L’ULTIMA VOLTA CHE SIAMO STATI BAMBINI

L’ULTIMA VOLTA CHE SIAMO STATI BAMBINI

Uscito al cinema in occasione dell’anniversario del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma, L’ultima volta che siamo stati bambini fonde l’afflato avventuroso di molto cinema per ragazzi col rigore divulgativo del suo filone, quello dei film dedicati all’Olocausto. Un mix rischioso, ma perlopiù riuscito, per un esordio dietro la macchina da presa in cui Claudio Bisio ha mostrato una buona dose di coraggio.

Salvate il soldato Riccardo

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Per questo suo esordio dietro la macchina da presa, Claudio Bisio ha scelto quello che è forse uno dei filoni cinematografici più complessi in assoluto da maneggiare (in particolare per un esordiente) oltre che uno dei più rischiosi. È innegabile, infatti, che i film dedicati all’Olocausto abbiano una lunghissima tradizione alle spalle, con epigoni di un certo peso alternati a opere magari più convenzionali, il cui valore divulgativo spesso trascende quello strettamente artistico; ma, soprattutto, si tratta di un filone che ha sofferto e soffre da un lato dell’obiettiva (e comprensibile) inflazione numerica di opere che lo hanno interessato, dall’altro dell’estrema delicatezza del tema, che rende la scelta di affrontarlo, per chi vi si cimenta, qualcosa di simile al cammino in un campo minato. Un campo minato che Bisio ha scelto consapevolmente di attraversare, con questo L’ultima volta che siamo stati bambini, tenendo come guida e traccia di base il romanzo omonimo di Fabio Bartolomei. Un testo che – sul modello, a sua volta, di tante opere letterarie e cinematografiche che si sono succedute nel corso di questi decenni – sceglie di raccontare (perlopiù indirettamente) l’orrore attraverso l’ottica dell’elemento apparentemente più fragile del corpo sociale, quello infantile.

Il “patto di sputo”

L'ultima volta che siamo stati bambini, Vincenzo Sebastiani, Alessio Di Domenicantonio e Lorenzo McGovern Zaini in un momento del film
L’ultima volta che siamo stati bambini, Vincenzo Sebastiani, Alessio Di Domenicantonio e Lorenzo McGovern Zaini in un momento del film

Al centro della trama ci sono i piccoli Italo, Cosimo, Vanda e Riccardo; il primo è il figlio di un gerarca fascista e ha un fratello celebrato come eroe di guerra, il secondo ha un padre al confino e soffre la fame, la terza è un’orfana allevata dalle suore, il quarto il figlio di una famiglia ebrea benestante. Come recita la sinossi ufficiale del film, i quattro “sono diversi, ma non lo sanno”: giocano alla guerra, riproducono parole e slogan degli adulti, ma li trasfigurano in un’amicizia capace di resistere agli orrori e al rischio costante del mondo che li circonda. Siamo nella Roma post-8 settembre 1943, stretta nella morsa dell’occupazione, della fame e dell’incertezza. Quando il rastrellamento del Ghetto, il 16 ottobre, porta via Riccardo con la sua famiglia, gli altri tre non hanno dubbi: bisogna andare a liberarlo, arrivare in Germania e convincere i tedeschi che lui è sì un ebreo, ma un ebreo “ariano”, diverso dagli altri. I tre, legati dall’antico “patto di sputo” stipulato con l’amico (una variante incruenta del patto di sangue) si mettono in marcia seguendo la ferrovia. Presto, notando la loro assenza, due adulti si metteranno sulle loro tracce: il fratello di Italo, Vittorio, e la suora dell’orfanotrofio in cui vive Vanda, Agnese. Due adulti che mal si sopportano vicendevolmente, ma che cercheranno di unire la forze per riportare a casa i ragazzi.

Avventura e inquietudine

L'ultima volta che siamo stati bambini, Carlotta De Leonardis, Alessio Di Domenicantonio e Vincenzo Sebastiani in un'immagine del film
L’ultima volta che siamo stati bambini, Carlotta De Leonardis, Alessio Di Domenicantonio e Vincenzo Sebastiani in un’immagine del film

Come si accennava in apertura, guardando L’ultima volta che siamo stati bambini va dato innanzitutto atto a Claudio Bisio di aver fatto la sana scelta di rischiare, da un lato allontanandosi dai registri per lui più usuali (quelli della commedia, pur variamente declinata), dall’altro nella scelta del filone dell’Olocausto, e in particolare della sua visione attraverso lo sguardo infantile. Tra i modelli cinematografici del suo film, Bisio ha citato l’onnipresente La vita è bella, ma anche i recenti Jojo Rabbit e Un sacchetto di biglie – forse il suo parente più prossimo, tematicamente – ma anche classici temporalmente più lontani come I Goonies e persino Il signore delle mosche. Questa eterogeneità di riferimenti dà un’idea chiara dell’approccio scelto dal regista – coadiuvato in sceneggiatura da Fabio Bonifacci – per un’opera che fin da subito punta a fondere l’afflato ludico e avventuroso, quello di una storia raccontata ad altezza bambino, e permeata del senso di meraviglia che caratterizza l’età dei protagonisti, con l’orrore di una guerra che resta perlopiù fuori campo, ma che quando entra nella visuale colpisce duro e fa male. Da cinefili cresciuti negli anni ‘80, ai riferimenti citati da Bisio aggiungeremmo senz’altro quello Stand By Me – Ricordo di un estate che viene richiamato (involontariamente?) non solo dall’immagine di un gruppo di bambini in viaggio lungo i binari, ma anche dalla stessa compenetrazione di spensieratezza ludica e avvertibile inquietudine, quest’ultima in entrambi i casi rappresentata da ciò che attende alla fine del viaggio.

Lo sguardo e l’orrore ai margini

L'ultima volta che siamo stati bambini, Carlotta De Leonardis, Alessio Di Domenicantonio e Vincenzo Sebastiani in una scena del film
L’ultima volta che siamo stati bambini, Carlotta De Leonardis, Alessio Di Domenicantonio e Vincenzo Sebastiani in una scena del film

Aver adottato in toto l’ottica dei tre protagonisti, nella storyline principale, carica l’atmosfera di L’ultima volta che siamo stati bambini di quel senso di affabulazione che da sempre caratterizza il miglior cinema per ragazzi, unito a un’enfasi sulla dimensione avventurosa del viaggio che si rivela capace di provocare, nello spettatore, un piacevole senso di straniamento: straniamento rispetto a quell’orrore, tutto umano, che sappiamo agitarsi costantemente ai margini dell’inquadratura, magari nascosto appena dietro i rigogliosi campi attraversati dai piccoli protagonisti (o incarnato, più prosaicamente, da una famiglia affamata che abita uno sperduto casolare di campagna); ma anche rispetto a una destinazione chiaramente irraggiungibile, a cui tuttavia, contagiati dall’elaborato universo fiabesco costruito dai tre ragazzi, si finisce quasi per credere. Va dato anche atto a Bisio di essere riuscito a lavorare al meglio coi piccoli protagonisti, che reggono sulle loro spalle il peso del film per gran parte della sua durata, con dialoghi che riescono nella maggior parte dei casi a farci vedere coi loro occhi (ingenui e insieme disincantati) le assurdità e il carattere sovente grottesco delle logiche del mondo adulto che li circonda.

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La fine dell’infanzia, l’importanza del racconto

L'ultima volta che siamo stati bambini, Marianna Fontana e Federico Cesari in una scena del film
L’ultima volta che siamo stati bambini, Marianna Fontana e Federico Cesari in una scena del film

Resta pure interessante, anche se meno centrata e più dispersiva narrativamente, l’altra storyline principale del film, quella che coinvolge l’inseguimento dei due adulti interpretati da Marianna Fontana e Federico Cesari; il personaggio della suora, in particolare, resta leggermente involuto, stretto in un mero ruolo compagna di viaggio adibita a controcanto (un po’ risaputo) per le smargiassate del giovane militare, oltre che di preoccupata tutrice – più laica di quanto si immaginerebbe – per la piccola Vanda. Un personaggio che, anche in virtù dell’appena sfiorato doppio binario fede/impegno civile che lo contraddistingue, aveva probabilmente un potenziale narrativo maggiore rispetto a quello che emerge dal film. Ma L’ultima volta che siamo stati bambini è appunto, in primis, la storia dei piccoli protagonisti: e il film, nell’esplorare la loro “impossibile”, drammatica avventura, dosa efficacemente i toni e gli episodi che segnano le tappe del loro viaggio, descrivendo al meglio i loro caratteri e riuscendo a giocare in modo funzionale col fuori campo (oltre che con alcune immagini forti, come quella del tunnel che campeggia nella locandina). L’efficace conclusione – se si eccettua la superflua “coda” ambientata al giorno d’oggi – è un contrappasso crudele, quanto in fondo necessario, di ciò che il film ha mostrato per tutta la sua durata. L’infanzia dei protagonisti è davvero finita su quel sentiero, come recita il titolo, ma raccontarla, anche al cinema, è stato comunque un bene.

Locandina

L'ultima volta che siamo stati bambini, la locandina del film di Claudio Bisio

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Scheda

Titolo originale: L’ultima volta che siamo stati bambini
Regia: Claudio Bisio
Paese/anno: Italia / 2023
Durata: 106’
Genere: Commedia, Drammatico
Cast: Vincenzo Sebastiani, Lorenzo McGovern Zaini, Marianna Fontana, Alessio Di Domenicantonio, Antonello Fassari, Carlotta De Leonardis, Claudio Bisio, Fabian Grutt, Giancarlo Martini, Nikolai Selikovsky, Federico Cesari
Sceneggiatura: Claudio Bisio, Fabio Bonifacci
Fotografia: Italo Petriccione
Montaggio: Luciana Pandolfelli
Musiche: Aldo De Scalzi, Pivio
Produttore: Massimo Di Rocco, Claudio Bisio, Luigi Napoleone, Angelo Laudisa, Sandra Bonzi
Casa di Produzione: Bartlebyfilm
Distribuzione: Medusa Distribuzione

Data di uscita: 12/10/2023

Trailer

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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