THE STAND

THE STAND

Tanto inizialmente attesa quanto deludente nei risultati, costellata di un cast di prim’ordine in alcuni casi sprecato, in altri semplicemente svogliato, The Stand è la prima delusione televisiva del 2021, arrivata in Italia sulla piattaforma Starz Play. Il potenziale enorme del romanzo di Stephen King viene sprecato per una seconda volta, con l’aggravante di una produzione più consistente e di ambizioni che non corrispondono minimamente ai risultati.

L'ombra di un romanzo

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Iniziamo questa recensione premettendo che speravamo, nel 2021, di commentare un diverso e migliore adattamento di The Stand. Questo non solo perché il romanzo uscito in Italia col (brutto) titolo L’ombra dello scorpione è tra i capolavori di Stephen King, secondo probabilmente solo a It nella considerazione dei fans dello scrittore; e non solo perché la miniserie omonima del 1994, diretta da Mick Garris, aveva parzialmente deluso i lettori del libro, non tanto per una scarsa fedeltà quanto per un approccio “televisivo” (nell’accezione, negativa, che si era usi dare al termine negli anni ‘90) che ne smorzava in gran parte la durezza. No, The Stand – di cui stavolta per fortuna è stato almeno mantenuto il titolo originale – è soprattutto una storia che ha un portato epico dal valore universale, vero e proprio manifesto per la narrativa di King – con lo scontro tra il bene e il male incarnato in due iconiche figure – e teoricamente perfetta per l’articolazione in forma seriale. Aggiungiamoci pure le suggestioni derivate dall’attualità – anche se la pandemia di Covid-19 non è per fortuna paragonabile alla superinfluenza Captain Trips descritta nel romanzo – e un cast di prim’ordine (James Marsden, Amber Heard, Alexander Skarsgård e Whoopy Goldberg tra i tanti nomi coinvolti) e si capisce facilmente come l’hype per The Stand fosse alto, non solo tra i kinghiani. Hype che, come vedremo, risulta direttamente proporzionale alla delusione che la serie ha rappresentato.

L’apocalisse, ora

The Stand (2020) recensione

Per coloro che non ne fossero a conoscenza, accenniamo qui alla sinossi della storia (originariamente ambientata negli anni ‘70 dello scorso secolo, qui riposizionata ai giorni nostri): una sconosciuta e letale forma influenzale, denominata Captain Trips, decima la popolazione mondiale, facendo crollare tutte le strutture politiche e lasciando in vita solo un pugno di individui immuni. Questi ultimi iniziano ad avere misteriosi sogni in cui vedono due diverse figure che li chiamano: una è Madre Abagail, una donna di colore, molto anziana, che dice di agire per conto di Dio; l’altra è un uomo in nero, Randall Flagg, capace di trasformarsi in un lupo, che promette ricompense e gloria laddove ci si inchini al suo potere. I due tornano con insistenza a far visita in sogno ai sopravvissuti, richiamandoli rispettivamente nelle città di Boulder e Las Vegas. Tra loro, Stu Redman, appena fuggito da una struttura medico-militare in cui l’esercito lo aveva rinchiuso; Frannie Goldsmith, una studentessa di college incinta; Harold Lauder, il giovane a cui Frannie faceva da babysitter anni prima, segretamente innamorato di lei; Larry Underwood, rockstar tormentata e disillusa; Nick Andros, un giovane sordomuto; Tom Cullen, un disabile dall’animo gentile; e Nadine Cross, un’insegnante trentenne. Questi e altri personaggi si ritroveranno a Boulder, scoprendo che Madre Abagail è reale, e la città un nucleo da cui ricostruire un embrione di società; ma anche Flagg sta radunando i suoi seguaci, dando vita a un regno di terrore e depravazione a Las Vegas.

Un avvio zoppicante

The Stand (2020) recensione

Si resta invero perplessi già dai primi episodi di The Stand, che certo lasciano intuire la consistenza della storia narrata da King (e dei suoi personaggi) ma scelgono inspiegabilmente una narrazione non cronologica, confondendo lo spettatore e rendendo faticosa l’empatia coi personaggi. Vediamo alternativamente questi ultimi durante il viaggio verso Boulder e nella città già ripopolata, in un alternarsi poco funzionale di passato e presente, che finisce per confondere chi non abbia letto il libro (o ne abbia un ricordo troppo lontano nel tempo). Difficile non perdersi nelle tante sottotrame e nei background, a volte ben costruiti, a volte solo accennati, dei vari caratteri (si vedano rispettivamente il caso di Harold Lauder e quello di Nick Andros); difficile seguirne l’evoluzione laddove i piani temporali vengono continuamente alternati; difficile, infine, restare coinvolti dal viaggio dei personaggi laddove li vediamo già sani e salvi nel futuro, a Boulder – o laddove al contrario, in qualche caso, la loro assenza ci fa intuire che non sopravviveranno. I creatori della serie Josh Boone e Benjamin Cavell e i co-sceneggiatori seguono una strada opposta a quella percorsa da Andy Muschietti nei due recenti film tratti da It: lì veniva linearizzata una storia originariamente alternata tra passato e presente, qui si fa il contrario senza che ve ne sia nessuna reale necessità. A soffrirne è la tensione narrativa e la chiarezza della storia, pur laddove alcuni degli interpreti (citeremmo Amber Heard e lo stesso James Marsden) fanno il possibile per dare consistenza ai loro personaggi.

Evoluzione o involuzione?

The Stand (2020) recensione

Le cose purtroppo non vanno meglio, ma anzi si deteriorano rapidamente, col progredire della trama e la sua obbligatoria linearizzazione, laddove i due gruppi si sono ormai riuniti nelle rispettive città. Della complessità della struttura sociale (ri)costruita da King nella comunità di Boulder, dei tormenti di coscienza del gruppo dirigente designato da Madre Abagail, e delle contraddizioni e paure che iniziano a serpeggiare nei suoi membri quando è chiaro che da Las Vegas (rinominata New Vegas) si sta estendendo un influsso maligno, qui non resta che un’ombra. Tutto è semplificato, appiattito da una costruzione narrativa priva di mordente, annacquato in personaggi stereotipati (il Larry Underwood di Jovan Adepo) o ridotti a poco più che caricature (l’ex professore di sociologia Glen Bateman, qui interpretato da Greg Kinnear). Sul fronte opposto, quello della comunità di New Vegas governata da Randall Flagg – meno presente anche nel romanzo originale – si costruiscono figure che sfiorano purtroppo i confini della burla; dall’inconsistente braccio destro dell’uomo in nero Lloyd Henreid, interpretato da Nat Wolff, alla surreale figura di Trashcan Man/Pattume (col volto di Ezra Miller), personaggio disturbato e inquietante qui ridotto a una macchietta ghignante e farfugliante. Ma i veri dolori – e forse gli elementi che più di tutti fanno crollare epica e credibilità della vicenda – vengono dallo scarso carisma delle due figure principali: da una parte una Madre Abagail che Whoopy Goldberg rende sorprendentemente inespressiva, dall’altra un Randall Flagg a cui Alexander Skarsgård non dà mai la statura e il carisma di un vero villain, tantomeno quelli della personificazione stessa del male.

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Verso la resa dei conti, e oltre

The Stand (2020) recensione

Se la progressione narrativa di The Stand in qualche modo tiene, e se i nove episodi – dal ritmo molto vario, anche nell’alternanza dei diversi registi – riescono bene o male ad agganciare lo spettatore – in particolare quello che non conosca il romanzo – ciò è merito della storia scritta da Stephen King, della cui vera atmosfera non resta comunque che una vaga eco. Gli sceneggiatori modificano sensibilmente il pre-finale del romanzo, cambiandone ambientazione e modalità ma non riuscendo affatto a renderne la portata apocalittica, né il senso di incombente catastrofe che lo precede. Il tanto anticipato episodio finale scritto dallo stesso King, poi, si rivela una postilla assolutamente superflua alla storia originale, che (senza anticiparne nulla) pone anche dei seri problemi di credibilità e sospensione dell’incredulità. Non si comprende la necessità di aggiungere quest’appendice alla storia, che non fa che rendere espliciti, e inutilmente “urlati”, concetti che nel finale del romanzo passavano in modo più implicito e suggerito, e per questo tanto più efficace. Arrivati al termine delle circa otto ore e mezza di The Stand si finisce quindi per rimpiangere (e non l’avremmo mai detto) il ritmo e il carattere dichiaratamente semplificato della vecchia trasposizione di Mick Garris: altrettanto lontana dal romanzo, altrettanto anonima a livello di regia, ma almeno narrativamente più compatta. Qui, si è di fronte a un prodotto tanto ambizioso quanto sbagliato, che getta via un’occasione probabilmente destinata a non ripetersi più.

The Stand (2020) poster locandina

Scheda

Titolo originale: The Stand
Creata da: Josh Boone, Benjamin Cavell
Regia: Josh Boone, Bridget Savage Cole, Danielle Krudy, Chris Fisher, Vincenzo Natali, Tucker Gates
Paese/anno: Stati Uniti / 2020
Durata: 53′-65’
Genere: Horror, Thriller, Fantastico
Cast: Alexander Skarsgård, Ezra Miller, Amber Heard, James Marsden, Fiona Dourif, Jovan Adepo, Nat Wolff, Whoopi Goldberg, Jason Burkart, Natalie Martinez, Odessa Young, Seth Whittaker, Gabrielle Rose, Gordon Cormier, Greg Kinnear, Henry Zaga, Katherine McNamara, Mark Gibbon, Nicholas Lea, Olivia Cheng, Paul Jarrett, Sunita Prasad, Tarun Keram
Sceneggiatura: Benjamin Cavell, Jill Killington, Owen King, Knate Lee, Stephen King, Eric Dickinson, Taylor Elmore, Josh Boone
Fotografia: Thomas Yatsko, Elie Smolkin, David Stockton
Montaggio: Marc Clark, Matthew Rundell, Robb Sullivan, Rob Bonz
Musiche: Mike Mogis, Nate Walcott
Produttore: Anya Dubble Olson, Knate Lee, Jake Braver, Jill Killington, Owen King
Casa di Produzione: Vertigo Entertainment, CBS Television Studios, Mosaic
Distribuzione: Starz Play

Data di uscita: 03/01/2021

Trailer

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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