AUDITION

AUDITION

La re-release di Audition porta in sala uno dei film più rappresentativi di un cineasta straordinario come Takashi Miike: un film che cambia faccia più volte, mantenendo tuttavia una coerenza e una centratura narrativa invidiabili, accompagnando lo spettatore nelle sue trasformazioni eppure colpendolo durissimo, nell’esplosione di orrore dell’ultima mezz’ora. Il film, con la distribuzione di Wanted Cinema, sarà in sala nelle giornate del 23, 24 e 25 gennaio.

L’ideale e l’orrore

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Rivedere oggi Audition significa innanzitutto tornare indietro a circa un ventennio fa, quando certo cinema asiatico (quello meno dichiaratamente autoriale) iniziava finalmente a essere visibile anche alle nostre latitudini. Un periodo, quello dei primi anni 2000, in cui la diffusione della rete e quella dei DVD di importazione aveva reso disponibili a un pubblico più ampio – sempre cinefilo, ma non necessariamente così specializzato – quelle visioni che prima restavano appannaggio dei critici più fortunati e di pochi nerd. Tra gli autori che prepotentemente si imponevano all’attenzione, in quel periodo di riscoperta entusiasmante e in qualche modo ubriacante, c’era in primo piano Takashi Miike: un regista inclassificabile e bulimicamente prolifico (per un periodo la sua media si è aggirata intorno ai dieci film l’anno), più portato al “genere” e al cinema d’intrattenimento rispetto agli altri autori giapponesi noti all’epoca (un nome per tutti, Takeshi Kitano), ma più autore della maggior parte dei suoi omologhi di Hong Kong, e anche di altri cineasti nipponici che in quello stesso periodo si erano dedicati specificamente all’horror. Facendo un salto indietro e arrivando al 1999, anno di uscita di Audition, va sottolineato come fosse passato solo un anno dal successo del primo Ring di Hideo Nakata: il progetto, che era un adattamento dell’omonimo romanzo di Ryu Murakami, nasceva proprio dalla volontà della casa produttrice Omega Project di realizzare un horror che si distaccasse dal modello della pellicola di Nakata, che già aveva iniziato a generare le prime imitazioni. Miike, cineasta con già alle spalle una solida esperienza in film dei generi più svariati, sembrò il nome ideale. E di fatto Audition, insieme a una manciata di altri film da lui diretti nel biennio 1999-2000, contribuì moltissimo alla notorietà del regista, imponendolo definitivamente all’attenzione internazionale.

Un mix di generi straordinariamente coerente

Audition, Ryo Ishibashi ed Eihi Shiina in una scena del film
Audition, Ryo Ishibashi ed Eihi Shiina in una scena del film di Takashi Miike

Al centro della trama del film di Miike, che riassumiamo qui brevemente, c’è il personaggio di Shigeharu Aoyama, che anni prima ha perso sua moglie a causa di una malattia. L’uomo, che vive col figlio adolescente, soffre di solitudine ma, prima di risposarsi, vuole essere sicuro di trovare la donna adatta a lui; così, su suggerimento di un suo amico che fa il produttore cinematografico, decide di cercarsi una nuova moglie adottando un metodo singolare: attraverso una finta audizione per un film (che non verrà mai realizzato), Aoyama potrà trovare la “sua” donna, quella che maggiormente corrisponde al suo ideale femminile. Dopo aver visionato decine di candidate, l’uomo viene attratto irresistibilmente da Asami, una ventiquattrenne bella ma incredibilmente timida, con alle spalle la dolorosa rinuncia al suo sogno di diventare ballerina. In breve tempo, i due iniziano a frequentarsi, e Aoyama sembra aver trovato la persona perfetta. Ma Asami, in realtà, nasconde segreti ben più inquietanti di quelli legati solo a un passato doloroso.

Nonostante la notorietà del film, non è il caso di svelare di più sulla trama di Audition; soprattutto perché quegli spettatori che si approcciassero al film di Miike per la prima volta su grande schermo, nell’attuale re-release proposta da Wanted Cinema, meritano di “godere” dello shock della visione essendone edotti il meno possibile. In qualche modo, dobbiamo ammetterlo, li invidiamo: perché Audition, di fatto, è un film che spiazza cambiando faccia più volte, un mix di generi in perfetto stile Miike, che tuttavia prende per mano lo spettatore accompagnandolo passo passo in territori diversi, preparandolo (ma mai abbastanza) per ciò che arriverà alla fine. Inizia come un dramma familiare sul lutto, diventando poi un dramedy romantico sulla ricerca dell’amore, digradando lentamente nel thriller onirico fino ad abbracciare pienamente l’horror più estremo. Ma alla base ci sono una coerenza e un controllo della narrazione invidiabili, che a distanza di oltre 20 anni continuano a rendere il film uno dei più compiuti e significativi del regista.

L’utopia che si rovescia

Audition, Ryo Ishibashi in una scena del film
Audition, Ryo Ishibashi in una scena del film di Takashi Miike

Nel suo estremismo visivo, nel carattere disturbante e privo di mediazioni di ciò che mette in scena (specie nell’ultima parte) Audition è tra i film che dimostrano – ma per chi segue il regista non ce n’era bisogno – la capacità di Miike di gestire una narrazione più classica e coerente rispetto ai pastiche di generi di altri suoi film noti. Dimostra soprattutto la reale profondità della visione del regista – pur improntata a uno sguardo estremo, e a una graficità impensabile per l’epoca – e più in generale la capacità di un cinema considerato underground, ai limiti dell’exploitation, di riflettere con lucidità sulla società nipponica contemporanea e sulle dinamiche dei rapporti sociali. Se il prologo del film di Miike, ambientato in ospedale, atterrisce per la semplicità disperata con cui mette in scena la morte e il lutto, la successiva sequenza padre-figlio ambientata in riva al mare chiarisce limpidamente quale sarà il tema del film: la solitudine e la ricerca di una nuova compagna da parte di Aoyama, ma anche i rigidi dettami di una società patriarcale, che danno all’uomo e solo a lui la facoltà di scegliere e selezionare, di accettare o rifiutare una pretendente come se fosse un pesce da pescare tra tanti. O un’attrice per un film che non sarà mai realizzato, se è per questo: questa concezione intimamente sessista, che subordina il ruolo della donna quale complemento e incarnazione di un ideale precostituito, strumento di soddisfacimento sessuale ma anche emotivo dell’universo maschile, è comune nel film praticamente a tutti i personaggi: non solo Aoyama e il suo amico produttore Yoshikawa, ma persino suo figlio Shigehiko e la sua fidanzata, mortificata per aver consumato la cena destinata al capofamiglia e subito offertasi di cucinare per lui. Modelli sociali e schemi di comportamento che Asami – occhi bassi e voce flebile, passato sfortunato e apparente prototipo della donna bisognosa di protezione – sembra incarnare alla perfezione. Salvo poi rovesciare l’utopia in incubo violento e follia.

Un angelo vendicativo e disperato

Audition, Eihi Shiina in un'immagine del film
Audition, Eihi Shiina in un’immagine del film di Takashi Miike

Non ci dilungheremo sulla quasi insostenibile ultima parte di Audition, fedeli al proposito di evitare gli spoiler, pur a dispetto della notorietà ormai universale del film: diciamo solo che ancora oggi l’esplosione di orrore del film di Miike colpisce duro, nonostante gli standard di ciò che sia visualizzabile su uno schermo (non tanto nei circuiti mainstream, ma in special modo in quelli più indipendenti) siano diversi da quelli di un ventennio fa. Gli sviluppi di Audition disturbano soprattutto per come vanno a impattare col romanticismo delle sue premesse, per come “sporcano”, contaminano e deviano quella che per il protagonista sembra una ricerca sincera, onesta, persino legittima: il film mette in scena, nella figura del protagonista Aoyama, una fragilità reale, una solitudine vera e palpitante derivata dal lutto, che genera empatia e identificazione a dispetto del sessismo del suo agire. Sessismo che comunque, lo ripetiamo, nella storia è rappresentato come un dato acquisito dell’ambiente sociale, comune a tutti i personaggi: la deflagrazione degli ultimi trenta minuti del film, probabilmente, è più violenta proprio perché rovescia un’idea e un mondo che la sceneggiatura, volenti o nolenti, ci ha fatto accettare e (in parte) comprendere. E lo fa giocando (anche) coi sogni e le visioni del protagonista, con frammenti dell’ideale mai realizzato (e, ora lo capiamo, crudelmente illusorio) alternati ai palpitanti, eppur più verosimili, incubi che rappresentano il possibile passato di Asami. Il personaggio più sincero, un angelo vendicativo votato tuttavia, anch’esso, al sacrificio, in un modo o nell’altro. Perché, nel mondo di Aoyama, per gli angeli non c’è spazio, compresi quelli che portano morte.

Audition, la locandina italiana del restauro in 4K del film
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Scheda

Titolo originale: Ôdishon
Regia: Takashi Miike
Paese/anno: Giappone, Corea del Sud / 1999
Durata: 115’
Genere: Horror, Drammatico
Cast: Jun Kunimura, Ken Mitsuishi, Fumiyo Kohinata, Ayaka Izumi, Eihi Shiina, Misato Nakamura, Miyuki Matsuda, Ren Ôsugi, Renji Ishibashi, Ryo Ishibashi, Shigeru Saiki, Tetsu Sawaki, Toshie Negishi, Yuriko Hirooka, Yuuto Arima
Sceneggiatura: Daisuke Tengan
Fotografia: Hideo Yamamoto
Montaggio: Yasushi Shimamura
Musiche: Kôji Endô
Produttore: Satoshi Fukushima, Akemi Suyama
Casa di Produzione: Basara Pictures, Creators Company Connection, Omega Project
Distribuzione: Wanted Cinema

Data di uscita: 23/01/2023

Trailer

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Giornalista pubblicista e critico cinematografico. Collaboro, o ho collaborato, con varie testate web e cartacee, tra cui (in ordine di tempo) L'Acchiappafilm, Movieplayer.it e Quinlan.it. Dal 2018 sono consulente per le rassegne psico-educative "Stelle Diverse" e "Aspie Saturday Film", organizzate dal centro di Roma CuoreMenteLab. Nel 2019 ho fondato il sito Asbury Movies, di cui sono editore e direttore responsabile.

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