SPIDER-MAN AL CINEMA: UNA RAGNATELA TESSUTA IN VENT’ANNI

SPIDER-MAN AL CINEMA: UNA RAGNATELA TESSUTA IN VENT’ANNI

L’imminente uscita di Spider-Man: No Way Home, terzo film dedicato al supereroe di Stan Lee e Steve Ditko ambientato nel Marvel Cinematic Universe, ci spinge a ripercorrere la storia di Spidey/Peter Parker al cinema, dal progetto mai realizzato di James Cameron alle più recenti incarnazioni del personaggio.

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ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER SU TUTTI I FILM DI SPIDER-MAN, NONCHÉ SUI FILM AVENGERS: INFINITY WAR E AVENGERS: ENDGAME

Il personaggio di Spider-Man, la cui creazione risale al 1962 (per opera di Stan Lee e Steve Ditko) ha sempre esercitato un fascino particolare sugli appassionati di fumetti, tanto nel mondo Marvel – all’interno del quale esemplifica in modo perfetto il tipo del “supereroe con superproblemi” – quanto più in generale nell’universo super-eroistico. Tuttavia, il cinema si è “accorto” del personaggio creato da Lee e Ditko solo piuttosto tardi, precisamente un quarantennio dopo la sua creazione: usiamo le virgolette sul termine “accorto”, perché i tentativi di fare un film sull’Uomo Ragno (i lettori storici dei fumetti lo ricorderanno così) hanno preceduto anche di diversi anni il film di Sam Raimi. Inoltre, anche se il grande schermo avrebbe ospitato le gesta di Peter Parker solo dal 2002, con l’ormai storica interpretazione di Tobey Maguire, la televisione lo aveva già scoperto da tempo: prima con la serie animata del 1967 L’Uomo Ragno, trasmessa in Italia nel contenitore SuperGulp, a cui sarebbero seguite nei decenni successivi molte altre versioni d’animazione; poi con la serie di corti televisivi Spidey Super Stories (1974); e successivamente col telefilm del 1977-1979 The Amazing Spider-Man, realizzato per la CBS, di grande successo negli USA ma mai approdato in Italia. Quest’ultimo, interpretato da Nicholas Hammond, originò anche tre film televisivi, che da noi arrivarono persino al cinema (L’Uomo Ragno, L’Uomo Ragno colpisce ancora e L’Uomo Ragno sfida il Drago, rispettivamente datati 1977, 1978 e 1979): abbastanza, per i fans del personaggio, per rendersi conto che, a dispetto del fascino kitsch – e molto povero – di quei prodotti, la fedeltà ai fumetti era ancora lontana. C’era da aspettare, e non poco.

Il fascino del progetto incompiuto: lo Spider-Man di James Cameron

Spider-Man al cinema speciale

Il mondo del cinema inizia a interessarsi al personaggio di Spider-Man negli anni ‘80, precisamente da quando il produttore Menahem Golan e la sua Cannon acquistano i diritti del personaggio, col piano di farne un film dal budget di 50 milioni di dollari (per l’epoca, un’enormità). Il fallimento della casa di Golan precede l’acquisto dei diritti nel 1990 da parte della Carolco, che si rivolge a James Cameron, grande fan del personaggio: Cameron scrive un copione di 47 pagine strapieno di idee che divergono anche in modo significativo dal fumetto originale (incontrando tuttavia il pieno favore di Stan Lee), aggiornandone le basi e adeguandole al gusto dell’epoca. Tra le novità c’era un Peter Parker trasformato dal ragno radioattivo in un adolescente spigliato e persino sessuomane, una mutazione fisica più marcata (unita all’espediente delle ragnatele biologiche, poi ripreso dal film di Raimi), due villains come Electro e Sandman coi rispettivi volti di Lance Henriksen e Michael Biehn (vecchie conoscenze del regista per i precedenti Aliens – Scontro finale e Terminator) e una sequenza finale ambientata sul tetto del World Trade Center, con l’uccisione di Elektro da parte di Spider-Man. Quest’ultimo avrebbe dovuto avere nientemeno che il volto di Leonardo DiCaprio (attore di cui poi il regista si sarebbe ricordato per il successivo Titanic). La bancarotta della Carolco e la successiva contesa legale tra Sony e MGM, che si rivendicano entrambe titolari dei diritti, fa naufragare di nuovo, e definitivamente, il progetto. Vinta la disputa con la controparte, la Sony diventa proprietaria unica del personaggio e si affida alla nuova sceneggiatura di David Koepp, che riprende solo alcuni spunti da quella di Cameron (che con suo grande disappunto non viene citato, poi, nemmeno nei ringraziamenti). Tutto è pronto per un “nuovo” Spider-Man, il primo della storia del cinema, che avrebbe portato la firma di Sam Raimi e avrebbe preso il volto di Tobey Maguire.

L’Arrampicamuri approda al cinema: il film di Sam Raimi

Spider-Man al cinema speciale

Il primo Spider-Man di Sam Raimi, uscito nel 2002, è un film di un’importanza storica fondamentale. Innanzitutto è il film che, insieme al primo X-Men di Bryan Singer (di due anni precedente) riportò definitivamente il genere del cinecomic al grande pubblico: un genere che veniva da anni di appannamento (si pensi alla deriva in negativo del personaggio di Batman, col passaggio da Tim Burton a Joel Schumacher) e che per contingenze storiche non certo immaginate dagli autori (l’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001) avrebbe finito per rappresentare, per il pubblico americano, la risposta più immediata alla ricerca di evasione e insieme di riconoscimento identitario. L’America aveva bisogno di eroi, di quelli “puri”, in un periodo di profondo smarrimento. Gli eroi Marvel, così umani e meno granitici di quelli DC, potevano rappresentare la risposta giusta. E con questo veniamo al secondo aspetto che segna l’importanza del film di Sam Raimi (e della saga che originò): il film fu il lasciapassare, sia pur ancora indiretto, per il mondo Marvel al cinema, che arrivò finalmente al grande pubblico con quello che era il suo personaggio più iconico. Molto più iconico, e infinitamente più popolare, di quanto non lo erano i precedenti Blade (decisamente di nicchia) e gli stessi X-Men (certo un gradino sotto nella considerazione dei fans). Il soggetto di Spider-Man, in realtà, non vedeva l’ora di essere trasposto al cinema: e Sam Raimi ripagò l’attesa dei fans con un film profondamente rispettoso della storia originale, perfetto nella scelta degli interpreti (Tobey Maguire, anche a rivederlo oggi, sembra davvero nato per il personaggio; ma anche Willem Dafoe nel ruolo di Green Goblin e James Franco in quello di suo figlio, per non parlare della Mary Jane Watson di Kirsten Dunst, risultano straordinariamente in parte), semplice nella sceneggiatura – in cui Koepp “devia” dal fumetto, sostanzialmente, solo con l’espediente della natura biologica delle ragnatele, idea ripresa dal copione di Cameron – quanto in ottimo equilibrio tra la necessità di introduzione di un personaggio e la capacità di avvincere di una storia, in sé, compiuta e autosufficiente. Il regista non si fa sopraffare dalla pur massiccia dose di effetti speciali, non rinuncia al suo stile ipercinetico – efficacemente trasportato dall’horror nel blockbuster avventuroso – e si dimostra un vero e sincero appassionato del fumetto, e del mondo fumettistico in generale. Al punto che, nel finale, piazza un’esplicita citazione del suo Darkman, di oltre un decennio prima, vero e proprio comic-movie ante litteram non direttamente tratto da un fumetto. Una nuova mitologia, e un nuovo/vecchio filone, erano nati.

Spider-Man 2, un sequel perfetto e la consacrazione

Spider-Man al cinema speciale

Gli sfracelli commerciali del film di Sam Raimi, com’era facile immaginare, resero subito scontata la messa in cantiere di un sequel: un sequel che vide, oltre al ritorno di Raimi dietro la macchina da presa, e a quello di tutto il cast principale del primo episodio, anche uno sviluppo più armonico e coerente del personaggio, che diventa “maturo” e davvero pronto ad assumersi la sua responsabilità di “amichevole” paladino della città di New York. Spider-Man 2, col doppio del budget del primo film (200 milioni di dollari) presenta una sceneggiatura tutta incentrata sul conflitto interiore del personaggio di Peter, incapace di reggere il peso delle “grandi responsabilità” invocate nel primo film, e a un certo punto intenzionato ad appendere il costume al chiodo. Un conflitto e un’evoluzione che il nuovo sceneggiatore Alvin Sargent trasse dall’albo Spider-Man no more!, fumetto che segnava proprio la momentanea rinuncia da parte di Peter al suo ruolo di supereroe; ma anche il poco ricordato Superman II di Richard Lester, che vedeva il protagonista compiere un analogo percorso con la rinuncia ai suoi superpoteri, fece da fonte di ispirazione per il nuovo film. Il ritorno di James Franco nel ruolo di un “amico” pronto a diventare spietato avversario, e l’ingresso di un nemico carismatico nella figura del Dottor Octopus interpretato da Alfred Molina, fecero il resto: Spider-Man 2, uscito nel 2004, era di più, tanto in termini di impianto spettacolare, quanto di problematizzazione dei temi già introdotti dal predecessore. Un film più maturo del precedente, che ottenne il plauso pressoché totale della critica, e la palma ancor oggi detenuta, tra gli appassionati, di miglior film dedicato al personaggio.

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La crisi: un terzo episodio deludente e la fine di un ciclo

Spider-Man al cinema speciale

Visti gli straordinari risultati ottenuti dal franchise come si era fino ad allora delineato, lo Spider-Man 3 in uscita nel 2007 fu dapprima pensato come logica evoluzione del personaggio, sua definitiva resa dei conti coi fantasmi del passato (e in particolare con l’assassinio di suo zio Ben) e chiusura della storyline di Harry Osborn, miglior amico di Peter ma nemico giurato di Spider-Man. Tuttavia, le interferenze del produttore Avi Arad finirono per modificare pesantemente i contorni del progetto, provocando l’inserimento (che si sarebbe rivelato poco felice) del personaggio del simbionte Venom, una poco convincente sottotrama tesa a mostrare un lato oscuro del protagonista, e uno spezzettamento narrativo che avrebbe finito per nuocere all’armonia e alla coesione del tutto. Lo stesso sceneggiatore Alvin Sargent, dopo le interferenze della produzione, abbandonò il progetto, che non nasceva sotto i migliori auspici. Nonostante questo, Spider-Man 3, che all’epoca risultò il film più costoso della storia del cinema (258 milioni di dollari) divenne anche il maggior successo commerciale della serie, col notevole incasso di quasi 891 milioni di dollari. Eppure, la critica rilevò subito la frammentazione della trama, la proliferazione inutile di villain, le lungaggini narrative e la sostanziale inutilità dell’introduzione della figura di Venom – a cui Raimi era peraltro contrario: nonostante l’efficace finale, il film del 2007 avrebbe segnato il canto del cigno per la saga di Sam Raimi. I piani per un quarto episodio finirono per naufragare quando il regista, insoddisfatto di tutte le bozze di copione che gli erano fino ad allora arrivate, si ritirò del tutto dal progetto. La Sony/Columbia, dopo la rinuncia di Raimi, decise di optare per un totale reboot della saga, con un cast del tutto nuovo e un nuovo regista.

Amazing… ma non del tutto convincente

Spider-Man al cinema speciale

Il The Amazing Spider-Man di Marc Webb (titolo mutuato da una serie di fumetti che, tuttavia, non avrebbe fornito la principale fonte di ispirazione per il film) nasceva sotto il segno di un giustificato scetticismo. Un reboot a così pochi anni di distanza – si era nel 2012 – sembrava all’epoca un controsenso; Webb e il nuovo protagonista Andrew Garfield dovevano inoltre confrontarsi con un’eredità pesante, con un volto, quello di Tobey Maguire, ormai stampato nella mente del pubblico, e con una trilogia che – a dispetto dell’ultimo capitolo – restava nel suo complesso molto amata dai fans. E il risultato del film, frutto di una sceneggiatura che prendeva idee soprattutto dall’Ultimate Spider-Man dei fumetti, finì per dare ragione a queste perplessità. Scritto a sei mani da James Vanderbilt, Avi Sargent e Steve Kloves, The Amazing Spider-Man scontava da un lato la necessità di ri-raccontare la storia di Peter Parker senza annoiare il pubblico, dall’altro quella di non tradire il personaggio così com’era stato originariamente concepito (ma anche come gli spettatori, ormai, lo conoscevano). La nuova presa di coscienza di un Peter comunque efficacemente interpretato da Garfield risultava un po’ fiacca, le tappe della sua trasformazione scolasticamente riproposte, il tema della responsabilità – perno centrale dell’intera trilogia precedente – solo accennato. Molto meglio si rivelava funzionare, il film, sul piano spettacolare: ma questo, per una saga in cui i budget erano ormai saldamente attestati su cifre stratosferiche, era in fondo scontato. L’interessante nuovo background del personaggio (abbandonato in tenera età dal padre ricercatore), l’introduzione di una Gwen Stacy (colo volto di Emma Stone) diventata unico interesse amoroso del protagonista, e un supercattivo interessante e ben interpretato come il Lizard di Rhys Ifans, non bastarono a garantire al film un gradimento pari a quello dei primi due film di Raimi. E neanche analoghi incassi, visto che i risultati del botteghino finirono per piazzare The Amazing Spider-Man dietro tutto i film della precedente trilogia.

Si prosegue, ma senza convinzione

Spider-Man al cinema speciale

Il nuovo “capitolo 2” della saga, che fu intitolato The Amazing Spider-Man 2 – Il potere di Electro, non nasceva così sotto i migliori auspici, nonostante la rinnovata fiducia accordata dalla Sony a Marc Webb e ad Andrew Garfield. In verità, questo sequel fu di fatto pensato dai produttori parallelamente al film originale, e ufficializzato persino undici mesi prima dell’uscita di quest’ultimo: gli incassi del primo The Amazing Spider-Man, pur inferiori alle aspettative, bastarono di fatto, da soli, a garantire realizzazione di un secondo episodio. Tuttavia, stando anche alle recenti dichiarazioni di Andrew Garfield, è probabile che sul set si respirasse una comprensibile aria di scarsa fiducia; e la pasticciata sceneggiatura, stavolta elaborata da un team composto da Alex Kurtzman, Roberto Orci e Jeff Pinkner, sembrava voler rivaleggiare quanto a subplot e villain con quella di Spider-Man 3. La stessa regia di Webb appare più stanca rispetto a quella che caratterizzava il primo film, mentre l’ansia mostrata dal copione di far entrare nel film più storyline possibili (il ritorno di Harry Osborn e di suo padre, coi rispettivi volti di Dane DeHaan e Chris Cooper; l’approfondimento del passato di Peter; un nuovo, poco convincente villain nella figura dell’Electro interpretato da Jamie Foxx) provoca un soverchiante senso di confusione. Il girato del film comprendeva persino il ritorno del personaggio di Mary Jane Watson, interpretata da Shailene Woodley, le cui scene sono state poi eliminate dal montaggio finale; una decisione presa a seguito delle reazioni negative dei fans, perplessi dal casting già da molto prima dell’uscita del film. Il finale aperto, e i progetti poi abortiti di sequel e spin-off (uno dei quali doveva incentrarsi sul gruppo di supercriminali detto Sinistri Sei) si scontrarono coi poco convincenti incassi – inferiori anche a quelli del film originale – e con una critica che stavolta fu decisamente più severa. Inoltre, l’uscita di due anni precedente del primo Avengers aveva fatto prendere decisamente quota al Marvel Cinematic Universe: si stavano già moltiplicando, tra i fans, le voci che chiedevano un ingresso dell’Uomo Ragno nel più vasto universo Marvel. Un accordo della Sony con lo studio di Kevin Feige si sarebbe rivelato conveniente per entrambi: i tempi erano maturi per un nuovo reboot, il secondo in pochi anni.

Torna a casa, Peter

Spider-Man al cinema speciale

La presenza di Peter Parker nel Marvel Cinematic Universe, in realtà, data addirittura al 2010, quando in Iron Man 2 abbiamo visto il personaggio in versione bambino salvato dall’Iron Man di Robert Downey Jr.: una breve scena che era già in sé un progetto, e che anticipava un legame che poi si sarebbe rivelato fondamentale nella nuova concezione del personaggio. Lo studio di Kevin Feige sceglie infatti, intelligentemente, di non soffermarsi per la terza volta sulle origini del personaggio: anzi, sfidando le convenzioni decide di (re)introdurlo, anziché in un film dedicato, in un’opera appartenente alla saga di un altro supereroe. Parliamo, precisamente del terzo film dedicato a Captain America, ovvero il “collettivo” Captain America: Civil War del 2016. Una scelta che introduce lo Spider-Man (molto) adolescente di Tom Holland all’interno dello scontro in seno agli Avengers, e che ne precisa il determinante rapporto (quasi filiale) col Tony Stark/Iron Man interpretato da Downey Jr. Le perplessità dei fans sulla figura di Holland sono in parte rientrate grazie a un’introduzione ironica il giusto, che anticipava una diversa declinazione del concetto di responsabilità (unita a una caratterizzazione decisamente più teen e giocosa del personaggio) nello Spider-Man: Homecoming uscito nel 2017 per la regia di Jon Watts. In puro stile Marvel, il film presenta una forte componente da commedia adolescenziale, che fa chiaramente il verso ai film di John Hughes, e restituisce in fondo il personaggio alla sua originaria dimensione naif e ludica, che tuttavia non esclude (ma anzi riesce a esaltare) il tema della maturazione personale; e lo fa in modo decisamente più convincente rispetto alla versione di Marc Webb.

Un nuovo, atipico Avenger

Spider-Man al cinema speciale

Accompagnato dalla paterna figura di Stark, quello del personaggio è davvero un “ritorno a casa”: una casa che Spidey avrebbe continuato ad abitare nei successivi Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame, tornando persino da quel regno dei morti per lui decretato dal letale Blip di Thanos. Diventato ormai un Avenger – e anzi assunto il pesante fardello di portare, ancora poco più che adolescente, l’eredità di Tony Stark – l’ex “bimbo ragno” torna ancora nel 2019 in un sequel (Spider-Man: Far from Home, diretto di nuovo da Watts) complessivamente meno riuscito del suo predecessore, in parte condizionato dalla necessità di tenere conto di quello scontro epico la cui eco (solo pochi mesi dopo l’uscita di Avengers: Endgame) non si era comprensibilmente ancora spenta. La convivenza tra il registro scanzonato e teen mutuato dal primo film, e quello più serioso ereditato dall’ultimo lavoro Marvel, provoca al film qualche problema di tono, specie nella sua prima parte. Tuttavia, Spider-Man: Far from Home si fa ricordare per una dinamica e riuscita seconda parte, nonché per il finale caratterizzato dall’inatteso svelamento, per opera del Mysterio interpretato da Jake Gyllenhaal, dell’identità di Spider-Man/Peter Parker: una rivelazione propedeutica a ciò che ci apprestiamo a vedere nell’imminente Spider-Man: No Way Home – che con la teoria del multiverso pare destinato a ricongiungersi con le precedenti versioni del personaggio, in modi ancora tutti da chiarire. Gli acclarati ritorni del Goblin di Willem Dafoe, del Dottor Octopus di Alfred Molina, dell’Uomo Sabbia di Thomas Haden Church e del Lizard di Rhys Ifans, forse non saranno le uniche sorprese che ci aspettano in questo terzo episodio. Il blindatissimo set, stavolta, non ha lasciato trapelare altro che quelle informazioni che la Marvel/Disney ha deciso (fino al giorno stesso dell’uscita) di rivelare. Ma l’attesa, ormai, è praticamente giunta al termine.

Multiversi e loro sviluppi

Spider-Man al cinema speciale

C’è ancora una parte (invero tra le più interessanti) della lunga avventura su grande schermo dell’Uomo Ragno, di cui dobbiamo assolutamente parlare: una parte importante, in quanto, almeno finora, ha provocato il plauso praticamente generalizzato di critica, pubblico casuale e fans incalliti. Parliamo ovviamente del film d’animazione del 2018 Spider-Man – Un nuovo universo, diretto a sei mani da Bob Persichetti, Peter Ramsey e Rodney Rothman e pensato dai geniacci dell’animazione (e non) Phil Lord e Christopher Miller. Il concetto di multiverso, che presto ritroveremo in versione live action (non sappiamo ancora bene in quali declinazioni) nel nuovo Spider-Man: No Way Home, è stato invero introdotto al cinema proprio dal film del 2018: un’opera che, nella sua studiata ansia onnivora, arriva a includere ogni declinazione possibile del personaggio, da quelle più seriose a quelle più ironiche e ricreate ex-novo, arrivando persino a interagire con la storica serie animata del 1967. Laddove la focalizzazione del film sul Miles Morales dell’Universo Ultimate (primo personaggio afroamericano a indossare il costume del supereroe) ha dato al soggetto quel respiro inclusivo e all’insegna della diversificazione a cui ormai ogni prodotto mainstream aspira, Lord, Miller e i registi del film non si fermano qui: il multiverso in cui il personaggio di Morales – fan di Spider-Man e adolescente problematico morso da un ragno radioattivo – precipita, comprende in ugual misura una versione femminile di origini giapponesi del supereroe (la futuristica Peni Parker, co-pilota di un congegno biomeccanico), uno Spider-Man Noir in stile Humprey Bogart immerso in una malinconica atmosfera anni ‘30, e persino uno Spider-Ham (o eloquentemente Peter Porker) immaginato come un ragno casualmente morso da un maiale radioattivo. Il gruppo deve vedersela stavolta con uno spietato signore del crimine, in un’avventura dall’estetica straordinariamente libera (merito di un’animazione fresca e originale) e dai toni persino psichedelici: un mix di generi che ha fatto guadagnare al film di Persichetti, Ramsay e Rothman l’Oscar, il Golden Globe e il BAFTA nelle rispettive categorie riservate ai film d’animazione. Un multiverso, quello animato esplorato nel film del 2018, che verrà espanso (ed è notizia recente) non in uno ma in due nuovi sequel. Anche i multiversi “ragneschi”, a quanto pare, sono più d’uno. Destinati prima o poi a incontrarsi? Chissà. Solo il tempo, e i sempre necessari risultati al botteghino, potranno dircelo.

Si ringrazia il blog La Bara Volante per le informazioni sul progetto di James Cameron.

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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