figura del sicario protagonista, interpretato da Alessandro Gassmann; tuttavia, sul risultato del film di Cosimo Gomez influisce pesantemente una sceneggiatura approssimativa, e una poco convincente costruzione degli altri personaggi (in primis la co-protagonista col volto di Ginevra Francesconi).

Spaghetti revenge movie

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Il cartellone di Netflix ha sfornato, negli ultimi giorni, questo insolito action all’italiana, diretto da un Cosimo Gomez (già scenografo di lunga data) arrivato qui alla sua terza regia. Questo Il mio nome è vendetta, nell’ambito della produzione nostrana legata – genericamente – al filone del “film di mafia”, si caratterizza innanzitutto per il taglio maggiormente internazionale e di genere: lo scopo del regista, che fa conto anche su un protagonista di richiamo come Alessandro Gassmann, sembra essere da un lato quello di fare il verso ai revenge movie americani ed europei (viene in mente la saga di John Wick, ma anche quella più vicina geograficamente di Taken), dall’altro di rifarsi alla tradizione del cinema di genere italico degli anni ‘70 (sono evidenti i riferimenti – tematici più che estetici – a classici di Fernando Di Leo quali Milano Calibro 9 e La mala ordina). Al centro del plot c’è il personaggio di Santo (interpretato da Gassmann), ex sicario della ‘ndrangheta che da anni vive nascosto con la sua famiglia, sotto falso nome, tra i monti vicino a Bolzano. Quando sua figlia Sofia, contravvenendo a un suo divieto, gli scatta di nascosto una foto, i suoi nemici riescono a localizzare dopo molto tempo la sua ubicazione: messosi in salvo per miracolo insieme alla ragazza, Santo sarà chiamato così a chiudere i conti con la cosca rivale, in particolare contro il suo boss (Remo Girone) che da anni gli ha giurato vendetta a seguito di una vecchia faida.

L’aderenza ai dettami del genere

Il mio nome è vendetta, Alessandro Gassmann in un'immagine
Il mio nome è vendetta, Alessandro Gassmann in un’immagine del film

Se da un lato Il mio nome è vendetta vuole proseguire una riscoperta del “genere” che nel cinema mainstream italiano, da ormai quasi un decennio, viene portata avanti con alterne fortune, dall’altro il film di Gomez punta con più decisione a fornire agli spettatori di Netflix un’estetica in linea coi suoi gusti: via libera, così, alle iperrealistiche luci al neon che illuminano le scene d’azione, alle fredde e metalliche tonalità di colore degli interni che seguono l’evoluzione della storia e la sua ambientazione: dal paradiso dei monti del Trentino, luogo di un’illusoria, fragile felicità familiare, all’ambientazione metropolitana che vedrà consumarsi la resa dei conti, troppo a lungo rimandata, tra il protagonista e i suoi nemici. Si nota chiaramente lo sforzo, nella messa in scena del film, di rifarsi a un coté da action moderno, che alla capacità delle scenografie di catturare l’occhio (sia quelle rurali della prima parte che quelle urbane che faranno da teatro allo scontro finale) fa corrispondere una violenza portata sullo schermo – e ciò è apprezzabile – senza timori di sorta: in questo senso, Gassmann si rivela sorprendentemente efficace nell’interpretare l’archetipo dell’antieroe, il vecchio guerriero (non) redento che decide di tornare in azione quando viene toccata la sua famiglia. L’attore romano indurisce efficacemente lo sguardo e dirada le battute, mostrando anche una buona aderenza fisica a un personaggio che è schematico così come il genere richiede.

La (non) scelta di Sofia

Il mio nome è vendetta, Ginevra Francesconi in una scena
Il mio nome è vendetta, Ginevra Francesconi in una scena del film

Ciò che funziona decisamente meno bene di questo Il mio nome è vendetta, tuttavia, è proprio la scrittura, deficitaria da più di un punto di vista: a non convincere, in particolare, è il personaggio della giovane interpretata da Ginevra Francesconi (l’avevamo già vista, tra le altre cose, nell’horror The Nest), a cui la sceneggiatura fornisce – senza poi portare avanti la scelta fino in fondo – il ruolo di voce narrante e sguardo privilegiato della vicenda. Pur dovendo restare nel formato temporale dei 90 minuti (scelta in sé non disprezzabile) era probabilmente possibile dettagliare un po’ meglio il personaggio, e in particolar modo le sue reazioni all’improvviso sconvolgimento della sua intera esistenza: se, da un lato, la ragazza pare accettare troppo facilmente il suo nuovo destino di fuggitiva e guerriera, dall’altro lo script sembra incerto sul ruolo che vuole davvero destinarle. La figura di Sofia oscilla così, in modo poco convinto, da vittima degli eventi a soggetto attivo del dramma, adocchiando persino (in particolare in un’esplicita – e inutile – scena di “addestramento) un futuro à la Hanna che poi non si concretizza. Restano pretestuose, in questo senso, le citazioni da Il richiamo della foresta, che vorrebbero simboleggiare una sorta di predestinazione, per la ragazza, che poi lo script non ha il coraggio di sviluppare fino in fondo. E, proprio in questo senso, il finale del film appare ancor più stonato e appiccicaticcio (oltre che narrativamente poco credibile).

Un’occasione mancata

Il mio nome è vendetta, Remo Girone e Alessandro Gassmann in una sequenza
Il mio nome è vendetta, Remo Girone e Alessandro Gassmann in una sequenza del film

Restano comunque, di Il mio nome è vendetta, la generale perizia tecnica mostrata dal regista, il ritmo complessivamente buono del racconto, l’efficace resa delle sequenze d’azione, sospese tra la fisicità brutale e realistica della prima parte e il balletto di morte del (prevedibile) confronto finale. Purtroppo, a influire negativamente sul risultato del film di Cosimo Gomez è proprio una sceneggiatura che in più di un’occasione sembra confondere essenzialità e sciatteria, rompendo a volte la rarefazione dei dialoghi (in particolare quelli tra i due protagonisti) con linee imbarazzanti e drammaturgicamente respingenti. Proprio in questo senso, parlando dei deficit narrativi del film, non si può non citare il sostanziale spreco di un interprete come Remo Girone nel ruolo del principale villain, poco presente sullo schermo oltre che inerte narrativamente; un’esilità – bissata da quella del personaggio di suo figlio, che ha il volto di Alessio Praticò – che nuoce anch’essa all’immedesimazione, così come alla capacità dello spettatore di empatizzare coi due protagonisti. Limiti, purtroppo sostanziali, che rendono Il mio nome è vendetta un esperimento in gran parte non riuscito, pur al netto delle sue buone intenzioni e di un interessante sguardo sul genere che, probabilmente, meritava uno sviluppo (in primis narrativo) migliore e più compiuto.

Il mio nome è vendetta, la locandina
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Scheda

Titolo originale: Il mio nome è vendetta
Regia: Cosimo Gomez
Paese/anno: Italia / 2022
Durata: 90’
Genere: Drammatico, Azione, Poliziesco
Cast: Alessandro Gassmann, Alessio Praticò, Remo Girone, Ginevra Francesconi, Marcello Mazzarella, Gabriele Falsetta, Marco Boriero, Mauro Lamanna, Francesco Villano, Luca Zamperoni, Sinja Dieks
Sceneggiatura: Cosimo Gomez, Sandrone Dazieri, Andrea Nobile
Fotografia: Vittorio Omodei Zorini
Montaggio: Alessio Doglione
Musiche: Marta Lucchesini, Giorgio Giampà
Produttore: Maurizio Totti, Alessandro Usai, Iginio Straffi
Casa di Produzione: Colorado Film Production
Distribuzione: Netflix

Data di uscita: 30/11/2022

Trailer

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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